Capitolo 5.

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Quella notte sognai foglie libere svolazzare sulla pelle, occhi azzurri imprimersi nei miei e libri dalle pagine opache aprirsi. Tuttavia mi svegliai diverse volte.
Non capivo se mi sentissi più al sicuro con la porta della stanza chiusa a chiave, per evitare che qualcuno entrasse, oppure con la porta socchiusa, per tenere sempre pronta una via di fuga ad un pericolo che sostava in camera mia. Vagai più volte per la mia stanza, aprendo e chiudendo quel libro, lì sulla mia scrivania. Alla fine optai per la porta socchiusa.
"Alexander, devi muoverti" sentii pronunciare da una voce che sembrava quella di mio fratello. Schiusi poco gli occhi, accorgendomi di essermi addormentato vestito, seduto con la testa sulla scrivania.
La luce invase la stanza e, provando a muovermi, sentii un dolore attraversare tutta la mia schiena.
-Ma come diavolo fai a dormire in quelle condizioni... sai di avere anche un letto?- continuò Edward.
-Mi spieghi che vuoi?- mugugnai tirandomi su seduto, strofinandomi la faccia. Odiavo doverlo sopportare di prima mattina.
-Devi darti una mossa! Dobbiamo andare in stazione a prendere Eva.- specificò serio sullo stipite della porta della mia stanza.
Oggi sarebbe arrivata Eva! Me ne ero dimenticato. Eva è nostra cugina, ha la stessa età di Edward e loro due sono abbastanza legati.
Sospirai perché ogni giorno ce n'era una e almeno quel giorno avrei preferito fosse più noioso e monotono.
Mio fratello si andò a preparare urlandomi "hai quindici minuti per preparati!" e io mi misi in piedi, trascinandomi in bagno.
Dopo essermi lavato e vestito, infilai il libro nella tasca interna della giacca; non lo avrei lasciato in casa di mercoledì, era il giorno in cui veniva a occuparsi delle pulizie una domestica e non volevo suscitare la curiosità di nessuno, riguardo a quei manoscritti.
Dopodiché mi diressi in cucina per farmi un caffè, che avrebbe aiutato a svegliarmi un po', ma mio fratello mi tirò, prendendomi per la giacca e tirandomi verso la porta per uscire di casa.
-Non lo capisci che siamo in ritardo? Avresti potuto alzarti prima.- mi rimproverò, chiudendo la porta di casa.
Lui aveva la macchina e io la moto, ma decidemmo che in moto avremmo fatto prima ad arrivare e che, dopo, Ed ed Eva avrebbero preso un taxi.
Guidai verso la stazione più velocemente possibile, amavo la velocità quanto amavo quella mia moto.
Andare così veloce mi aiutava sempre a schiarirmi le idee, a mettere in ordine i miei pensieri, un po' come si spende una giornata intera a far il cambio dell'armadio: sai che tornerà il disordine ma, almeno allora, puoi godere di un discreto ordine, e la cosa ti fa sentire soddisfatto. Ecco, dopo una corsa in moto mi sentivo diverso rispetto a prima di salirci.
E per esempio in quel tragitto continuai a pensare che, una volta presa Eva, sarei tornato prima da "Pagine al caffè" e poi avrei fatto un salto sotto la casa della ragazza, che ormai era entrata a far parte della maggior parte dei miei pensieri.
Dopo una ventina di minuti fummo davanti alla stazione.
Ci togliemmo i caschi, mettendoli a posto e ci dirigemmo dentro.
La stazione era abbastanza grande, erano solo le otto e mezzo del mattino ed era già affollata e caotica, la gente correva da una parte all'altra con i bagagli, in cerca del proprio binario e l'altoparlante annunciava vari ritardi e partenze.
-bene, sei fortunato che il treno abbia mezz'ora di ritardo...- annunciò mio fratello, dopo aver controllato il tabellone per poi sedersi su una panchina.
