Parte prima, Capitolo II

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La sua voce era impastata dal sonno e la tosse lo coglieva all'improvviso, ad intervalli irregolari, come il singhiozzo di una macchina rimasta ferma per molto tempo.
"Buonasera dottore" mi disse. Io risposi con un sorriso e un elegante accenno di inchino. Alzò il braccio faticosamente e la manica scoprì il suo polso magro e rugoso che sosteneva la mano grande, non più forte ormai, con la quale cercò la mia. La strinsi. Mi guardò, ma ebbi l'impressione che stesse osservando un punto approssimativo del mio viso così come il non vedente comunica con un altro uomo guardando la sua voce.
"Sto morendo - disse - non c'è più nulla da fare, e mai c'è stato".
Fece una pausa per raccogliere le energie, poi riprese a parlare.
"Non le dirò quale è il mio male, le basti sapere che è stato scoperto troppo tardi. Io morirò, lo so, ma prima devo vedere il Sole un'ultima volta. Mi tenga compagnia fino a quel momento". E chiuse gli occhi cadendo nel sonno. Rimasi stupefatto, ero stato svegliato nel mezzo della notte per tenere compagnia ad un paziente già morto. Io, dottor Grégoire Duval, ero stato chiamato come uomo, non come medico, per vedere qualcuno trasferirsi in un altro mondo senza nemmeno poter alzare un dito.
Dopo qualche minuto lo straniero si risvegliò, scusandosi per essersi addormentato.
"Vorrei raccontarle la mia vita, dottore" mi spiegò, ed io mi poggiai allo schienale della sedia assumendo un'aria più rilassata.
"Sa, io sembro molto più vecchio di quanto sia in realtà per colpa di questo male, ma sono stato giovane un tempo, e non si direbbe, sono stato anche bello e felice". Respirò profondamente per qualche istante, poi riprese il suo discorso.
"Lei non è venuto qui invano, dottore. Io ho un favore da chiederle".
Incuriosito, gli domandai di cosa si trattasse.
"Lei deve dare un senso alla mia vita, o alla mia morte".
Non riuscivo proprio a capire il suo ragionamento, così pensai che fosse solo il delirio di un pazzo in fin di vita. Lui se ne accorse, e sorrise. Non lo avevo mai visto sorridere, sembrava quasi vivo mentre lo faceva.
"Ora le spiego, non potrà capirmi altrimenti" mi disse. "Nella mia vita ho avuto molte donne, ma solo due di queste sono state veramente importanti. Jolene, il mio primo amore, e Sienna, mia moglie".
Si fermò, e mi indicò il bicchiere d'acqua che aveva sul comodino. Lo aiutai a bere e affascinato osservai il suo pronunciato pomo d'adamo muoversi su e giù lungo la gola che sembrava si potesse spostarlo come la pallina di un abaco.
Mi chiese di sistemare i cuscini sulla sua schiena, così da potersi sollevare leggermente. Lo accontentai, poi tornai a sedere. Giunse le mani venose sul ventre, fissò il muro di fronte a sé e per qualche istante rimase in quella specie di ipnosi con un timido sorriso disegnato sulle labbra.
"Io sono stato amato molte volte, dottore - disse rompendo il silenzio - e ho amato solo due donne, ma giuro di averlo fatto con tutto me stesso". Sospirò. "Poi, all'improvviso, senza una vera e propria ragione, ho smesso di farlo. Ho smesso di amare. Si è spenta la luce nel mio cuore, il giardino è diventato un deserto e per anni ho pensato che non avrei più sentito quella giovinezza interiore, quella voglia di vivere. Insomma, pensavo che non avrei amato mai più".
Mi guardò, poi sorrise.
"E invece ho amato ancora, per l'ultima volta nella mia vita. E questo mi rende felice, perchè morirò, è vero, ma morirò con l'amore dentro e con la consapevolezza di essere amato".
Lo guardai e rimanemmo in silenzio per qualche minuto, lui sorridendo, io restituendogli un po' confuso quel sorriso.

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