Capitolo 6.

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Per tutto il viaggio non riuscii a far altro che ascoltare musica e osservare Azzurra, intenta nella lettura del libro che fino a qualche giorno prima era appartenuto a me.
Scoprii che amavo viaggiare in treno: il suono delle rotaie attutito dai vagoni, quel lieve tremolio delle carrozze, l'inconfondibile fischio, il rumore dei freni, i grandi finestrini dietro i quali scorrevano boschi, paesini, campi e viali, il tavolino di legno e la mia comoda poltrona marrone.
Tutto sembrava più bello visto da lì dentro.
E poi c'era il riflesso di Azzurra nel vetro accanto a me che rendeva tutto il panorama esterno insignificante e scontato.
Stavo sempre ben attento a non farmi notare da lei, sicché la osservavo un po' alla volta, poi distoglievo lo sguardo, elaborando le immagini che avevo scattato nella mia mente, e poi passavo a puntare lo sguardo al suo riflesso nel mio finestrino, osservando il suo profilo dai capelli biondi confondersi nei campi di grano, e le sue labbra che parevano accarezzare e sfiorare le distese immense sfumate in varie tonalità di verde.
Nonostante questo, la ragazza doveva essere abbastanza sveglia, perché proprio quando stavo per complimentarmi con me stesso per non essermi fatto notare da lei, in modo che non passassi per un maniaco o qualcosa del genere, alzò un po' gli occhi dal libro come per prestare attenzione a qualcosa che stava accadendo attorno a lei.
Per non farmi scoprire presi a guardare qualche collina che scappava dietro il vetro.
Nell'immagine riflessa in quello stesso vetro mi accorsi che lei stava guardando qualcosa.
Stava guardando me.
Stava osservando la sua immagine, perché io la stavo osservando.
E in quel riflesso i nostri occhi si incontrarono per la prima volta. Seri, fissi e irremovibili per pochissimi istanti che corrisponderebbero a minuscoli granelli di un'antica clessidra.
E giuro, quegli sguardi furono così forti che pensai davvero che il vetro sarebbe caduto in frantumi.
I nostri sguardi non si incrociarono direttamente ma solo attraverso quel vetro, ormai mio unico compagno di viaggio. Ma bastò a farmi fermare il battito cardiaco per quegli attimi, in un sussulto che si riverberò nello stomaco, nel diaframma e in ogni parte del mio corpo. Ero così teso, quasi spaventato da quello sguardo che non seppi far altro che restare inerme.
Quei pochi secondi mi bastarono a capire che lei si era accorta di me.
La cosa avrebbe potuto far piacere in un altro contesto, ma non in quello. Dovevo farmi notare il meno possibile per scoprire il più possibile su di lei. Dopotutto l'avevo seguita e non potevo far altro che ammirarla di nascosto, non avevo scelta.
Era un come un gioco: se mi avesse scoperto avrei inevitabilmente perso, meno si accorgeva di me più avrei guadagnato punti.
E in gioco c'era troppo e quel troppo conteneva le scoperte su quei manoscritti e ciò che nascondevano.
Quando tornò sul suo libro, tentai di convincermi che si fosse semplicemente sentita osservata e che mi avesse solo rivolto uno sguardo distratto per controllare la situazione.
Ma dentro di me non riuscivo a dimenticare quello sguardo e la determinazione, la tenacia e la sicurezza con cui si era rivolto a me.
Non era uno sguardo come altri il suo, era uno di quelli difficili da sopportare addosso, uno di quelli che senti nella pelle e ti entra dentro fino a scavare e a raggiungere l'anima, fino a farti dubitare di essere mai esistito veramente.
Il viaggio non durò più di qualche ora e, durante il tragitto, ebbi modo di scoprire quanto potesse essere piacevole osservare le gocce di pioggia atterrare e scivolare sul vetro del finestrino accanto a me. Osservai il cielo colorarsi di malinconia, di una tonalità di nostalgia che rese tutto un po' più grigio. Persino il riflesso di Azzurra assunse qualcosa di triste, quando iniziò a essere punteggiato e rigato da qualche lacrima del cielo, fino a riempirsi del tutto di gocce e diventare un'immagine quasi sfuocata e che aveva tanto la parvenza di essere lontana e irraggiungibile.
Prima di giungere a destinazione mi misi a scoprire qualcosa di più su quello che sarebbe stata la mia destinazione, ovvero il paese di Monopoli.
Riuscii a capire che era un grazioso paesino pugliese che si affacciava sul mare, era dotato di un centro storico che dalle foto sembrava davvero caratteristico. Tutto ciò che seppi mi bastò per essere soddisfatto e sempre più curioso di conoscerlo, chilometro dopo chilometro non vedevo l'ora di percorrere le strade di quella cittadina, odorarne i profumi e conoscerne la gente.
Si prospettava tutto molto interessante.
Quando mi accorsi che Azzurra rimase con un solo auricolare ad ascoltare musica, mentre rimetteva in borsa qualche oggetto che aveva posato sul tavolo durante il viaggio, capii che eravamo vicini.
