Capitolo 2.

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Passai tutta la notte a leggere e studiare informazioni in merito a quelle "pagine nascoste".
Era l'una di notte quando mi misi seduto alla scrivania con il mio computer, per accedere agli indirizzi che avevo.
Guardai quei fogli: erano pieni di numeri e lettere accostate fra loro senza un apparente criterio o qualora ci fosse era davvero molto strano, diverso da qualunque altro indirizzo web.
Mi incuriosì il fatto che fosse un elenco numerato ma in modo disordinato. Il primo indirizzo della lista, ad esempio, accanto riportava il numero tre.
Pensai che potesse essere una sequenza di ricerche da dover eseguire in modo ordinato.
Digitai l'indirizzo riportato con il numero uno nella barra del browser: era una lunga sequela di caratteri alfanumerici senza alcun senso. Per copiarla dovevo prestare molta attenzione, perché era davvero facile confondere fra loro quei caratteri e inserire l'indirizzo sbagliato.
Dopo aver completato questa operazione e aver cliccato invio, mi resi conto che Google non mi aveva indicizzato nessun sito. Il che risultò abbastanza strano.
Ci provai svariate volte, prima di giungere alla conclusione che probabilmente il mio portatile non era abbastanza aggiornato.
Ma ero così curioso e preso da tutta quella storia che niente mi avrebbe fermato.
Mio fratello, per quanto detestabile, era un ottimo informatico e disponeva di discreti aggiornamenti sul suo portatile. Per di più era assente a quell'ora immaginai che se la stesse beatamente spassando in qualche festa e non sarebbe tornato prima dell'alba.
Mi diressi in camera sua e afferrai il suo portatile. Dopo averlo acceso e aver indovinato la sua password, che era banalmente il nome che aveva dato al suo membro, ebbi via libera.
Aprii il motore di ricerca, notando che mio fratello ne usava uno che non avevo mai sentito. Digitai ancora il primo indirizzo, sperando che funzionasse e che essermi reso conto ulteriormente dell'infantilità di mio fratello non fosse stata una cosa inutile.
Fui soddisfatto quando vidi la schermata del computer presentare uno strano portale, simile ad un elenco pieno di siti che sembravano infiniti.
Molti erano simili a quelli scritti sui fogli di Greco, perciò cercai tra quelli l'indirizzo 2.
Non so come fu possibile, ma una volta trovato quello che mi interessava, cliccai su di esso per aprirlo.
Finita questa operazione mi sembrò che tutto si stesse facendo troppo strano e insolito e come se non bastasse avevo un brutto presentimento. Ma non mi lasciai fermare.
Nonostante la connessione internet fosse forte, la pagina impiegò diversi minuti per aprirsi.
Dopodiché osservai ciò che era apparso: la home di un blog.
Questo potrebbe apparire normale ma c'era qualcosa di strano dietro ogni cosa che vedevo, come se mi fossi perso nel web e fossi finito in un posto poco tranquillo.
Colori vermigli e tonalità di nero inchiostro si univano ad un verde acceso che sembrava tuffarsi in un succo violaceo versato sullo sfondo.
Quel mio timore risultò un ostacolo nel momento in cui mi fu richiesta l'iscrizione al blog.
Ma ancora una volta non badai a tutte queste debolezze e andai dritto a ciò che stavo cercando.
Dopo aver inserito i miei dati, alcuni veri ma altri per la maggior parte falsi - per precauzione, non si sa mai - ebbi accesso completo ai contenuti.
Lo trovai. In quel blog c'erano utenti che avano discusso di quello che mi incuriosiva da settimane. Le pagine nascoste. Trovai diverse informazioni tra mille strane e arcane conversazioni degli altri utenti.
Lessi tutto con attenzione e poi cercai gli altri indirizzi, fino ad esaurire tutti quelli della lista.
Erano tutti complessi da scrivere e tutti aprivano la stessa identica pagina con gli stessi identici contenuti, aggiornati al secondo.
Dopo aver ripetuto quell'azione per tutta la lista mi sembrò di impazzire.
Ogni volta che vedevo riaprirsi quel blog ad ogni indirizzo, così tante volte fino a diventare pazzo, sentivo la cosa farsi sempre più disturbante.
