Capitolo 8.

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Quella stessa sera, ero ancora lì, su quella spiaggia.
Mi resi conto che l'aria era troppo calda e umida quella sera per un clima preautunnale.
Si godeva ancora di una temperatura estiva.
Osservai la luna riflettersi nel mare e creare briciole di luce, che brillavano sull'acqua dello stesso colore della notte.
Libertà vuol dire innanzitutto liberarsi delle proprie insicurezze e affidarsi a se stessi, come se fossimo pienamente in grado di fare scelte giuste da soli.
Iniziai a spogliarmi, rimanendo in boxer.
Lasciai i miei vestiti lì, sulla spiaggia cosparsa di ciottoli e mi addentrai nel mare.
L'acqua era ancora molto calda e assaporai gli attimi di quella piacevole sensazione sulla pelle.
Quando fui bagnato ormai fino al busto, mi lanciai in avanti, scivolando sott'acqua con un movimento fluido, ritrovandomi tutto bagnato, dalla testa ai piedi.
Uscii la testa dall'acqua, godendomi una piacevole sensazione di pulito addosso, quella che senti quando sai di aver fatto scivolare tutte le preoccupazioni via e diventi un po' più leggero.
L'unico rumore esistente quella notte era quello delle mie gambe e delle mie braccia, che si agitavano nell'acqua per nuotare e inseguire la scia di luce lasciata dalla luna.
"Ecco che sapore ha la libertà" pensai tra me e me, rimanendo inerme sull'acqua, a pancia in su, a fissare le stelle e la luna, che pareva incombere su di me e illuminarmi come se fino ad allora fossi sempre stato spento.
La sottile linea, che divideva l'acqua dal cielo, sembrava circondarmi fino a farmi sentire per la prima volta cittadino del mondo.
Mentre apprezzavo tutto questo, udii un rumore.
Poi un altro.
Non ero da solo lì.
Non ero l'unico in acqua.
Dei brividi percossero la mia schiena.
Guardai nella direzione da cui proveniva il rumore: da una scogliera lontana.
Azzurra o forse ora dovrei dire Amelia aveva avuto la mia stessa idea.
Sorrisi a guardarla.
Dove altro si trovano due pazzi che in una notte di settembre se ne vanno a fare un bagno in spiaggia da soli?
Rimasi qualche secondo a vederla in lontananza, mentre rompeva quel silenzio tuffandosi.
Non ebbe modo di accorgersi di me, grazie al buio e alla lontananza, ma per non rischiare di spaventarla o farla sentire a disagio mi spostai, nascondendomi. Osservai tutto da una fessura tra due grandi scogli abbastanza alti, mentre col corpo, immerso ancora in acqua, mi tenni appoggiato alla pietra bagnata con le mani.
Iniziò a nuotare velocemente, freneticamente, come se avesse un urgente bisogno di mettersi in salvo e arrivare chissà dove, o come se si stesse allenando per una grande gara agonistica. In realtà credo che fosse solo il suo modo di sfogarsi per dei motivi che non potevo conoscere, come quasi tutto di lei.
Più si addentrava nel mare aperto, più sembrava accelerare.
Non guardò mai indietro per vedere quanto tragitto aveva percorso.
Mi chiedevo dove trovasse tutte quelle forze, dopo la giornata che aveva affrontato.
Arrivò davvero molto lontano, più lontano di dove chiunque potrebbe immaginare.
Se mi ero chiesto con quali forze era arrivata fin lì, non avevo davvero idea di come avrebbe fatto a ritornare.
La guardai fermarsi a decine e decine e decine di metri dalla costa.
Non si mosse e prese a galleggiare a pelo d'acqua, immobile come il mio sguardo puntato su di lei.
Poi riprese a nuotare per tornare a riva, visibilmente stanca. Dopotutto lo era già dopo essere arrivata fino lì, come avrebbe fatto?
Era come se sentissi il dolore nelle mie gambe e nelle mie braccia, sentivo il mio respiro affannato, sentivo su di me la stanchezza e la fatica. Io che ero solamente fermo a fissarla da lontano dietro quegli scogli.
Però la vidi pian piano avvicinarsi sempre di più alla riva, mentre la guardavo ammirato e incantato da tanta determinazione.
Mise un piede tremolante, dove iniziò a toccare e camminò fino ad arrivare a riva.
Quando fu sulla spiaggia, si lasciò cadere piano sui mille piccoli sassolini ed emanò qualche gemito silenzioso che esprimeva stanchezza e soddisfazione.
Il suo petto si sollevava e abbassava velocemente, mentre, sul suo corpo quasi nudo, scorrevano goccioline che, alla luce della luna, sembravano madreperlate.
Teneva gli occhi chiusi e prendeva lunghi respiri, tirandosi indietro i capelli bagnati.
Era estremamente sensuale e chiunque avrebbe pagato per essere lì al mio posto a guardarla indisturbato.
Non ero quel genere di maniaci che spiano le ragazze in bikini, ma credo che fossi più simile a qualcuno che ammira da lontano un'opera d'arte, solo per non rovinarla col proprio fiato.
E diamine se era bella, era dannatamente bella.
E persino il suono flebile del suo respiro affannato era così affascinante che lasciava immaginare cose che nessun ragazzo per bene dovrebbe ammettere di pensare.
Mi maledii nella mia mente per come mi stavo comportando.
Dovevo voltarmi dall'altra parte e non guardarla ma mi veniva maledettamente difficile. Era un incanto.
Non mi ero mai sentito così. O meglio, non mi era mai stato troppo difficile resistere a questo genere di tentazioni.
Temetti di essere scoperto quando improvvisamente si mise seduta e guardò nella mia direzione.
Mi nascosi velocemente dietro lo scoglio, voltandomi di spalle e lasciai scivolare il mio corpo in basso contro quella fredda e umida pietra, fino a tenere fuori dall'acqua solo la testa.
Pregai dentro di me che avesse cambiato idea e si fosse autoconvinta che lì non doveva esserci nessuno. Chiusi gli occhi strizzandoli, contrassi i muscoli e trattenni il respiro finché mi fu possibile.
Dopo aver contato nella mia mente fino a dieci, decisi di dare un'occhiata per vedere se era ancora lì.
Era seduta a gambe incrociate sulla spiaggia, mentre teneva sulle spalle un asciugamano e tra le gambe un libro aperto. Stava leggendo e con una matita scriveva qualcosa.
Strizzai gli occhi stupito e lo riconobbi: era un altro volume della collezione.
Rimase lì a leggerlo per un po' e iniziai a sentire freddo, per il troppo tempo trascorso in acqua. Ma non avevo altra scelta che rimanere lì zitto senza fiatare, dopotutto ne era valsa decisamente la pena.
Dopo una manciata di minuti, sentii da lontano un campanile di paese rintoccare la mezzanotte.
Quel suono sembrò destarla dalla sua lettura.
Guardò indietro, verso le luci di paese, da dove provenivano ancora suoni e rumori. Tolse l'asciugamano riponendolo a posto, ormai quasi asciutta del tutto. Infilò il suo vestitino beige e degli stivali, si guardò attorno prima di mettere il libro nella sua borsa e, dopo che ebbe chiuso quest'ultima, corse via mettendosela in spalla.

