Capitolo 4.

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Dopo aver davvero realizzato che il libro che avevo fa le mani era realmente ciò che pensavo, lo afferrai e uscii di corsa dal locale, ritrovandomi nel bel mezzo del centro storico.
Dovevo trovarla. Quella ragazza aveva a che fare con ciò per cui stavo impazzendo da giorni ormai.
Mi guardai attorno, sperando disperatamente di vederla.
Alla fine della stradina su cui era il locale, intravidi dei lunghi capelli color cioccolato che accarezzavano una schiena coperta da una camicetta azzurro cristallo.
Felice di averla trovata, ma non per questo più tranquillo, diedi via ad una corsa frenetica per raggiungerla.
Sfrecciai tra passanti incuriositi dal mio comportamento, alcuni, troppo presi da qualche telefonata, che mi ignoravano del tutto e altri, con cui avevo rischiato di scontrarmi, che imprecavano contro di me furiosi.
Ma poco mi importava di loro, avevo solo un obiettivo.
La vidi svoltare in una stradina a destra.
Con distacco di una ventina di metri, svoltai anch'io correndo come un pazzo, ma sfortunatamente mi scontrai con un signore che trasportava qualche cassetta di frutta una sull'altra e cademmo entrambi a terra.
Steso a terra, un po' tutto dolorante, alzai la testa, strizzai gli occhi per via del gran mal di testa dovuto alla caduta e vidi la ragazza entrare nel terzo portone della stradina.
Poi mi preoccupai immediatamente del libro: fortunatamente intatto, a terra accanto a me.
Lasciai ricadere la mia testa sul suolo, tenendomi le tempie con una mano e sbuffai energicamente, rimanendo steso a terra.
Nel giro di pochi secondi, attorno a me e all'altro signore, c'erano già una decina di passanti giunti in soccorso.
Fecero alzare il signore, non curandosi di me.
Mentre ero ancora steso, recuperando il fiato e tentando di capire se avessi qualcosa di rotto, sentii il mio cellulare suonare.
Lo tirai fuori dalla mia tasca e vidi che era mio fratello.
-Dimmi.- risposi, alzandomi in malo modo e mettendomi seduto a terra.
-Ma si può sapere dove sei finito?- urlò dall'altra parte del telefono. -Oggi ci fanno visita mamma e papà!- sbraitò furioso. Solitamente ero io a ricordargli questo genere di cose.
Guardai l'orario erano le dieci e i miei sarebbero arrivati a minuti.
Ero in ritardo come al solito.
-Ho avuto un contrattempo, arrivo.- mugugnai, imprecando in silenzio contro non so cosa e mettendomi in piedi per poi chiudere la chiamata.
Riposi il cellulare in tasca mentre osservavo i passanti prestare aiuto al signore con cui mi ero scontrato. Erano occupati a raccogliere la frutta e il signore a lamentarsi con gli altri della mia distrazione, e di "questi maleducati giovani d'oggi".
Non sapendo che fare, essendo per altro in ritardo per la visita dei miei che avveniva tre o quattro volte l'anno, raccolsi il libro e approfittai della situazione per darmela a gambe.
Feci più in fretta che potevo per arrivare a casa. Quando suonai venne mio fratello ad aprirmi.
- Eccoti finalmente. Ma che diavolo hai combinato?- chiese riferendosi al mio pessimo aspetto: disordinato a dir poco e senza fiato.
Gli feci cenno di lasciar perdere, e non avendo tempo per darmi una sistemata, appesi il mio giubbotto di pelle, nascosi in un cassetto del comò il libro e andai a salutare i miei in salotto, seguendo mio fratello.
- Tesoro, che hai combinato?- mi venne incontro mamma abbracciandomi amorevolmente.
- Niente, mamma. Ho solo avuto un imprevisto, nulla di grave.- la tranquillizzai. Quella ragazza del bar era il più bell'imprevisto che mi fosse capitato.
-Felice di rivederti, papà. Com'è andato il viaggio?- dissi a mio padre, abbracciandolo.
- bene, gran bel mare e gran bel vento.- rispose sereno.
I miei presero posto sul divano e io e mio fratello su due poltrone.
- Con Ed, ho già parlato. Che mi racconti invece tu, Alexander?- domandò con fare premuroso mia madre.
-Ehm, nulla, mamma. Tutto bene, solita vita.- risposi, andando sul vago.
-Sempre il solito ritardatario, distratto, disordinato di sempre.- aggiunse mia madre, sorridendo. Sorrisi a mia volta un po' imbarazzato per non aver dato la giusta importanza alla visita di oggi.
-Non le dici della ragazza?- spifferò mio fratello, sogghignando. Lo fulminai con lo sguardo. Un giorno era passato al locale, per vedere dove fuggissi tutte le mattine, e aveva tastato il mio visibile interesse per quella ragazza.
-C'è una ragazza, Alexander?- chiese curioso mio padre.
-No, no papà.- negai senza esitare troppo.
-Si che c'è.- replicò Edward, divertendosi del giochetto.
-Invece no.- continuai io, irritato.
-Ale, sai che puoi dirci tutto. Dai, che sono curiosa, chi è?- insistette mia madre con fare dolce.
-Nessuno, mamma.- pronunciai guardando male mio fratello sempre più divertito. -non conosco nemmeno il suo nome...- aggiunsi tra me e me sottovoce, con una punta accentuata di dispiacere e lo sguardo a terra. Poi feci del mio meglio per introdurre un discorso che ci facesse cambiare definitivamente argomento.
Io e mio fratello trascorremmo il resto della giornata con i nostri genitori.
Facemmo una gita in giro per i boschi vicino casa e paesini caratteristici dai meravigliosi paesaggi, una gita di consuetudine da quando ero solo un ragazzino adolescente.