- ne approfitto per fare un salto al bar e fare colazione, vuoi qualcosa?- domandai, cercando con lo sguardo il bar.
- Essere figlio unico.- rispose acidamente, cominciando a maneggiare il suo cellulare.
Evitai di prestare troppa attenzione alle sue parole, diceva sempre cose di questo genere ma in fin dei conti mi dimostrava spesso che ci teneva a me.
Mi allontanai in silenzio in cerca del bar. Impiegai diversi minuti a trovarlo nella confusione di quella stazione.
Entrando, notai con piacere che c'era un numero di clienti non eccessivo e sarei riuscito a gustarmi un caffè in pace, seppur si trattasse di un semplice bar di stazione senza chissà quali pretese.
Non appena fui dentro esaminai superficialmente il luogo, come facevo per abitudine quando mi trovavo in un posto nuovo.
Ma fui attratto inspiegabilmente da qualcosa, quando mi avvicinai al bancone, sul quale era stato posato un libro che mi era troppo familiare: il mio Fu Mattia Pascal.
Come ci era finito lì? Era proprio lui. Lo avevo posseduto per anni e ne conoscevo ogni segno, ogni minima piega, ogni graffio, ogni stropicciatura.
Immediatamente, mi guardai attorno alla ricerca della ragazza dagli occhi azzurri ma non ne vidi alcuna.
Con un'espressione abbastanza stranita e confusa, per via del ritrovamento inaspettato, mi resi conto che accanto c'era un biglietto del treno, strizzai gli occhi per leggerne la destinazione e l'orario di partenza: treno delle nove, Monopoli.
-un cappuccino, grazie.- ordinò una ragazza poco distante a me. Quella voce... l'avevo già sentita.
Prima che mi girassi verso la persona che aveva pronunciato quelle parole, sul libro si posò una mano e fu allora che vidi quell'adorabile fogliolina sul polso.
In quell'istante la mia mente fu letteralmente bombardata di domande. Era davvero lei o me l'ero sognato? Perché stava andando via? Sarebbe tornata? Perché non l'avevo vista appena entrato nel bar?
Come per rispondere alla mia domanda, sentii di nuovo la sua voce chiedere qualcosa.
- mi scusi, potrei avere anche una bottiglietta d'acqua?-
Mi girai nella direzione da cui proveniva la voce, speranzoso di incontrare due occhi azzurri immersi in una chioma color cioccolato, ma tutto ciò che vidi erano lisci e biondi capelli, che cadevano in un perfetto caschetto, e grandi occhi verdi nascosti dietro un paio di occhiali da vista dalle lenti sottili e rotonde.
Indossava un vestitino beige e degli stivali marroni alti quasi alle ginocchia. Attorno al suo collo portava uno sciarpone con varie sfumature marroni, per nascondere una scollatura del maglione, che insieme al tessuto aderente, metteva in evidenza il suo fisico perfettamente sensuale.
La ragazza prese posto ad uno dei tavoli lì vicino ed ebbi modo di seguirla con lo sguardo notando le sue labbra carnose, dipinte di un color cipria, e i suoi occhi intarsiati abilmente di nero.
Prese il mio libro tra le mani, le cui dita erano ornate da molti anelli, riprendendo la sua lettura, mentre ogni tanto sorseggiava cappuccino.
Ero abituato a vederla indossare camicie e jeans, ma seppur avesse uno stile diverso, capelli biondi, occhi verdi e una montatura d'occhiali che le donava molto; non c'erano dubbi che fosse lei: la ragazza azzurra, o per lo meno la stessa che lo era stata.
Poteva aver provato a mostrarsi come un'altra ma il suo tatuaggio la ingannava.
-signore ha bisogno di qualcosa?- mi chiese un uomo, dall'altra parte del bancone.
- cosa?- sembrai risvegliarmi da un sogno.
- sarà la quinta volta che le chiedo se ha bisogno di ordinare.-
Probabilmente non lo avevo sentito nel mio stato di trance.