Ne aveva altri. Non era finita.
E nel momento in cui fui fuori dall'acqua, continuando a fissare la direzione da cui era uscita pochi minuti prima, capii che per me tutta quella esperienza sarebbe stata come la sua folle nuotata verso il largo.

Una sfida contro me stesso.

Perché mettersi alla prova vuol dire iniziare a giocare sul serio.

Tornai di corsa nel mio appartamento per farmi un bagno caldo. Il calore dell'acqua sembrò sciogliere ogni mia tensione e preoccupazione, abbandonandomi in una condizione quasi assoluta di relax.
Uscì dal bagno con solo un asciugamano avvolto in vita. I piedi scalzi accarezzavano la moquette della mia camera.
Aprii la finestra e mi accesi una sigaretta, quando il mio cellulare trillò.
Lo presi e lo sbloccai, con un'espressione alquanto stranita sul volto.
Era un messaggio. Anonimo.
Spalancai gli occhi, sorpreso e preoccupato. Spensi e gettai via la sigaretta.

"Complimenti per l'ottimo lavoro, Alexander! Siamo felici di averti sul nostro blog. A presto."

Sentii, per la prima volta, il sangue gelarsi nelle vene e gli organi interni contrarsi, fino a svuotare le mie membra.
Il respiro sembrò accelerare fino a soffocarmi.

Quando avevo compilato l'iscrizione su quel blog, inserii molti dati falsi e quelli più inutili e generici reali. Ma avevo certamente omesso il mio vero nome e il mio reale numero di telefono.

Lasciai cadere il cellulare sulla scrivania, facendo passi indietro per allontanarmene.
Portai entrambe le mani alla faccia, iniziando a sfregarne nervosamente la pelle.

Quella che era una banale sensazione, ora divenne una effettiva realtà.

Non ero più al sicuro.

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