15 FEBBRAIO 1492

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Era la prima volta in assoluto che salivo su una barca, i capellisciolti mi ricadevano delicatamente sulle spalle e la lieva brezzasalmastra li muoveva in ciocche scomposte di boccoli.

Il cielo era coperto da pesanti nuvole lattiginose e l'aria marittimaera densa e umida, tanto da provocarmi di tanto in tanto dei lievicolpi di tosse.

Osservai la terra che si allontanava lentamente.

Avevo lasciato la Bulgaria qualche tempo prima, dopo aver partorito,mio padre, aveva portato la bambina chissà dove e aveva aspettatoche io mi rimettessi prima di cacciarmi di casa definitivamente,perchè il suo orgoglio ferito non poteva sopportare la vista di unafiglia disonorata.

Dalla Bulgaria avevo attraversato l'attuale Romania e l'Ungheria finoad arrivare in Austria dove sostai per qualche giorno in una casa dicontadini che ebbe pietà di una povera giovane vagabonda.

Tuttavia l'Austria non era la mia meta e ben presto mi decisi aripartire diretta verso la Francia da dove avrei preso una barca, perraggiungere la mia meta finale: l'Inghilterra.

Non sapevo esattamente per quale motivo avevo scelto l'Inghilterra,forse perchè al villaggio dove vivevo si sentivano molte storieprovenire da quei luoghi, storie di uomini ricchi e facoltosi incerca di donne o mogli, storie di feste, di balli e di musica.

Ricordo che quando ero piccola, spesso, uscivo di nascosto di casa emi recavo con altri bambini da una donna che diceva di esserci stata,ascoltavo ammaliata le sue storie, le storie dei gentiluomini e dellacortesia che caratterizzava l'Inghilterra, un posto che agli occhi diuna bambina può sembrare lontano e irraggiungibile.

Ovviamente a quei tempi non avrei mai immaginato che mio padre miavrebbe cacciato dalla mia terra.

Il giorno in cui partii fu il più brutto della mia vita, mia madrenon venne a salutarmi e Darina, una della mie sorelle, disse che erachiusa in camera a piangere e che non voleva vedermi, perchè nonaveva la forza di farlo.

Mio padre invece era immobile con le braccia conserte sulla sogliadella porta che mi guardava con aria seria, non mi disse nulla, ma mibastò guardarlo negli occhi per capire che aveva pianto, forse siera pentito di quello che aveva fatto, ma era troppo orgoglioso perammetterlo, per colpa del suo orgoglio preferiva perdere una figlia.

Quando ripensai a Petia sentì un enorme nodo bloccarmi il respiro,avevamo trascorso la notte nella stessa stanza e nessuna delle dueera riuscita a dormire, eravamo semplicemente rimaste abbracciate nelletto, consolando in silenzio le lacrime dell'altra.

Io e Petia eravamo sempre state molto legate e lasciarla mi avevaprovocato un altro enorme vuoto e adesso ripensare al suo viso solaree ai suoi vivi ed enormi occhi azzurri mi provocava una fitta didolore allo stomaco.

Cercai di ricacciare le lacrime in gola e fissai il mio sguardo sulleonde schiumose che sbattevano contro il legno scurodell'imbarcazione.

-Ehi! Donna! Non ti ho ospitato sulla mia barca per farti fare un belviaggio romantico! Avevamo degli accordi, ricordi?- una voce ruvida emaschile mi distrasse dai miei pensieri.

Mi voltai e osservai distrattamente l'uomo che avevo davanti, eragrosso e alto, la pelle abbronzata tipica di chi va per mare, unvolto rozzo dalla barba incolta e dei piccoli occhi grigi e spenti,in bocca teneva una pipa e le labbra avevano una lieve smorfia dicollera.

Nelle mani ruvide e nodose teneva un secchio pieno d'acqua e unaspugna e li lanciò con poca grazia davanti a me rovesciando ilsecchio sul ponte.

-Accidenti, che sbadato!- disse sarcastico -avanti donna, fa il tuolavoro se non vuoi fare un bel bagno con gli squali!-

annuii sommessamente e lui, contento della mi obbedienza si voltò.Stava per andare via e io stavo per riprendere a respirare quando luiiniziò a vagare sul ponte come se stesse cercando qualcuno.