Lo annunciò l'altoparlante: Monopoli era la prossima fermata.
Io invece, non avevo molto da mettere a posto così mi limitai a controllare l'orario: era mezzogiorno.
Feci in modo di essere l'ultimo a scendere dal treno in quella fermata e, una volta giù, presi la stessa direzione di Azzurra.
Sentii immediatamente l'aria calda accarezzarmi la faccia e fui accecato da un sole alto nel cielo. Nonostante fossimo agli albori della stagione autunnale, lì sembrava essere ancora estate e fui costretto a portare in mano la mia giacca di pelle.
Iniziai a camminare per qualche stradina che portava al centro del paese, incontrando gente semplice ma cordiale rivolgermi qualche sorriso, che non potei far a meno di ricambiare, e parlare in un dialetto che faceva apparire il posto ancor più colorito, solare e accogliente.
Non erano in molti, il che conferiva una giusta tranquillità per me che provenivo da un piccolissimo centro abitato, ma quasi tutti camminavano con qualche busta contenente cibo nella mano, mentre raggiungevano le proprie piccole case per consumare il pranzo.
Perciò nell'aria aleggiava un profumo di pane fresco incartato in buste marroni, di salumi e formaggi appena tagliati, e dalle case fuoriuscivano profumi di varie pietanze in cottura.
Tutto metteva addosso un senso di soddisfazione e appagamento per essere capitato in un posto così ospitale.
Ero lì da qualche manciata di minuti e già sentivo di amare quel posto, ma ne ebbi totalmente la conferma quando, seguendo Azzurra, mi trovai in una strada che si affacciava sul mare.
Mi fermai e fui estasiato dalla vista di quel panorama.
Ne rimasi totalmente stregato.
Il cielo si tuffava nel mare schizzando l'orizzonte.
Lì tutto era azzurro come lo era lei per me. E io amavo l'azzurro.
E la brezza che mi scompigliava i capelli sembrò soffiarmi nelle membra, fino a far rollare in mio cuore, come una di quelle barche a vela che solcavano le acque, su qualche onda che veniva da lontano.
Amavo il mare e lo avevo sempre amato, ma vivendo in un paese di montagna non ero abituato a quello spettacolo, davanti al quale Azzurra passò con noncuranza.
Trovavo il mare una delle più belle cose della vita di un uomo, ma giuro, quello era assolutamente il più bello.
Il mare era libertà e io aspiravo con tutto me stesso alla libertà.
Mi chiesi come avessi fatto per tutto quel tempo e, trovandomi lì davanti a tanto splendore azzurro, capii che non sarei più riuscito a vivere in un posto senza mare.
E Azzurra assomigliava tanto al mare.
L'avevo vista cambiare all'improvviso come il mare da calmo diviene agitato e da celeste si colora di tenebre come la notte, ma non potevo dire di conoscerla, perché in fondo, nei meandri più profondi e scuri, c'era da scoprire tutto su di lei e Dio solo sa cosa.
Respirai a pieni polmoni quel profumo misto a salsedine, che tanto mi era mancato, e realizzai quanto anche io fossi molto simile al mare.
Tutti si fermavano a guardarne la superficie, quando poi tutta la vera storia di quelle acque si trovava sotto, in profondità, dove pochi sono capaci di arrivare.
Mi resi conto che Azzurra era fin troppo lontana da me e di questo passo l'avrei persa, così decisi che era tempo di rimandare l'appuntamento col mare ad un altro momento e mi misi a raggiungerla.
Dopo qualche minuto la vidi entrare in una casa che doveva aver affittato, poiché presentava all'esterno ancora il cartello del fittasi insieme ad altri di altre case vicino, probabilmente case vacanza vuote, non usate fuori stagione.
Notai un piccolo bed&breakfast poco distante, dall'altra parte della strada. Ci entrai e prenotai una stanza incontrando il proprietario, un tipo davvero molto simpatico. E così dopo aver pranzato lì, assaggiando qualche piatto tipico davvero delizioso, non potei far a meno di pensare che, se lei aveva addirittura prenotato un appartamento, saremmo rimasti in quel posto per parecchio tempo e la cosa sembrava farmi piacere.
Ma il dubbio che più mi assillava era una: perché era venuta fin qui?
Seguita da... Poteva anche lei aver soddisfatto quella voglia di scappar via da tutto improvvisamente senza motivo? Oppure un motivo lo aveva?
Era venuta qui con uno scopo ben preciso? Se, si qual era? Aveva a che fare con i manoscritti? Lei conosceva cosa nascondevano?
Le mie domande furono disturbate da un via vai di turisti, che uscirono dalla sala.
Il corridoio si colmò di voci fuse tra loro in un ronzare incomprensibile e la gente sfilava verso l'uscita, attraversando un corridoio pieno di specchi, che riflettevano le scritte sulle loro maglie sportive in maniera illeggibile.
Ebbi un'intuizione.