-si, mi scusi, ero sovrappensiero. Un caffè, grazie.- ordinai mostrandomi più sveglio.
Dopo qualche minuto arrivò il mio caffè e bevendolo fui assalito da una marea di pensieri.
Se fosse partita per mai più ritornare, non avrei solo perso l'unica persona in grado di aiutarmi per la ricerca dei manoscritti, ma avrei perso anche l'unica ragazza che, fino ad allora, era stata in grado di suscitare interesse in me, senza nemmeno rivolgermi uno sguardo distratto o una misera parola.
Lo ammetto, sapevo di essere in grado di esercitare un certo fascino sul sesso opposto e un discreto numero di ragazze avevano tentato di conquistare le mie attenzioni, ma nessuna fino ad allora ci era mai riuscita veramente. Avevo avuto brevi storielle e avventure da raccontare ma avevo sempre trovato altro di più interessante nella vita: leggere, viaggiare, sognare, la musica, il cinema, la velocità, la libertà, la natura, l'avventura, la notte, il mare, il vento... Cose di cui ero innamorato, cose che facevano di me la persona che ero.
Ma non avrei mai rinunciato a quella ragazza, nonostante tutto.
E avevo il presentimento che se non avessi fatto nulla, l'avrei persa per sempre.
Perchè stava andando via? Sarebbe tornata? Cosa l'aveva spinta a cambiare così? Perchè possedeva proprio lei quel manoscritto? Ne aveva altri? Come ne era entrata in possesso e perchè aveva deciso di scambiarlo in un semplice piccolo cafè di paese invece di venderlo? Era a conoscenza del valore di quel libro?
Non conoscevo nulla, non avevo risposte, né una minima certezza.
Quella ragazza era decisamente un mistero.
Qual era il guaio?
Che io ero terribilmente attratto dai misteri.
- signore ha bisogno di altro?- disse il cassiere, notando la mia espressione confusa mentre pagavo il caffè.
-si, sa dirmi dov'è la biglietteria?- domandai senza pensarci troppo.
Me la indicò e, dando un'ultima occhiata alla ragazza, mentre usciva anche lei dal bar, mi diressi allo sportello della biglietteria di corsa. Se lei si era alzata, poteva voler dire solo una cosa: si stava avvicinando ai binari perché il treno stava per partire.
- il prossimo per Monopoli.- dissi al bigliettaio, con la voce più convincente che avessi.
Mi disse che c'era solo qualche posto in prima classe e accettai.
Pagai con la mia carta di credito e, dopo qualche minuto, ebbi il mio biglietto tra le mani.
Sentii un annuncio. Il mio treno partiva dal binario 5. Dovevo muovermi.
Osservai il binario cinque: il treno era appena arrivato e la ragazza era con il suo bagaglio davanti alle porte del treno.
Corsi come un pazzo per tutto il sottopassaggio. Avevo pochi minuti per raggiungere quel treno. Un treno che mi avrebbe cambiato la vita in un modo o nell'altro, ne ero certo. Avete presente la metafora delle occasioni nella vita che sono come un treno, perso quello ormai è andata? Bene, quella era la mia occasione ed ero più che sicuro che non ce ne sarebbero state altre.
Ormai ero vicino al binario, riuscivo a sentire un bip che indicava che le porte stavano per chiudersi.
Bip bip bip.
Accelerai con tutte le forze che quel misero caffè quella mattina poteva avermi dato, corsi con tutto me stesso, come se non mi restasse altro da fare e probabilmente era proprio così.
Intravidi la porta. Era lì e il bip si faceva sempre più forte.
Bip bip bip.
Le due ante delle porte iniziarono ad avvicinarsi.
Un ultimo sforzo. Sentii che stavo per svenire.
Ci ero riuscito. Ormai ero dentro quel dannatissimo treno.
