Capitolo 1

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Presa dall'agitazione, spostavo oggetti per tutta la casa. Avevo un piccolo appartamento vicino Brooklyn, era di proprietà di mio nonno, che oltre ad essere un importante investitore, lasciò molti debiti a mia nonna. Ormai non facevo più parte di quella cerchia, i miei genitori possedevano qualche villa in giro per il mondo e non avevano un lavoro fisso anzi direi proprio che spendevano la maggior parte del tempo nei club o in ricche ville dei loro ultra miliardari amici. A diciotto anni mi ero stancata di quella vita, tutti che mi indicavano e che bisbigliavano tra di loro o tutti i pettegolezzi che a scuola giravano su di me (falsi, per lo più). Odiavo essere una Morgan, benché il mio cognome fosse quello, la gente di New York non ci faceva più caso, ormai ero solo "la ragazza che cercava disperatamente lavoro". Mi ero laureata a Princeton, che non era una cosa di tutti i giorni e aveva ricevuto la laurea in legge con il massimo dei voti, ora mi starete classificando come una ragazza "secchiona e orgoglio dei propri genitori" ma purtroppo non è mai stato così. I miei non sono neanche venuti alla cerimonia, mio padre era un importante avvocato, che aveva deciso due anni fa di ritirarsi. Perché doveva seguire i consigli di mia madre su come rimanere giovane e per lei lavorare non era niente utile, era stata educata, già da piccola, a fare falsi sorrisi e a memorizzare il reddito familiare di ogni persona presentata a qualche stupida festa. Non sopportavo gli snob, assillanti, sanguisughe e viscidi ricchi di Beverly Hills, a Los Angeles c'erano così tante cose che mi aiutavano a dimenticare quella vita di merda che avevo ma ora stavo cambiando, dovevo cambiare anche città. Mi mancava L.A perché la mia migliore amica Margo abitava là, lei si era laureata in medicina e ora voleva trovarsi un umile posto in qualche ospedale. Non aveva una famiglia importante, veniva al mio liceo perché aveva una borsa di studio e poi lei era una ragazza così diversa, alcune volte era venuta a casa mia ma perfino le governanti l'avevano guardata male, come se non facesse parte di quel mondo. Quindi per la maggior parte di tempo stavo a casa sua, la madre cucinava dei biscotti fantastici e suo padre ci aiutava con i compiti di filosofia, visto che era insegnante di lettere al campus vicino. Guardai distrattamente l'orologio e decisi di sbrigarmi, avevo solo venti minuti per uscire dall'edificio e incamminarmi verso il mio futuro, come potete immaginarvi, sono stata cresciuta per presentarmi al mio meglio quindi avrò vestiti firmati e quant'altro. Bè è così, scelsi il mio semplice ma raffinato completo di Gucci bianco, con del pizzo sulla gonna e una giacca grigia abbinata, sempre della stessa marca. Decisi di lasciare i capelli morbidi e quindi li disposi sulle spalle, mi guardai allo specchio e notai quanto ero cambiata. Ero più alta, per via dei tacchi quindici bianchi che avevo addosso, ero più rilassata e tranquilla, da oggi in poi dovevo solo dar conto a me stessa, dovevo rendere felice me e non gli altri e poi volevo cambiare e divertirmi per una volta tanto. I miei occhi marroni, uguali ai capelli, scintillavano al vedere il mio riflesso così autoritario. Dovevo essere forte, presi la mia borsa di Versace e uscii di casa
"Ce la puoi fare! Tu sei Taylor Morgan e non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno" camminai per le strade calde della città, era ancora estate quindi potevo uscire senza soprabito, non vedevo l'ora che fosse inverno, la neve e i grandi cappotti di Prada. Arrivai davanti la mia prima tappa, una grande azienda farmaceutica, analizzai i requisiti per il lavoro e anche la paga. Non era molto buono il contesto lavativo, visto che sarei stata il terzo avvocato, cioè la ruota di scorta. Lasciai stare quel lavoro e mi addentrai ancora di più nella city, c'erano negozi dovunque e turisti che giravano dappertutto. Prima di andare alla King, il secondo e ultimo stop della giornata, mi fermai da Starbucks e presi un caffè nero con panna light.  Lo stabile della King era enorme ed era situato proprio vicino Central Park e si vedeva l'Upper east side, dove avevo alloggiato alcune volte con i miei. Era un imponente grattacielo con la scritta enorme sul davanti
"King&co" avevo richiesto un colloquio proprio ieri visto che l'azienda ha licenziato il loro unico avvocato, due giorni fa. Si dice che il dirigente sia veramente duro e impenetrabile. Forse sarà un vecchio tutto lavoro, con soldi da vendere e milioni di puttane come segretarie, scacciai quel pensiero e entrai nello stabile. Per la prima volta mi sentii fuori luogo, erano tutti uomini con ventiquattro ore in mano e cravatte con nodi fatti per strozzare la gente. Mi avvicinai alla donna dietro la scrivania posta al centro della sala, era tutto così pulito e perfetto.