Chiudendo gli occhi nel buio nascosto dalle palpebre, strani flash continuavano a riprodurre continuamente e poi ancora e ancora e senza sosta il portale di quel maledetto blog. I suoi colori accesi e mescolati fra loro in maniera cacofonica e scriteriata, sporcavano il nero che solitamente copre le pupille degli occhi chiusi e alterarono la mia vista e la sua percezione cromatica.
Mi sembrava di non avere più pace. Ero perseguitato.
Spensi con forza il computer senza nemmeno uscire dal web, dopo aver cercato l'ultimo indirizzo e aver sperato vivamente, ma invano, che non aprisse ancora una volta quella pagina.
Mi trascinai fino al divano, con le prime luci dell'alba che penetravano dalla mia finestra.
Con le ultime forze di pensiero rimaste, cercando di riprendermi e di tornare lucido, pensai più volte a quello strano comportamento del signor Greco.
Per quale motivo aveva rifiutato di aiutarmi, per poi farlo ugualmente lasciando quella cartellina?
Ero certo che si trattasse di un gesto volontario, lui non era affatto un tipo distratto. Sapeva di aver lasciato lì quei documenti.
Tra questi pensieri mi addormentai all'alba, col corpo sul divano sommerso da carte e cartacce contenenti appunti che avevo preso nella mia folle visita su quel blog.
Mi svegliai di soprassalto quando udii la suoneria del mio cellulare. Senza nemmeno controllare chi mi stesse chiamando, con la voce impastata dal sonno, risposi poco lucidamente strizzando gli occhi.
-Pronto?-
-Alexander, - era Greco. Perché mi chiamava a quest'ora? -alle nove e mezza al Rossi.- espose in quello che sembrò un ordine, con un tono che non ammetteva repliche. Mi lasciò sorpreso anche il fatto che avesse omesso la presenza di verbi nella frase, cosa che marcò ulteriormente una qualche forma di severità.
-Sarò lì.- risposi fermamente, nonostante fosse tutto alquanto misterioso.
Passarono uno o due secondi dopo l'ultima sillaba da me pronunciata che la chiamata fu conclusa. Mi sembrò quasi come se Greco mi avesse chiuso il telefono in faccia, benché sapevo che non fosse così. Ma tutti quei gesti non facevano altro che dar forma ad un'atmosfera austera di mistero che si faceva sempre più fitta.
Ancora mezzo addormentato controllai l'orologio: erano le nove meno un quarto.
Avevo solo venticinque minuti per rendermi presentabile e venti minuti per raggiungere il punto d'incontro. Nulla di nuovo per me: in ritardo come al solito.
Molto velocemente, oserei dire letteralmente di corsa, mi tolsi di dosso i vestiti del giorno prima con i quali avevo anche dormito, lavai i denti, mi feci una doccia veloce, e indossai un pantalone largo color sabbia, una maglia bianca a maniche corte con lo scollo a v e i miei soliti stivali di pelle, che arrivavano poco sopra la caviglia e portavo sempre slacciati.
Prima di uscire di casa presi il pacchetto di sigarette e l'accendino, che infilai in una delle tante tasche del pantalone. Poi indossai il mio adorato giubbino di pelle, presi il cellulare e uscii di casa.
Procedendo a passo svelto per strada verso il Rossi, infilai le mani nelle tasche dei pantaloni e apprezzai il profumo del vento quasi autunnale.
Guardai l'orologio che portavo al polso: le nove e venti.
Oltre al fatto che ero l'unico essere umano che non riusciva nemmeno per una volta a non far ritardo non potei far a meno di chiedermi perché avesse scelto proprio il Rossi.
Certo non era niente male come posto, ma un uomo distinto come lui avrebbe preferito il migliore del paese: il Meletti.
Perché accontentarsi del Rossi?
Che fosse una questione di costo era da escludere, erano entrambi i due più costosi del paese ma l'unica cosa che li differenziava davvero era la postazione.
Il Meletti era sempre il più affollato, con sede nella zona centrale, più frequentata da tutti i paesani. Il Rossi invece no, era più fuori mano, nonché più riservato e con meno clienti.
Il Rossi, per intenderci, poteva essere il luogo perfetto per discutere di affari importanti che richiedevano la massima riservatezza, lontano dalle voci di paese.
Queste mie supposizioni non facevano altro che incrementare la mia fame di sapere: una curiosità insaziabile.
Con questi pensieri senza nemmeno accorgermi mi trovai davanti al bar Rossi.