Senza nemmeno finire gli ultimi bocconi che rimanevano nel piatto, lasciai del denaro sul tavolo e mi precipitai in camera mia.
Presi il libro e lo aprii alle ultime due pagine che contenevano agli angoli rispettivamente le lettere b e u. Lo sollevai ponendolo accanto a me, all'altezza della faccia, posizionandomi davanti allo specchio della camera.
Lo specchiò riflesse la lettera p su una pagina e una specie di u al contrario sull'altra, che interpretai come una particolare n.
Ne ebbi la prova: era davvero un manoscritto dalle pagine nascoste quello che stringevo fra le mie mani. Ora ne avevo la certezza e mi sembrò incredibile.
Tutto mi parve chiaro e semplice. Le apparenze, le finzioni, gli inganni erano la chiave per decifrare la firma sul manoscritto.
Ero l'unico a poter avere fra le mani quell'opera tanto geniale.
E ora che avevo avuto la conferma di quella scoperta, sentii come se non fossi più al sicuro, come se non fossi l'unico ad essere stato in grado di decifrare quella firma.
In quel momento pensai ad Azzurra. Mi convinsi che lei sicuramente doveva sapere, lei conosceva il valore di quel manoscritto anche se non sapevo ancora spiegarmi perché avesse deciso di abbandonarlo così.
Eppure dietro tutto c'era lei. Ne ero sicuro.
Mi misi a leggere e sfogliare il libro pagina per pagina.
Mi bloccai quando, dopo aver girato pagina cinquantacinque, trovai pagina cinquantotto.
Mancava una pagina. Era stata strappata, lasciando pezzi di carta ancora inseriti nella rilegatura. Le due facciate della pagina mancante erano la numero 56 e la 57.
Perché era stata strappata proprio questa pagina?
A pagina 58 sembravano essere incise parole invisibili, rimaste come segni di quel che era stato scritto nella pagina strappata via.
Cercai una matita nella stanza, solitamente ce n'è sempre una da qualche parte. La trovai, iniziai a colorare in modo leggero quelle parti bianche che contenevano i segni della pressione che la punta di una penna aveva esercitato sulla pagina assente.
"Amelia Loretti, capelli biondi, occhi verdi. Monopoli."
Lei aveva capelli biondi, occhi verdi ed era a Monopoli. Il suo nome doveva essere Amelia. Ma perché scrivere tutto ciò su una pagina di un libro così raro, che sarebbe potuto finire nelle mani di chissà chi, per poi strapparla?
Quella ragazza stava cercando di lasciare una traccia, ma non sapevo ancora per quale motivo.
Era tutta una bizzarra caccia al tesoro, dove i libri non erano il premio ma le fonti di indizi. E forse il vero tesoro era lei.
Iniziò a farsi strada dentro di me la paura che qualcuno scoprisse tutto ciò di cui ora ero a conoscenza, o forse in giro c'era già qualcuno che sapeva.
E se così poteva essere, Azzurra stava scappando perché era in pericolo.
Cercai qualche altro segno in quelle pagine. Avevo la sensazione che ci fosse ancora qualcosa da scoprire.
A pagina 23 due indirizzi web: uno dei quali simile a quelli che Greco mi aveva lasciato. E guarda caso 23 era la somma di due cinque, un sei e un sette. 5657: la pagina mancante. Era la pagina nascosta.
Stavolta non avevo computer con me e mi accontentai del mio cellulare.
Digitai il primo nella barra di ricerca: un portale con elenco limitato di indirizzi. Cercai fra questi l'altro segnato a pagina 23.
Mi chiesero il nome utente di uno strano blog e non ebbi dubbi: era il blog a cui le ricerche di Greco mi avevano condotto. Inserii i vari dati.
Si aprii una finestra: "Per accedere ai contenuti digitare codice di accesso".
Non avevo alcun codice di accesso e non avevo idea di dove potessi cercarlo.
L'adrenalina, accumulatasi nel sangue fino a quel momento a causa delle scoperte che avevo fatto, divenne fredda e per la frustrazione lanciai il telefono sul letto della camera ed emanai un urlo.
Mi mancava ancora qualcosa, non ce l'avrei fatta.
Conoscevo troppo poco per giungere a quella scoperta.
Aprii la finestra e mi accesi una sigaretta, cercando pace, ammirando il panorama del mare increspato dalla brezza pomeridiana.
Eppure un indizio doveva pur esserci, non poteva essere un tassello mancante. Se quel manoscritto esisteva per condurre ad una qualche scoperta, la soluzione era sicuramente lì tra quelle pagine.
La mia mente iniziò ad elaborare ipotesi ma poi ebbi un lampo di intuizione.
Sbloccai il cellulare, che mostrava ancora la finestra per il codice d'accesso, e digitai "5657".
Apparve un messaggio: "contenuto sbloccato!"
Accennai un sorriso e buttai fuori il fumo della sigaretta per la soddisfazione, ma quando vidi quel che apparve sullo schermo, non fui più in grado di compiere alcun movimento.

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