Ci raccontarono delle loro avventure in barca, di quanto amassero la Grecia, delle persone che avevano conosciuto, e delle esperienze che avevano fatto.
Ascoltai le loro storie, dopotutto erano affascinanti, ma per tutto il tempo non feci altro che pensare a lei, decisamente più affascinante di qualunque storia.
Ogni volta che la immaginavo nella mia testa lei era azzurra.
Aveva sempre qualcosa di quel colore addosso, e lei amava indossarlo in tutte le sue sfumature. Ma la mia tonalità preferita di azzurro che aveva addosso era quella dei suoi occhi: qualcosa di incantevole e spaventoso allo stesso tempo.
E poi c'era quella fogliolina disegnatale sul polso, un dettaglio che non riuscivo a dimenticare.
Inoltre più passava il tempo, più fremevo dalla voglia di riprendere quel libro tra le mie mani e iniziare a conoscere tutto ciò che nascondeva al suo interno.
Quando salutammo i miei erano le sette di sera, ci diedero un ultimo abbraccio per poi ripartire via.
Non appena fui a casa tirai fuori dal cassetto il libro, mi chiusi a chiave in stanza come se nascondessi un grande segreto, o forse era davvero così.
Finalmente giunse il momento di scoprire cosa contenevano quelle pagine.
Accesi la luce della mia scrivania e mi misi seduto.
La copertina di quel libro era di cuoio, non nuova e indenne ma nemmeno abbastanza logora per essere un libro usato, il che lasciava immaginare che ben pochi lo avessero avuto tra le mani, cosa già abbastanza intuibile trattandosi di quei manoscritti. L'accarezzai: era sorprendentemente liscia, come se fosse stata creata apposta per sfuggire e scivolare dalle mani di chi volesse possedere quel libro.
Il libro era perfettamente rilegato, le pagine- qualche centinaia- poco sfogliate, erano di una discreta qualità di carta appena più opaca e giallastra di un bianco comune.
Girando con le dita quelle pagine mi colpii molto che in nessuna parte del libro le pagine erano state precedentemente ben piegate tra loro, tanto da creare quell'adorabile spazio nel libro che lo lascia aprirsi naturalmente. Era una cosa che notavo sempre nei libri di seconda mano. Quello spazio fra due pagine indicava dove il lettore si era maggiormente soffermato, perché la lettura si era fatta troppo difficile e pesante o perché quella era la parte preferita su cui magari era tornato più volte. Quello era l'unico caso in cui una distanza poteva unire due metà.
Insomma quel manoscritto non sembrava avere nulla che lo rendesse così eccezionale.
Ma non potei far a meno di notare che era scritto interamente a mano, con una calligrafia stilografata che si intrecciava sulle righe, tanto da sembrare quasi viva.
Tutte le pagine trasudavano parole e frasi colme di emozioni, una delle quali non potei far a meno di notare.
"E se la luce può avere una voce, giuro quella notte riuscii a sentirla: ci urlava di scappare."
Quella frase mi rimase impressa e mi abbandonò a pensieri reconditi in me.
Scappare.
Scappare: era sempre stata un'idea molto affascinante per me.
No, non avevo una ragione ben precisa. Non desideravo cambiare la mia vita. Ma scappare senza averne motivo, allontanarsi all'improvviso dalla consuetudine ormai banale, andare lontano, dovunque volessi, senza mai lasciarmi fermare, doveva essere una cosa dannatamente bella e mi portavo dentro questo desiderio da sempre.
Ma ogni volta che quel desiderio cresceva, veniva a mancarmi il coraggio per abbandonare la mia realtà quotidiana senza un apparente motivo. Nessuno capirebbe.
Istintivamente infilai tra le ultime pagine la mano, fino ad allora rimasta sul bordo del libro, e chiusi violentemente il volume, accusandolo di aver risvegliato quella strana voglia in me.
Fu solo dopo essermi ripreso da tutto ciò che quella parola aveva provocato in me, che notai di non aver chiuso il libro. Era fermo su qualcuna delle ultime dieci pagine vuote.
E fu allora che mi resi conto che mi occorreva la conferma che si trattasse di un manoscritto dalle pagine nascoste. Dovevo cercare la sigla p.n. come mi aveva detto Greco.
Certo, quello era un libro privo di titolo, con una copertina in cuoio e le ultime dieci pagine vuote; ma possibile che non presentasse neppure un segno distintivo, una sigla, un simbolo di riconoscimento?
E nello stesso momento i miei occhi si posarono sulle due pagine aperte.
Nell'angolo in basso a destra della pagina destra c'era la lettera b, sull'angolo in basso a sinistra della pagina sinistra una specie di u. Questi caratteri erano in stampato minuscolo ed entrambi scritti a mano, come tutto il libro.
La notte si fondeva nel buio e spensi la luce, ma rimasi lì seduto, senza andare a dormire.
Rimasi deluso, non era ciò che mi aspettavo. Quel libro sembrava uno come tanti.
Non potevo ancora immaginare a cosa mi avrebbe condotto, ma probabilmente avrei dovuto seguire quell'istinto che mi ammonì di sbarazzarmene immediatamente.
Quel volume, chiuso e lasciato su quella scrivania, sembrava sussurrare incomprensibili maledizioni in lamenti disturbanti. Un debole raggio di luna che entrava dalla finestra illuminava il manoscritto, lasciando il resto della stanza immersa nell'oscurità più fitta. Mi stesi sul letto. Chiusi gli occhi e avvertii una strana sensazione: mi sentivo osservato da alcune pagine nascoste nel buio oltre le mie palpebre. E per la prima volta, quella notte, nella mia stanza non mi sentivo più al sicuro.

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