Intravidi Greco seduto all'esterno, ad un tavolino sulla stradina su cui si affacciava il locale, intento a leggere un giornale mentre qualche foglia color autunno gli svolazzava attorno alla sedia.
Riguardai l'orario per l'ennesima volta in quella mezzora: le nove e trentacinque.
Lo raggiunsi a passo svelto.
Sentì il suono dei miei passi e distolse lo sguardo dal giornale per guardare me.
-Sei in ritardo, Alexander.- mormorò serio, piegando il suo giornale e posandolo sul tavolino.
Non sarei in ritardo se lui avesse scelto il Meletti, a soli cinque minuti da casa mia.
-Si, lo so. Mi dispiace.- mormorai prendendo posto sulla sedia di fronte a lui.
-Buongiorno comunque.- aggiunsi una volta seduto.
-Sai di cosa voglio parlarti, no? Penso tu ti sia accorto che questa non è una normale lezione...- esordì lui, ignorando le regolari procedure di saluto seguite da inutili "come va?" o "bella giornata, vero?"; il che ad altri potrebbe sembrare maleducato ma non a me, che avevo intuito la singolarità della situazione e non vedevo l'ora di arrivare al dunque.
-Vuole parlarmi delle pagine?- risposi senza esitare troppo. Le mie curiosità stavano per essere soddisfatte.
Al suono di quel nome cambiò espressione, non saprei ben spiegarlo ma si fece meno serio, meno formale.
Quel suo cambio di umore fu seguito da un breve silenzio.
Aggrottai la fronte, chiedendomi perché non proferisse parola quando sentii dietro di me dei passi.
- buongiorno signori, cosa posso portare?- domandò un uomo sulla trentina in tenuta da cameriere.
- due caffè. Grazie.- rispose Greco prima che potessi aprir bocca, cosa che mi lasciò allibito.
Certo, avrei preso il mio solito caffè mattutino, era una mia abitudine e probabilmente lui lo sapeva, ma si trattava di quel genere di risposte che spetta a te dare.
Per un momento mi parve un gesto arrogante e presuntuoso. ma sorvolai ancora una volta pensando all'obiettivo per cui mi trovavo lì.
-Hai una faccia... Scommetto che hai passato la notte su quegli indirizzi.- bisbigliò lui accennando un mezzo sorriso.
Annuii e sorrisi anche io: quell'uomo mi conosceva proprio bene.
Prima che uno dei due potesse aprir bocca arrivarono i nostri due caffè fumanti che bevemmo immediatamente, come se avessimo una gran fretta o forse era proprio così.
Mentre bevvi un ultimo sorso notai il suo sguardo fisso, mi sentii come se mi stesse esaminando attentamente.
-Ora può dirmi tutto.- dissi posando la tazzina da caffè. Ero ansioso di risposte.
-Avevi ragione alla fine... Non si tratta di un argomento come gli altri.- iniziò incrociando le dita di una mano con le altre.
- Ci sono dei manoscritti che contengono le pagine nascoste, ma non si conosce il loro contenuto né a cosa conducano, eppure c'è chi è sulle loro tracce. È abbastanza strano, no?- proferii quelle parole, stando attento a non farmi sentire.
- Lo è, Alexander. Girano molte voci...- quasi sussurrò, Greco.
- Che genere di voci?- domandai, sorseggiando un goccio d'acqua.
- C'è chi dice che trovarli significherebbe mettere a repentaglio la propria vita e che nessuno sopravviva dopo averle trovate.- bisbigliò, stando attento a chi c'era attorno.
-Nessuno sopravvive? E queste storie da dove provengono?- lo interruppi, accennando un sorriso per poi ritornare serio.
- Presta attenzione. Ciò che sembra essere più pericoloso non è il contenuto delle pagine ma ciò a cui conducono, Alexander.- rispose serio, guardandomi dritto negli occhi.
- Ma effettivamente non si sa a cosa conducano...- ribattei sicuro delle mie parole.
- Conducono altrove. Se non disponi della giusta cautela e segui ogni indicazione lì riportata, potresti trovarti solo nei guai.- raccontò con la voce bassa.
- È per questo che c'è tanta gente intenta a trovarle.- cominciai a collegare fra loro le informazioni. Più un uomo sa che è sconsigliabile far qualcosa, più gli vien voglia di farla. E se Greco stava seguendo questa logica, stava funzionando alla grande con me.
- Esattamente. Ma ora, lasciami capire, tu sei fra questi?- aggiunse con un filo di preoccupazione.
