16. Goodbye, sweet nightmare

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Quella giornata d'inizio autunno era cominciata da un po', ed io l'avevo osservata nascere, seduta sul tetto, con la schiena rivolta al muro della camera che ormai sentivo mia. L'alba aveva pizzicato i miei occhi intorpiditi con un arancio pesca man mano sempre più leggero, fino a sparire completamente fra l'azzurro e le nuvole. Giù, la monotonia del quartiere era sprezzante. Avrei voluto mescolarmi anch'io al cielo, piuttosto di saltare giù dal confortevole ammasso di mattoni polverosi, ma non era possibile, proprio come non era possibile continuare a vivere quell'incubo così dolce che da mesi mi aveva imprigionata, facendomi dimenticare di essere un ostaggio, rendendomi parte di un qualcosa di distorto ma, in fondo, genuino. Ben era il motivo che mi bloccava da qualsiasi scelta, lo avevo capito, e capire che cosa ti impedisce di andare avanti è fondamentale per poter trovare una soluzione. Spiacevole, odiosa, ma giusta, così giusta, soluzione.

Un leggero bussare mi distrasse per un istante dal mio flusso di pensieri.

«Buongiorno» un sorriso. Gli occhi azzurri di Ben erano ancora assonnati, ma dall'aria gentile e premurosa. «Che fai lì seduta sul tetto?» Mi girai a guardare altro, sentendo lo stomaco annodarsi su se stesso. «Buongiorno.»

Udii i suoi passi strascicati sempre più vicini, fino a sentire il suo respiro sul collo. Provai a ignorarlo, ma quando le sue braccia mi cinsero la vita, non resistetti ad afferrare le sue mani per accarezzarle lievemente. «Ehi, qualcuno qui deve aver dormito male» mi lasciò un bacio sul collo. Lo sentii sedermisi accanto. «Nicole, tutto okay? Sul serio.» Mi voltai per guardarlo. La luce del mattino illuminava il suo viso rosato, mettendo in risalto i capelli biondo chiaro. Avrei voluto osservarlo alla luce dell'alba, o del tramonto, ma non avevo la certezza che il mio desiderio si sarebbe avverato.

Le parole uscirono da sole prima che potessi fermarle. «Ben, vorrei dirti tante cose, ma finirei con il peggiorare tutto» Persino alle mie orecchie suonavo patetica. Sperai che non avesse capito di cosa stessi parlando, e lo scrutai per averne la conferma, notando però che lui già mi osservava. Pareva scrutarmi così in profondità che mi sentii nuda, come se fosse riuscito a leggermi dentro.

Serrò le labbra, guardando per terra. «Io invece vorrei dirti solo una cosa» e così facendo, si sporse abbastanza da potermi baciare. «Ti amo.»

Una sensazione meravigliosa, come un fuoco riscaldarmi l'anima, mi convinse a ricambiare con una passione malinconica quell'opera d'arte che ingiustamente chiamano bacio. Posai una mano sulla sua guancia, chiudendo gli occhi, lasciandomi trasportare da quel turbine di emozioni e pensieri, l'uno più contrastante dell'altro.

Ormai avevo preso la mi decisione, ed era più giusta che avessi mai potuto fare, ma ogni avventura necessita un memorabile addio.

Non sapevo quanto mi sarebbe rimasto, ma mentre scendavamo in fretta da quel tetto spogliandoci della poca biancheria da letto, volevo solo gioire di quell'ultimo attimo di felicità.

Ci sedemmo sul letto, continuando a baciarci con foga, poi ci distendemmo, intrecciando carnalmente due vite che non avevano niente in comune se non un inspiegabile amore reciproco.

Facemmo l'amore per l'ultima volta.

E quando se ne andò, piansi.

Piansi perché sapevo che mi ero inevitabilmente innamorata, ma se volevo avere una vita senza rimorsi dovevo andarmene. E dovevo andarmene entro quello stesso giorno.

Sapevo che i ragazzi sarebbero usciti dopo pranzo, così ne approfittai per vedere un'ultima volta i loro visi diversi dalla norma: Jeff e P.K. si sorridevano mentre mangiavano un piatto carico di spaghetti, Lux e Toby scherzavano su quanto fosse idiota Jack e lui in tutta risposta sfoderò il suo solito, inquietante sorriso, che per fortuna non avevo mai visto sbucare sotto il letto di notte. Ben, seduto vicino a me, mi accarezzava una gamba.

«Nicole, il gatto ti ha mangiato la lingua?» rise Jack.

Toby inarcò un sopracciglio: «Forse il gatto no, ma scommetto che qualcuno di nome Ben ha fatto anche di più»

Risi leggermente, presadalle risate generali, finendo la mia porzione di cibo lentamente.

Una volta che tutti ebbero finito, mi offrii di lavare i piatti e le varie stoviglie come scusa per potermi assentare alla loro routine sanguinaria.

Ben rientrò in cucina. «Sicura di non voler venire?»

«Sicurissima» annuii, «queste cose non fanno per me, lo sai» misi il piatto che avevo ripulito sul lavandino e ne presi un altro fra la pila di quelli sporchi. «Non vorrai mica che, una volta all'aperto, me ne scappi via» ridacchiai con una falsità nauseante. «Non lo faresti», sorrise.

Ebbi un colpo allo stomaco.

Quando ogni rumore cessò, ebbi la prova che tutti se n'erano andati Facile, pensai. Sarebbe più facile se tutta me stessa volesse andarsene.

Conclusi con un'insolita calma le mie pulizie, andai in bagno per lavarmi il viso con acqua ghiacciata.

Misi il cellulare in tasca, aprii la porta e...

«Nicole, stai scappando?» era la voce di P.K., seduta sui gradini in veranda. Feci per rispondere, ma m'interruppe: «Fa pure, ti capisco. Se fossi come te, pura, gentile e coraggiosa, lo farei anch'io. Ma la mia natura è un'altra.»

Indietreggiai di un passo. «Io... io non sono coraggiosa. Se fossi coraggiosa, avrei dato retta a voi e avrei ucciso.»

P.K. abbozzò un sorriso sofferente. «Tu sei coraggiosa proprio perché hai saputo ascoltare il tuo cuore e non hai ucciso, nonostante la cosa potesse ritorcerti contro.» dalle tasche dei suoi jeans, tirò fuori un ciondolo arrugginito. Lo aprì, rivelando i volti di tre persone. «Questi siamo io e i miei genitori parecchi anni fa. Se potessi riaverli ancora qui, li stringerei forte e non li abbandonerei mai, invece un assassino me li ha portati via, per gioco, senza pensare alle conseguenze. Ora se sono quello che sono, lo devo in parte al male che ho sofferto.» sospirò, guardandomi. «Tu hai reagito sempre con consapevolezza, ed è per questo che ti odiavo. L'amore ti ha portata a vivere, invece io, se non fosse stato per Jeff, non sarei più stata capace di capire cosa fosse. Ora va', scappa. Io non dirò niente, hai la mia parola.»

Un sorriso. P.K. mi sorrise e io le sorrisi di rimando, grata per essersi aperta con me.

«Di' a Ben che lo amo anch'io» dissi, e me ne andai, correndo mentre un pianto incontrollato mi bagnava le guance.

Kill me or not? || Ben DrownedDove le storie prendono vita. Scoprilo ora