"Salve sono Taylor Morgan, ho un appuntamento con il signor King" la mia voce era più spaventata di quello che volessi ma cercai di darmi un tono, la splendida ragazza mi indicò l'ascensore
"Salve, deve arrivare al trentaduesimo piano e aspettare con gli altri candidati. Questo è il pass per tutti i controlli" sorrise e poi mi accompagnò, io avevo ancora in mano il caffè però lo buttai al primo secchio disponibile. Le porte che me avrebbero portato in cima si aprirono e con mio gran piacere notai che nessuno era all'interno, facendo un cenno con la testa a Lisa, o almeno così diceva il suo cartellino, mi avviai verso il mio primo colloquio. Le ante mano a mano fecero sparire l'immensità di gente che impaziente voleva salire, poi qualcosa ostacolo la chiusura. Anzi qualcuno che dopo poco entrò all'interno della scatola di acciaio, successe tutto in un attimo, aveva in mano anche lui un caffè ma incontrò la mia giacca in un secondo. Stavo per urlare per il troppo caldo
"Ah oddio scotta" ecco doveva andare sempre qualcosa storto, il tizio che era entrato non si era neanche accorto della mia presenza, solo quando sentì le mie gride, si tolse le cuffiette e fece una faccia scioccata.
"Mi scusi" cercò di migliorare la situazione ma la mia giacca preferita era rovinata, un tessuto così bello era stato sporcato da un tale cafone! Notai in quel momento la figura davanti a me, un uomo in tuta. Tutto sudato con in mano un giornale e ciò che ne rimaneva della bevanda, era abbastanza alto e con degli occhi mozzafiato, un misto tra l'azzurro chiaro e il grigio.
"Perché è nel mio ascensore?" Chiese con un sopracciglio alzato Mr buttoilcaffèsututti.
"Ho un appuntamento di lavoro stupido idiota! E grazie a lei andrò dal più importante imprenditore di New York con una chiazza enorme sul davanti" sbraitai, quel cretino rimase lì impalato e non disse niente per alcuni minuti. Nello stabile c'erano molti piani visto che impiegano un sacco di tempo solo ad arrivare al piano disegnato
"Molto piacere sono..." Mi porse la mano ma io lo zittii
"Non mi interessa" dissi freddamente, in altre occasioni avrei approcciato con lui, sfoggiando il mio fascino ma quello già non lo sopportavo
"Non sa il mio nome però" continuò lui
"Facciamo che da ora in poi non parliamo più? E comunque ho già trovato il soprannome perfetto per lei" lo guardai dalla testa ai piedi. Sarà il solito rubbacuori che lavora ma ha una famiglia ricca alle spalle, non ha bisogno di flirtare con una sconosciuta in ascensore ma era quello che stava facendo.
"Quale? Se posso permettermi" ora i suoi occhi esaminarono me come io avevo fatto con lui
"Cafone" le porte si aprirono e io schizzai via, chiedendo informazioni su dove si trovasse il bagno. Per fortuna quella mattina mi ero portata un cambio, visto che io non ero il massimo dell'eleganza. Cadevo sempre e comunque, una volta ad una festa. Stavo cercando di far colpo su un ragazzo così all'uscita, iniziai a camminare in modo sensuale. Avevo sedici anni e lui diciotto, quando girò lo sguardo verso di me, io presi una buca e il mio piede scattò all'indietro, facendomi cadere e fratturare la caviglia. Quel ragazzo nemmeno mi aiutò ma rise di me e promise di raccontare quella faccenda alla sua ragazza appena arrivato a casa, fu una delle mie figure di merda più eclatanti, Margo la ritira fuori ogni volta che parliamo insieme o semplicemente per tirarmi su di morale. Arrivata nella sala da bagno, mi tolsi le scarpe e le buttai da una parte, poi presi il vestito nero che avevo scelto stamattina a caso e lo indossai. Nelle vacanze ero un po' ingrassata e Coco Chanel non perdona sui chili in più, mi riaggiustati completamente e promisi che appena avessi visto quel coglione, gli avrei tirato addosso i panni ormai sgualciti e rovinati. Mi guardai allo specchio
"Ce la puoi fare! Ora esci da quella porta e spacca il mondo" quello era il mio mantra che ripetevo ogni volta quando ero agitata.

A New York con lavoro. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora