Anche quella sera, Amelia raggiunse la spiaggia e io me ne stavo sul balcone del mio appartamento, a godermi quell'appuntamento quotidiano, come ogni sera dopo la prima.
Però quella sera il mare era estremamente agitato, le onde, più alte di un metro, sembravano scagliarsi violentemente le une sulle altre, ansiose di infrangersi a riva.
Il mare era nero e la schiuma grigia, il cielo buio, spento e la luna coperta da prepotenti nuvoloni.
Il vento soffiava forte, era secco e tiepido e l'ululare delle raffiche rendeva tutta l'atmosfera ancora più macabra e pericolosa.
Era tutto talmente poco rassicurante che avevo sperato che quel giorno non venisse, per timore.
Ma Amelia entrò ugualmente in acqua con l'eleganza di un delfino e la sensualità di una sirena.
Assistevo preoccupato alla scena, durante la quale le onde e la corrente le rendevano difficile seguire una traiettoria dritta verso il largo.
La vidi avvicinarsi pericolosamente in una zona in cui, in tempi passati, i pescatori lasciavano le proprie reti.
Lì era pieno di cavi, corde e cime intricate fra loro che, incastrate sott'acqua al fondale, rendevano quell'area una grossa ragnatela per umani.
Me ne stavo lì, col fiato sospeso, a pregare che si girasse indietro e tornasse verso riva.
Ma proprio quando pensavo che stesse per voltarsi indietro, vidi che non riusciva più a muoversi.
Agitava le braccia e le gambe ma rimaneva sempre ferma lì, in balia delle onde.
Si toccò la caviglia, tentando di liberarsi da qualcosa.
Era rimasta bloccata.
Fui preso dal panico, almeno quanto lei.
Quanto più si muoveva verso avanti, tanto più la cima, che le teneva la caviglia, la ritirava indietro; spingendola sott'acqua con forza maggiore, mentre le onde la sovrastavano rubandole dei respiri incompiuti.
Afferrai un asciugamano e corsi giù in spiaggia.
Riuscivo a sentire le sue urla soffocate dall'acqua e la disperazione dei suoi movimenti.
Mi spogliai rimanendo in boxer e mi scaraventai in acqua.
Nuotai più veloce che potevo, fregandomene della corrente e delle onde.
Nuotai con tutte le forze che avevo in corpo, come quando corsi a prendere quel treno che mi aveva portato fin qui.
Non mi ci volle molto a raggiungerla e, quando fui lì vicino, era già esausta per aver sprecato tutte le sue forze inutilmente.
Si dimenava, beveva acqua e tossiva e poi si dimenava, beveva e tossiva.
Aveva una cima spessa, aggrovigliata attorno alla sua caviglia destra, come un tentacolo di una orribile creatura marina.
Era impossibile liberarla di là.
Mi immersi sott'acqua, per vedere dove la cima fosse legata. Era fissata su un relitto, che sembrava una gabbia di ferro vecchia e arrugginita.
Era buio, l'acqua mi sovrastava e la potenza delle onde mi scagliava contro gli scogli, poco distanti.
Era difficile rimanere lì a lungo e dovevo fare presto.
Riemersi per prendere fiato e mi immersi nuovamente, cercando qualcosa con cui tagliare la cima. Nell'acqua buia e con la vista un po' offuscata, intravidi una lattina grossa di alluminio rotta e abbastanza recente. Mi allungai abbastanza da toccarla, procurandomi un taglio sulla mano che iniziò a bruciare. Avvicinai un capo alla parte tagliente della lattina, iniziando a consumare le fibre della corda.
Stavo per esaurire l'ossigeno ma fortunatamente la cima era vecchia, logora e consumata e, dopo qualche altro tentativo, riuscì a spezzarla.
Riemersi velocemente, affannato, senza fiato e dando ai miei polmoni più aria possibile, mentre contemporaneamente mi muovevo per non allontanarmi da Amelia, che ormai esausta e spaventata sembrava sul punto di svenire.
Tentò di compiere un movimento ma era pallida e non era più in grado di nuotare.
La afferrai dalla vita, mettendo un suo braccio attorno al mio collo e mi affrettai a raggiungere la riva, che sembrava allontanarsi sempre di più man mano che proseguivo.
Mi sembrava di rimanere fermo e, per la disperazione, nuotavo ancora più forte, sentendo le forze diminuire sempre di più, mentre Amelia aveva ormai smesso di essere cosciente. Avevo paura che non stesse respirando più.
- Amelia, Amelia!- urlai disperato, muovendola un po' sperando di svegliarla ma non rispose.
Mi parve impossibile essere arrivato, quando poggiai la punta del piede sul fondale.
Stando attendo a non cadere a causa delle onde, presi in braccio Amelia tenendola da sotto le gambe con un braccio e per la schiena con l'altro.
La poggiai a terra, cercando di essere più delicato possibile.
Avvicinai l'orecchio al suo petto: il cuore batteva ancora.
Mi misi in posizione per praticarle un massaggio cardiaco.
Avvicinai la mia bocca alla sua per darle ossigeno e spinsi al centro del torace.
Dopo pochissimo iniziò a respirare.
Singhiozzava, mentre tossiva per tutta quanta l'acqua che aveva ingerito, quando stava annegando.
-Va tutto bene, sei al sicuro ora.- mormorai, avvolgendola nel suo asciugamano che aveva lasciato accanto alla borsa.
Dopo aver tossito abbastanza, prese a respirare normalmente e si addormentò.
Io esausto, ebbi solo le forze di indossare i miei pantaloni e prendere il mio telo per coprirmi e mi stesi sui sassolini, stanco morto e col fiato corto.
E mi sentii cadere in un sonno profondo.
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Chi cerca si nasconde
Mistério / SuspenseCapelli lunghi mossi e sempre scompigliati, giacche di pelle, pacchetti vuoti di sigarette. Uno spirito libero, grande tenacia nel sangue e un'insaziabile curiosità fanno di Alexander Carter un ragazzo che ama essere padrone della sua vita, eppure d...