-Dov'è finito il mozzo? Era qui poco fa!- a quel punto si girò dinuovo verso di me -pulisci questo ponte lercio e poi vallo a cercare,diamine! Che sia l'ultima volta che mi faccio infinocchiare da un belviso e da un giovane in cerca d'avventura- urlò lasciandomi sola sulponte.

Feci come aveva detto senza fiatare, non perchè non volessicontraddirlo, ma perchè l'idea di essere buttata giù dalla nave nonmi piaceva affatto.



***



Quando finii di pulire il ponte avevo le ginocchia e la schienadoloranti, avrei voluto riposarmi un attimo, ma non potevo, dovevoprima trovare il mozzo di cui il Capitano Stain stava parlando.

L'impresa non sembrava molto facile, la nave era un grosso mercantilediretto verso l'Inghilterra e a bordo ci saranno state un centinaiodi persone, e io non conoscevo assolutamente l'uomo che avrei dovutotrovare.

Percorsi il ponte della nave da poppa a prua chiedendo del mozzo achiunque incontrassi, ma tutto ciò che ricevevo in risposta eranodelle occhiate lascive o delle risatine.

Alla fine mi arresi e mi sedetti su uno dei barili che trovai sullimitare dell'imbacazione pensando alla sfuriata che il CapitanoStain mi avrebbe fatto quando avrebbe scoperto che non ero riuscita atrovare il mozzo.

Appoggiai scoraggiata il viso sulle mani quando un paio di pantalonidall'aspetto sudicio mi si parò davanti allo sguardo.

All'inizio pensai che fossero di Stain e stavo già trattenendo ilrespiro aspettando l'urlata, ma questa non arrivò, anzi, una vocemaschile e alquanto divertitita iniziò a parlarmi.

-Ho sentito che una giovane donna mi stava disperatamente cercando,ovviamente credevo fosse uno scherzo dato che non sono molte le donneche si trovano a bordo di una nave come questa, ma poi vi ho vistoseduta qui e...beh, eccomi.

Alzai lo sguardo e vidi il mio interlocutore, era un ragazzo giovane,dai capelli biondo cenere legati all'indietro in una coda alquantospettinata.

-Dunque siete voi il mozzo!- esclamai sollevata scacciando dallatesta l'orribile scena dell'urlata di Stain -Non c'è tempo daperdere- dissi senza riuscire a contenere l'entusiasmo -devo portarvidal capitano!- mi alzai di scatto e gli afferrai goffamente la mano,iniziai a tirarlo, ma lui oppose resistenza, così mi girai e loguardai stupita.

-Allora? Stain ti stà cercando, devo portarti da lui, non ci tengo afare un bel bagno con gli squali per colpa tua!- dissi cercando diconvincerlo a muoversi.

Per tutta risposta lui scoppiò a ridere e nonostante la sua risatafosse sorprendentemente bella la cosa mi irritò ancora di più.

-Temo che gli squali dovranno aspettare signorina- disse sorridendo-ho parlato con Stain poco fa, voleva che pulissi del pesce per lacena- concluse.

Rimasi a fissarlo per qualche secondo senza sapere come reagire,avevo rivoltato l'intera nave per niente, ed ero andata in giro afare domande a chiunque come una stupida, ma per via dell'irritazionee della tensione accumulata in quegli ultimi minuti cominciai aridere ininterrottamente sfiorando la crisi iserica.

Mi sedetti nuovamente sul barile cercando di calmarmi e il ragazzo mifissò divertito.

-Vi spiace se occupo il barile accanto al vostro?- domandò senzasmettere di sorridere.

Io scossi la testa riuscendo finalmente a calmare la mia risata.

-Non volevo causarvi una crisi isterica- scherzò -ora che poteteparlare...posso sapere il vostro nome?- domandò con quella suastrana espressione divertita.

-Mi chiamo Katerina, Katerina Petrova- dissi sorridendogli.

Una strana luce gli brillò negli occhi quando gli dissi il mio nome,dapprima spalancò gli occhi sorpreso, poi corruggiò la frontepensieroso e infine mi sorrie.

-Petrova- disse -è un cognome inusuale, venite forse dalla Russia?-domandò con aria cuiosa.

-Dalla Bulgaria...- risposi- e voi invece come vi chiamate?

Le sue labbra si distesero in un sorriso limpido e mi presedelicatamente la mano.

 -Il mio nome è Trevor, al vostro servizio- disse chinando il capoper baciarmi la mano.

PETROVADove le storie prendono vita. Scoprilo ora