Capitolo 3.

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Quando tornai a casa, dopo quello strano incontro con Greco, aspettai qualche ora prima di chiamarlo sul suo numero di casa ma non rispose mai a nessuna delle mie chiamate.
Non lo vidi per qualche giorno ed esattamente il quarto decisi di far un salto a casa sua.
Le finestre del suo appartamento sembravano chiuse da giorni, non c'era segno di anima viva lì. Sotto casa sua incontrai un suo vicino, mi disse che a termine del contratto d'affitto del suo appartamento era andato via, esattamente il giorno del nostro ultimo incontro, aveva preso un aereo per chissà dove quella mattina stessa.
Fu per quello che mi aveva lasciato lì solo seduto a quel bar.
Era tutto così strano ormai che la cosa quasi non mi stupii. Ma ero ben consapevole che probabilmente non l'avrei più visto, cosa che mi provocava rabbia e un enorme dispiacere: quell'uomo era stato il mio maestro da sempre e sempre lo sarebbe rimasto. Avrei sempre portato dei bei ricordi delle conversazioni con lui e magari un giorno avrei compreso il motivo delle sue scelte.
Mi sentivo in parte abbandonato, Leonardo Greco oltre ad essere stato da sempre la mia guida, era stato in grado di farmi appassionare smisuratamente alla ricerca di quei manoscritti, per poi scappare via così, lasciandomi nel buio.
Tutto ciò che avevo erano una manciata di vaghe informazioni, molte delle quali risultato di diffuse leggende metropolitane, e quel biglietto che sembrava essere stato scritto per ricordarmi di stare sempre attento.
Ma non mi sarei arreso, ormai ero troppo dentro quella storia.
La mia caccia ai manoscritti doveva cominciare.
E avrei iniziato proprio da lì, da dove quel biglietto proveniva: il locale "pagine al caffè".
E fu così che iniziai a frequentare quel posto quotidianamente.
Non sapevo nemmeno cosa in realtà mi aspettassi di trovare lì dentro. Sapevo che probabilmente quel biglietto poteva essere stato il primo pezzo di carta capitatogli in mano, ma considerando la scarsa importanza che quelle due parole scritteci su investivano, dal momento che me le aveva ripetute durante la nostra conversazione e non c'era un reale motivo per ribadire il concetto, interpretai quel gesto come una traccia.
Perciò, lasciandomi guidare dal mio intuito e dalla speranza di scoprire qualcosa, passavo esattamente tutti i giorni di lì. Mi sedevo sempre allo stesso tavolo, ordinavo sempre lo stesso caffè, accompagnato da un buon pezzo di cioccolato, e mi trattenevo sempre dalle otto alle nove di mattina, leggendo il giornale o qualche libro.
Dopo i primi giorni, iniziai ad apprezzare la particolarità di quel posto.
L'arredamento era semplice e lineare: tavolini e sedie in ferro battuto, un bancone in vetro e legno chiaro, una decina di scaffali da libreria e varie mensole sempre in legno. Il vero pezzo che rendeva unico l'arredamento di quel posto erano i libri che facevano da padroni in ogni spazio e riempivano l'aria, che profumava di parole scritte su carta.
Era il perfetto connubio tra lettura e caffè, che lasciavano sempre quel senso di relax perfetto per iniziare la giornata.
Amavo rimanere lì fermo e osservare le poche solite persone, che mettevano piede tra quelle quattro pareti chiare di pietra, e il silenzio e la tranquillità lì mi permettevano di apprezzare il ticchettio dei tacchi delle donne, il rumore dei mocassini da uomo levigare il pavimento anch'esso di pietra, il gentile suono delle pagine dei libri sfogliate dai clienti, e il profumo di cappuccino che addolciva l'atmosfera, mentre lì fuori la gente correva disperata per andare a lavoro.
Avevo l'abitudine di catalogare ogni persona mettesse piede in quel posto, mi piaceva osservarle e ascoltare le richieste di libri che ponevano alla proprietaria. Era piacevole indovinare e conoscere i loro gusti in fatto di romanzi.
Di ogni libro presente lì dentro ce n'era solo una copia, e ovviamente io in qualche giorno memorizzai tutti i titoli a disposizione.
Ogni qual volta ne fosse venduto uno era come se provassi un senso di dispiacere, come se un pezzo di quel posto fosse portato via. Ma subito mi rincuorava il fatto che il giorno dopo ci sarebbe stato un nuovo titolo da memorizzare e un nuovo romanzo, pronto per essere letto.
In tutto questo la mia ricerca dei manoscritti procedeva senza risultati. Ogni giorno mi rintanavo in una biblioteca di qualche paesino limitrofo, con la speranza di trovare almeno qualche nuova informazione, qualche dettaglio ma niente. Non era di certo la prima volta che mi imbattevo in ricerche di questo tipo, anzi consideravo la ricerca di vecchi manoscritti una delle mie tante passioni, ma quelli contenenti le pagine nascoste erano inesistenti per tutte le biblioteche che avevo visitato.
Insomma, a distanza di una settimana dal mio ultimo incontro con Greco, non c'era nessuna novità e la mia vita procedeva in modo monotono.
Probabilmente la cosa più intrigante di quei giorni fu l'arrivo di una nuova cliente al locale.
No, lei non era la classica cliente da catalogare, era indecifrabile e imperscrutabile. Era diversa.
Ricordo bene la prima volta che la vidi solcare la porta del locale. Erano le nove meno venti, stavo tranquillamente leggendo un articolo del quotidiano locale, quando udii la porta aprirsi e la vidi: occhi di un blu irresistibile che risaltavano col colore scuro dei capelli lunghi color cioccolato fondente, che in gentili onde le ricadevano sulla schiena.