Lo volevo fare da anni ma mi era sempre mancato il coraggio. Quella era stata la mia occasione per scappare via, senza sapere perché, come, dove o con chi. O forse lo sapevo. Ma l'importante era solo che fossi lì e, se me lo avessero raccontato, non ci avrei creduto nemmeno io. Quale altro pazzo avrebbe deciso su due piedi di prendere un treno, per inseguire una ragazza che nemmeno conosceva, senza sapere quando sarebbe ritornato? Quella mattina mi ero svegliato non sapendo che avrei dovuto accompagnare mio fratello in stazione, figurarsi se potevo immaginare che sarei salito su quel treno con destinazione libertà. E ogni tanto nella vita ci vuole qualche colpo di scena...
Ripresi il fiato e le mie capacità fisiche e mi diressi verso il mio posto: 4A.
Notai, con estremo piacere, il mio libro fare capolino sul posto 2A. Anche lei era in prima classe, e per di più poco distante da me.
Mi misi seduto comodo, cominciando a vedere le immagini fuori dal finestrino scorrere lentamente e solo allora mi ricordai di quel che stavo abbandonando, ma non per questo mi pentii della mia scelta.
Presi dalla mia tasca il cellulare e digitai il numero di mio fratello. Dopo solo uno squillo, udii la sua voce.
-Santo cielo, Alexander. Dove diavolo sei finito? Eva è arrivata.-
-Si, lo so. Scusami Edward, davvero... avrei dovuto avvisarti.- risposi mentre il treno fischiò.
- Cos'è questo frastuono? Dove sei?- continuò furioso.
-Sul treno.- risposi schiettamente, senza pensarci troppo e a voce bassa, per non disturbare i passeggeri.
-Sul treno?! Ma che cazzo stai dicendo?- sbraitò Edward.
- Abbassa la voce, dannazione!- lo biasimai, prima di prendere un respiro e allontanarmi da quel vagone, non volevo che la ragazza sentisse. - Ho deciso all'improvviso di fare il biglietto e salire sul treno. Ho incontrato la ragazza del bar, stava partendo...- non seppi aggiungere altro, non che ci fosse chissà cos'altro da aggiungere oltre tutto...
- Stai scherzando, vero?- sbottò serio.
- No, Edward. Secondo te sto dicendo cazzate?-
- Tu sei pazzo, fratello mio... E sentiamo, Capitan Avventura dove staresti andando di preciso?-
-Non lo so.- mentii in parte ma non del tutto. Non avevo idea di che paese fosse Monopoli, non lo avevo mai sentito prima di allora.
- Quando torni?-
- Non lo so.-
E quelle furono le ultime parole che pronunciai, prima di udire un freddo "buona fortuna" di Edward, dopodiché la chiamata fu conclusa. E sapevo che quello sarebbe potuto essere l'ultimo contatto con la mia vita di sempre.
Stavo lasciando tutto scorrere via, scappando senza meta, rincorrendo i miei sogni.
E vedevo quel paese scivolare alle mie spalle, fuori da quel finestrino, mentre io ormai guardavo avanti, verso qualcosa che non conoscevo ma che mi intrigava come mai prima d'ora.
Quel qualcosa decisi che da quel momento in poi avrebbe avuto un nome per me: Azzurra.
E per la prima volta, mi parve di assaporare quella libertà che tanto avevo desiderato. Una libertà azzurra, anch'essa. E mi bastò a capire che non avrei più potuto farne a meno.
Dopotutto ero semplicemente un ventitreenne che viaggiava senza bagaglio, solo con una giacca di pelle, un pacchetto di sigarette mezzo pieno, un libro di seconda mano, un cellulare, un paio di auricolari, carta di credito e carta di identità... Cosa avrei potuto fare su un treno, se non andare alla ricerca di me stesso?
Chissà cosa mi aspettava.
Ma qualunque cosa fosse, sentivo che lo avrei scoperto presto e già non vedevo l'ora.

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