Mia madre si chiamava Elenia. Ci doveva essere una "h", lì da qualche parte, ma alla fine non se n'è più fatto niente. Aveva il viso dolce e i capelli biondo miele, tutto trasudava in lei dolcezza. La voce, la calligrafia, il senso dell'arte. Nessuno aveva mai visto degli occhi più belli dei suoi. Verdi. Verdi come un bocciolo appena nato destinato a non crescere mai, d'una ingenuità deliziosa, una bontà che, se moltiplicata per sette miliardi si poteva salvare il mondo. Una mattina si alzava e qualche ora dopo si trovava a Milano, così perché ne aveva voglia. Oppure disegnava uno splendido abito, perfetto in ogni sfumatura e dimensione, ma si beccava zero tondo perché si era dimenticata di segnare le cuciture. Non le erano proprio passate per la mente. Mia madre era una di quelle persone che tu le vedi una volta e sai che sono buone e che si tratta di quel tipo di bontà tipica fine a se stessa, destinata semplicemente a rendere il mondo un posto più bello. Ma, ahimè, l'amore l'ha fregata di brutto. So che sarebbe stata una mamma perfetta, anche oggi che sono vecchia e non so cosa vuol dire accudire un figlio, e proprio per questo il suo amore è ciò che più mi è mancato nella vita. Sentirsi vecchi da giovani e non vedere tua madre invecchiare, sono quelle cose che il mondo lo rendono amaro.
Ecco, Elenia diceva tante cose e sognava tante cose, era profondamente amata, uno di quei sentimenti che non puoi fare a meno di pensare che resteranno per sempre, perché se non restano nemmeno quelli, che ti alzi a fare tutte le mattine?
Elenia è morta a ventisette anni. Che tu dici "quant'era giovane", ma chissà quante altre vite aveva già vissuto, chissà quant'era stanca, chissà cosa l'attendeva, è che non te lo posso dire perché non capiresti. L'hanno uccisa e di lei non è rimasto niente su questa Terra, se non la cosa più importante che ci ha lasciato. Me, che ricordo a malapena la sua voce, che non mi piace il nome che mi ha regalato, che non ho mai preso troppo sul serio la vita. Dimentichi la voce di tua madre, il giorno in cui è morta, i voti che prendevi a scuola, il dolore che provavi da piccina quando gridavi il suo nome. Ora sì che mi sento vecchia, piena di ricordi sbiaditi mai vissuti a pieno. Eppure, tu le vivi, le cose, le vivi fino in fondo per tutta la vita. Ma poi, se ti restano solo questi ricordi fragili, inafferrabili come la nebbia, che importa?
Oggi so, finalmente, di esser luce. Il dolore è una recita, quella copertura che ti serve per fingere di essere umano. È il buio che ti serve per comprendere il bianco. Il dolore è la cosa più facile, la più immediata, la scusante per eccellenza. In ogni circostanza, in un angolino ombroso della mia anima, ha sempre regnato la quiete, annacquata dal rancore e dalle lacrime, e ho trascorso tutta la mia vita a sentirmi in colpa per questo. Finché un giorno, mi son ricordata chi sono. Ho perdonato anche se non c'era nulla da perdonare. Ho amato e sempre sono stata amata. L'illusione si è spezzata. E finalmente sto per tornare a casa.
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Senza nome
Ficción GeneralIl diario di una senza nome. Non troverete né data né ora alcuna. Ricorda: sii grato di poter osservare il cielo, perché al cielo non è concesso di osservar se stesso. Tutti i diritti riservati, Elany Blackwood © 2016