Parte prima, Capitolo III

118 24 8
                                    

Mi alzai per sgranchire un po' le gambe, ero ancora intorpidito dal fresco notturno e rimpiangevo le lenzuola del mio letto.
"Mi sveli perchè sono qui" dissi quasi spazientito.
"Lei deve dare un senso alla mia vita o alla mia morte"
"Questo me lo ha già detto signor... Com'è il suo nome?"
"E' cosi importante?" rispose indispettito, come se avessi deciso di svelare una parte della sua intimità.
"Sono qui per lei, dirmi il suo nome è il minimo che può fare per me"
Guardò a terra e fece una smorfia, come se stesse masticando tabacco, poi volse a me il suo sguardo.
"Marcus, mi chiamo Marcus"
Sorrisi sollevato, poi tornai a sedere.
"Dunque, signor Marcus, la ascolto" dissi, e l'uomo, fra mille pause e colpi di tosse, mi raccontò la sua storia.
"Fu circa un anno fa che vidi per la prima volta il cielo come la mia futura casa. Fu un'emozione che fatico a descrivere ancora oggi che sto per varcare per sempre la porta d'ingresso. Uscii dallo studio medico respirando a pieni polmoni, scosso da ciò che mi era appena stato detto. Questione di mesi, e sarei morto. In quel momento non lo avevo ancora realizzato del tutto, una notizia del genere può distruggerti all'istante, o può sfiorarti per settimane prima di colpirti in pieno petto. Avevo smesso di fumare da dieci anni, sa? - sorrise - Eppure comprai un pacchetto di sigarette e credo che lo fumai quasi tutto mentre tornavo a casa. Il resto lo regalai ad un mendicante seduto sul marciapiede.
Non mi curai dell'odore dei vestiti, dell'alito, che mia moglie avrebbe senza dubbio riconosciuto. Erano anni che ormai aveva smesso di odorarmi al rientro a casa per controllare che non avessi fumato di nascosto. Era ora di pranzo, e lei stava armeggiando in cucina. Appendendo il giacchetto all'ingresso sentii il rumore dei piatti e dell'acqua corrente, poi la sua voce. Mi diceva di sbrigarmi, che era pronto in tavola. Non le risposi. Entrai in cucina, passarono pochi secondi e le sue narici inspirarono rumorosamente accanto a me. Si era accorta che avevo fumato.
"Non ho parole" disse con poco interesse. "Il piatto è sul tavolo, io ho già mangiato. Buon appetito" aggiunse prima di andare in salotto.
Io e mia moglie non ci amavamo più, solo l'abitudine ci tratteneva insieme.
Le giornate seguenti passarono uguali alle precedenti, fuori non era cambiato nulla, ma io avevo un segreto. Solo io sapevo che presto quella routine sarebbe finita, almeno per me. Le mie notti passavano insonni, cercavo un modo per dire la verità a mia moglie, non volevo che soffrisse per me. Non ci amavamo, è vero, ma dopo molti anni di matrimonio è facile diventare una persona sola. E poi le ho già detto che l'abitudine ci tratteneva, noi eravamo abitudine, e con la mia morte sarebbe cambiato tutto."
Si fermò per un attimo, mi chiese un sorso d'acqua. Ero molto incuriosito dal suo racconto e seppure non ne capissi il vero senso gli chiesi gentilmente: "La prego, vada avanti".
L'uomo mi guardò con una specie di serenità dipinta sul viso, poi riprese a parlare.
"Una di quelle notti Sienna era fuori città, ad un convegno, ed io non riuscivo a dormire. Ero molto sudato e avevo una gran sete. Il sonno mi aveva completamente abbandonato, ero solo, così decisi di uscire di casa e con le mani in tasca andai a bere qualcosa in una birreria. In quel posto sembrava fosse pomeriggio, la gente parlava ad alta voce e sorrideva scolando boccali come bicchieri d'acqua mentre una ragazza, sul palco, cantava una vecchia canzone contro la guerra. Seduto al bancone scorsi un viso che mi sembrava di conoscere, e dopo aver ordinato anch'io una birra cominciai a fissarlo. Aveva un aspetto molto trasandato, e doveva anche essere ubriaco perchè sembrava molto stanco e sciupato. Poi vidi accanto al suo bicchiere un pacchetto di sigarette vuoto, e capii: era il mendicante. Mi sedetti sullo sgabello accanto al suo e senza dirgli niente ordinai un whisky per lui. Si voltò verso di me, stropicciando gli occhi, poi sorrise.
"Lei è l'uomo delle sigarette! Una faccia come la sua non si dimentica facilmente. Molta gente mi regala gli spicci che gli sono scomodi nel portafogli o magari qualche gomma da masticare, ma nessuno mi aveva mai donato sigarette e offerto un whisky nello stesso giorno. Lei è il mio angelo custode, mi dica la verità" mi disse con gratitudine.
Sorrisi, era più sobrio di quanto credessi. Bevemmo per un paio d'ore circa, e gli svelai tutto di me. Eravamo due ubriachi. In quel momento lui non era un mendicante, e io non ero malato. Eravamo due uomini sconfitti dalla realtà, due miserabili che si sostengono a vicenda. Le gambe storte del tavolo della vita. Potevamo essere già morti, ora che ci penso. La gente attorno a noi, i sorrisi, i denti bianchi, i nasi paonazzi, e fuori in strada gli alberi, il fiume, la Luna, tutto era vita. Noi no.
Il sonno mi raggiunse mentre parlavamo di un vecchio politico americano e della sua acconciatura, così lo salutai e uscii dal locale. Me ne tornai a casa a piedi, e guardando il cielo mi dissi che avrei potuto anticipare il momento della mia morte, se avessi voluto. Ma non volevo morire, non ancora."

Aveva parlato per molto tempo, e così, probabilmente per lo sforzo, chiuse gli occhi e si assopì.

Olio su telaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora