Io non vi parlerò del segreto, così come lui non ne parlò a me. Non è qualcosa di cui si può parlare, a cui puoi dare una consistenza. Di lui, invece sì, devo proprio, più si parla delle persone speciali e meglio è, perché loro non parlano mai di se stesse, e lasciarle morire in una storia che non le ha mai conosciute, è un crimine.
Lorenzo era buono.
Aveva gli occhi d'un verde chiaro e diceva spesso che se continuava a pensare così tanto, i capelli, li avrebbe persi tutti. Non era di una bellezza appariscente, ma lui sapeva ascoltarti e non solo, capiva davvero quello che dicevi. Seduti in classe, riusciva a parlarmi per trenta minuti interi della sua concezione dell'universo, e della vita, di tutti i suoi dubbi che gli logoravano il cervello. Fumava erba e faceva battute sceme come tutti i suoi amici e i ragazzi della sua età, ma durante l'ora di religione si alzava con impeto e faceva uno schema alla lavagna alla professoressa, che era tanto buona anche lei, un po' ingenua forse, e se l'era preso tanto a cuore. "E se ci fosse un punto qui... ma anche qui, e qui, ma noi in realtà fossimo..." e tutti restavano in silenzio mentre io avevo una gran voglia di abbracciarlo forte, perché dentro di me, anche se ancora non sapevo cosa ero, sentivo che ci sentivamo persi entrambi. Lorenzo ha cambiato un sacco di scuole perché nessuna gli interessava davvero, lui aveva solamente bisogno di fare musica: aveva già capito che tutto il resto era una perdita di tempo. Infatti per lui la vita scorreva velocemente senza lasciargli nulla, ed io che pensavo di amarlo -non era nient'altro, nel ricordo che ho ora di lui, amico, fratello e amante- che avrei fatto di tutto pur di poter dare anche solo una sbirciatina nella sua testa, sentivo che tutto di lui mi stava sfuggendo dalle dita. Ma lui ci ha provato, ci ha provato davvero a stare con me, a farmi capire com'era fatto. Mi abbracciava davanti a tutti, fregandosene del resto, o forse, dimenticandolo completamente. Il resto non aveva importanza e io lo sentivo, perché d'un tratto la mia mente si librava ricca e leggera. Parlava dei suoi mondi ed io restavo ad ascoltare, ammirata, trascrivendo poi i suoi lunghi messaggi in un pezzettino di carta che conservo ancora gelosamente nel portafoglio. Mi raccontava dei suoi sogni strani, mi diceva che suo fratello -e di fratelli ne aveva tanti!- lo sentiva ogni tanto parlare nel sonno, discorsi con una logica e un ipotetico interlocutore di altri tempi. Ricordo ancora un cielo verdastro e violetto e una ragazza solitaria, che si affacciava triste ad un pozzo per cercare qualcosa... mi hai scritto una storia che si intitolava: "Ti regalerò un giorno da ricordare".
C'era una volta che non c'è più una terra desolata, in cui era difficile trovare anima viva. Luci violacee e verdognole si mescolavano e prendevano il posto del solito azzurro del cielo. In un posto sperduto di questa terra, una ragazza dallo sguardo spento, si affacciava in un pozzo in cerca del suo riflesso ma l'acqua dal fondo, rimandava soltanto bagliori indistinti. Dolci parole le morivano sulle labbra. Un ragazzo un giorno camminando la vicino si mise ad ascoltare le parole di quella ragazza con l'espressione stupita che ha un bambino quando scopre qualcosa di meraviglioso. Quelle parole gli toccavano l'anima, raccontavano di storie tragiche con un che di magico e sognante...
«Chiudi gli occhi. Vorrei provare a farti vedere qualcosa che sta dentro soltanto alla mia testa. C'è un oceano, grande quanto mille oceani, dove dentro nuotano le nuvole. Dove dentro il vento porta lo stesso correnti d'aria di fresche estati e melodie primaverili mai iniziate e mai finite. Vorrei farti vedere dei posti nella mia testa che nemmeno io sono mai riuscito a vedere. Ma c'è un posto che non posso farti vedere. Non perché non voglio ma perché è un posto vuoto. Con la testa puoi immaginare. Con il cuore no. Lo lascerò creare alle persone che mi sorprenderanno e per chi mi darà un po' d'amore gli lascerò immaginare la mia realtà.»
Dal mio canto, avevo risposto con un lupo nero, figlio delle tempeste e delle stelle. Quanto ci piaceva inventare, eh? Le nostre invenzioni erano come dei parco giochi, delle altalene per anime.
Un giorno, lo ricorderò sempre, passeggiavamo vicino la stazione dei treni e ti ho chiesto scherzando: "Prendiamo un treno? Uno a caso". Prendere e partire, chi non lo sogna? Ma lui, lui non sognava. Lui viveva a pieno. Un treno si è fermato davanti a noi, proprio in quell'istante, e tu volevi salire. Aspettavi solo una mia conferma.
"C'è un segreto che se lo sai, puoi fare tutto quello che vuoi".
Non me lo volevi dire, dicevi che non ero pronta, per quanto ti implorassi. "Un giorno, forse..." rispondevi.
A me bastava stare con te.
Ferma, fermati, guardami un attimo... hai le pupille piccolissime. Sembra che dentro ci siano nascosti mondi bellissimi.
Ecco, questa forse, è l'unica cosa di cui mi pento. Non essere partita con te, non aver creato altri ricordi. Perché pensavi di poterti fermare, di prendere una boccata d'aria, di smettere di pensare e stare un po' con me, ma poi non c'è l'hai fatta.
Ho come l'impressione che tu non abbia tempo per me.
Mi dispiace.
E sapevo che gli dispiaceva davvero, ma mi arrabbiai comunque. Non ti parlai più, non ti cercai, non ti salutai nemmeno. Provavo una rabbia smisurata che attribuivo a te, e a te soltanto, perché sei l'unico che ha sentito la mia anima gridare e poi hai avuto il coraggio di lasciarla marcire -che sciocca, perché ho l'impressione di parlare direttamente con te?-.
Un giorno in classe due miei compagni cominciarono ad attirare l'attenzione mormorando, continuando a scorrere le dita su un cellulare. Avevo l'impressione che cercassero di non guardarmi negli occhi. Finché la professoressa si spazientì: "Potreste rendere partecipi anche noi".
Restarono qualche attimo in silenzio.
"Lorenzo... è morto."
Ancora adesso se ci penso mi gira la testa.
Ma la cosa peggiore era che te ne sei andato ma l'odio era rimasto: non era rivolto a te, ma a me. Non mi ero mai perdonata il fatto di non essere riuscita ad essere la persona giusta per te, incolpavo me stessa per non essermi strappata l'anima e avertela sbattuta in faccia. Avrei dovuto gridare che io ti capivo, ci riuscivo davvero. Mi feci venire a prendere fuori scuola, e ora so che già in quel momento atroce, passato in macchina a piangere in silenzio, qualcosa stava succedendo e cambiando per sempre dentro di me.
Sentivo una musica. Una specie di canto lontano, un eco di voci di pellerossa attorno ad un fuoco. Erano l'unica cosa che riuscivo ad immaginare. Credevo fosse l'mp3 sul sedile, ma no, no! Era spento. Ho chiesto ai miei zii, che erano in macchina -e non capivano cosa mi fosse successo, dato che loro Lorenzo non lo conoscevano-, se lo sentivano, ma dicevano di no. Credevo venisse da fuori, ma no! Per tutto il tragitto mi ha seguito, così flebile che a tratti non lo udivo nemmeno. Avevo smesso di piangere nel tentativo di ascoltarlo, perché lo trovavo meraviglioso. Cosa poteva essere, se non magia? Ditemelo! Magia, solo magia... una meravigliosa magia.
Tre giorni dopo ero di nuovo in piedi, non riuscivo più a piangere, non riuscivo più ad essere triste. Non sono mai riuscita a lasciarmi morire.
Ma ora, mia cara anima, continua, continua a leggere... questa non è una storia di drammi! Leggi...
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Senza nome
Ficción GeneralIl diario di una senza nome. Non troverete né data né ora alcuna. Ricorda: sii grato di poter osservare il cielo, perché al cielo non è concesso di osservar se stesso. Tutti i diritti riservati, Elany Blackwood © 2016