- Non mi lascerò far spaventare da storielle metropolitane e leggende da libri per ragazzini. Sono manoscritti di proprietà privata dopotutto; chi li possiede dovrà sapere a cosa servono.- mi incoraggiai.
- È questo il punto, Alexander. Se c'è gente alla ricerca di quei testi vuol dire che non sei l'unico disposto a trovarle e che può esserci qualcun'altro che conosce dati e notizie di cui noi non disponiamo. Mi riferisco a informazioni che spieghino perché questi testi siano stati scritti e da chi.- insinuò Greco.
- Sono chiamate "le pagine nascoste" un motivo deve pur esserci...- replicai immediatamente.
- Tu vuoi trovarle.- disse preoccupato, poggiando una sua mano sul mio braccio, steso sul tavolino, e portando l'altra sulla sua fronte.
- Sì, studio lettere, diamine. Non mi spaventa cercare un manoscritto in giro per le biblioteche, non sarebbe la prima volta. Ho solo bisogno di sapere da lei da dove posso cominciare.- domandai credendo a stento alle sue parole.
- Sei sicuro davvero di volerlo fare?- continuò a ripetere, prendendomi per un incosciente.
- Entrambi sappiamo che è così, perché sappiamo come sono fatto.- continuai convinto di ciò che volevo fare.
- Allora stammi bene a sentire, perché potrebbero essere ovunque.- fece un lungo respiro prima di cominciare. - Non tralasciare nessun luogo, persino il più insignificante. Ricorda: molti dicono che i libri abbiano una copertina di cuoio, non abbiano titolo e che le ultime 10 pagine di ogni libro siano vuote. I libri non portano mai alcuna firma o sigla, ma se sei fortunato in una di quelle dieci pagine potresti trovare qualche segno utile a farti riconoscere la natura e la provenienza del libro. Potresti trovare la sigla p.n. per pagine nascoste.- spiegò nei minimi dettagli con molta cura, ma con una certa strana fretta. Ascoltai tutto con attenzione sebbene mi venisse difficile, dal momento che lui guardava ogni due secondi le lancette del suo orologio, buttando qualche occhiata qua e là nel locale.
- Ma come posso riuscirci? È praticamente impossibile.- mi scoraggiai, benché la cosa per me si facesse molto interessante, direi irresistibile.
- Scusami Alexander, devo allontanarmi un attimo per fare una telefonata.- annunciò repentinamente, alzandosi dalla sua sedia e raggiungendo una zona isolata del locale. Rimasi lì seduto a pensare e ripensare alle parole che avevo ascoltato, convincendomi ogni minuto di più che si trattava di qualcosa che era troppo difficile per me.
Annotai quelle informazioni calde su una nota del cellulare, fino a quando non mi resi conto che erano passati ben tredici minuti da quando si era allontanato.
In quello stesso momento vidi venire, verso il tavolo accanto al mio, un cameriere con pezza e disinfettante per pulire.
-Mi scusi, ha visto il signore che era con me?- domandai osservandolo pulire il mio tavolo.
-Ah si, ha pagato al mio collega e mi ha chiesto di portarvi le sue scuse per essere andato via così all'improvviso.- mormorò quelle parole come se non avessero importanza.
Mi sorpresi che Greco fosse fuggito ancora una volta. E quella che fino a poco tempo prima era solo una sensazione, ora diventava una tesi: quell'uomo stava nascondendo qualcosa.
- Nient'altro?- chiesi ancora preso dai miei pensieri.
- E ha lasciato questo da darle.- aggiunse infine il cameriere, allungando la mano verso la tasca del suo grembiule per poi porgere il contenuto a me.
Presi tra le mani un biglietto logoro e stropicciato. Era un biglietto da visita del bar "pagine al caffè", un piccolo locale vicino al ponte sul fiume.
Girai il biglietto dall'altra facciata notando la calligrafia di Greco, che probabilmente in modo veloce aveva riportato due parole dalla calligrafia intrecciata e stilografata sul primo pezzo di carta che gli era capitato in tasca.
La mia mente lesse quelle due parole molto lentamente, come se facesse fatica a pronunciarle: "cerca ovunque".
Due parole che nascondevano un nonsochè di inquietante che mi fece un tantino rabbrividire e preoccupare.
Più che un invito o un consiglio sembrava un avvertimento a scappare da un posto all'altro. Senza sosta.

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