Era abbastanza alta, magra, slanciata, affascinante.
La sua pelle chiara era coperta da una camicetta azzurra sbottonata di qualche bottone, cosa che lasciava intravedere un scollatura abbastanza sensuale, le cui maniche erano tirate in maniera disordinata fino al gomito. Portava una cintura sui fianchi che sbrusava la camicetta, infilata in un jeans stretto scuro con qualche strappo sulle ginocchia. Ai piedi indossava degli stivali slacciati, rovinati, marroni e di pelle, dello stesso colore e materiale della cintura e della grande borsa a cartella messa a tracolla.
Non nascondo che rimasi incantato da quella presenza.
Ma nel suo atteggiamento e nella sua voce sembrava esserci qualcosa di nascosto. I suoi occhi celavano qualcosa di indecifrabile, che faceva perdere il senso dell'orientamento.
Lasciavano un senso aspro nel cuore che pizzicava pungendoti nelle vene e faceva quasi rabbrividire, come se il mio stesso corpo mi stesse urlando di star attento a quella ragazza.
Pronunciò un flebile "buongiorno" e al bancone ordinò un cappuccino accompagnato da un biscotto. Quando allungò una mano per prendere la sua tazza, alcuni bracciali intrecciati di fili che indossava scivolarono indietro scoprendo un tatuaggio sul suo polso destro: una piccola foglia senza colore disegnata solo nei contorni neri, che sembrava accarezzarle la pelle e svolazzarle liberamente per il corpo. Lo trovai un particolare estremamente affascinante.
Poi si avvicinò ad uno scaffale, esaminando attentamente i libri esposti.
Rimase qualche manciata di minuti davanti allo scaffale riservato allo scambio di libri usati.
Se ne stette lì a guardarli tutti, uno per uno, ma non ne scambiò alcuno. Era come se i libri usati che c'erano non soddisfacessero i suoi gusti.
Lo stesso accade per altri tre giorni.
Si presentava sempre allo stesso orario, ordinava la solita colazione, esaminava i libri a disposizione per lo scambio, non convinta lasciava il locale e andava via.
Non potrei mentire sul fatto che, da quando c'era lei, trovavo ancor più piacevole trascorrere lì il mio tempo. Mi piaceva osservarla. Era un mistero tutto da scoprire.
E proprio osservandola, ebbi modo di farmi un'idea sui suoi gusti in fatto di libri. Quando osservava gli scaffali, alcuni libri non venivano nemmeno sfilati fuori, ma ce n'erano altri a cui riservava il privilegio di leggerne la trama. Erano grandi classici che non trattavano mai di argomenti banali, romanzi che avevano fatto la storia i cui veri protagonisti erano la libertà, i misteri, la curiosità, la forza... I miei preferiti.
E fu così che un giorno decisi di portare con me uno dei miei libri preferiti: il Fu Mattia Pascal, un romanzo che mi aveva fatto crescere.
La vidi arrivare puntuale, come sempre, alle nove meno venti.
Dopo aver fatto colazione, si avvicinò al solito scaffale. La vidi intenta a cercare qualcosa di interessante.
Quel giorno mi feci coraggio. Piegai il quotidiano, lasciandolo sul mio solito tavolo e mi alzai, prendendo con me il mio libro.
Evitando di farmi notare, lo posai accanto ad una pila di libri usati e mi allontanai, dirigendomi verso un altro scaffale. La osservai, mentre fingevo di leggere un libro che avevo fra le mani, di cui ignorai persino il titolo.
Era lì, con lo sguardo vago, in cerca del libro che facesse per lei.
E fu allora che i suoi occhi, per caso, si posarono sul mio libro e li vidi illuminarsi.
Lo raggiunse e lo prese fra le mani con un'espressione soddisfatta sul volto. Il suo sorriso era bello come quel sorriso insolito e colorato da una nota arcana, ma sempre più stuzzicante.
Avevo fatto centro, avevo indovinato i suoi gusti. Fui sopraffatto da un piacevole senso di soddisfazione perché fu come se avessi, almeno in parte, capito la sua personalità solamente osservandola per alcuni minuti per quattro giorni.
Mi illusi di conoscerla, ormai; nonostante persino il suo nome mi fosse ignoto.
Afferrò saldamente il mio libro, mettendolo sotto il braccio. Poi aprì la cartella che portava a tracolla, ci infilò dentro la sua mano cercando visibilmente qualcosa.
Ora era il momento di scoprire cosa aveva in serbo per me. Qualunque libro fosse stato sarebbe stato mio. Avrei seguito quell'impulso che mi comandava di prenderlo solo perché era appartenuto a lei, solo perché quel libro aveva avuto l'onore di passare con lei quel tempo che non avrebbe mai trascorso con me.
Doveva essere un libro speciale in qualche modo.
Sfortunatamente mi diede le spalle e non riuscì a vedere subito cosa tirò fuori da quella borsa.
Allungai il collo per vedere meglio, ma un signore dalla grossa stazza mi si piazzò davanti mentre tirava fuori un libro dallo scaffale accanto a me.
Mi spostai repentinamente.
Non la vidi più dov'era prima.
Mi guardai attorno: non c'era.
Sentii qualcuno aprire la porta. Mi voltai.
Era andata via.
Deluso, mi diressi in fretta verso il posto in cui avevo lasciato il mio libro, dove lei sicuramente aveva lasciato il suo.
E fu lì che venni a conoscenza di qualcosa che non avrei mai potuto neanche lontanamente immaginare.
Lì c'era un libro senza titolo dalla copertina in cuoio. Le mie mani si fiondarono sul libro per aprirlo: le ultime dieci pagine erano vuote.
Avevo scambiato il mio Fu Mattia Pascal con un manoscritto dalle pagine nascoste.

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