Capitolo 4

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Piccole goccioline trasparenti scorrevano lungo il vetro della mia finestra. Incontrandosi, unendosi per poi dissolversi sul mordo di legno dell'apertura esterna della mia stanza.
Nonostante ormai fossi abituata a quel clima piovoso era impossibile non provare un leggero rancore verso l'acqua.

Ogni volta mi regalava quella strana sensazione di freddo che sentivo dentro, nel profondo delle ossa e delle viscere, ghiacciandomi i pensieri e i movimenti.

Di conseguenza però mi ritrovavo sotto mille piumoni e con un bel libro in mano vicino ad un termosifone, e ciò mi portava solo ad amare l'acqua che scendeva dalle grigie nuvole nel cielo.

Spesso mi stupiva l'incoerenza con cui vivevo.

In fondo per poter vedere il sole splendente bisognava imparare ad amare le nuvole che lo ricoprivano.

Avrei dovuto fare biologia per il giorno dopo, ma quel piacevole torpore che mi avvolgeva le membra era molto più invitante del libro aperto sulla mia scrivania.

Ma mi costrinsi lo stesso a smuovere le gambe arricciate alle coperte, appoggiando subito dopo i piedi sulla superficie fredda del parquet.

Un po assonnata non mi resi bene conto dove i miei piedi mi stessero portando finché non mi ritrovai davanti alla porta dirimpetto a quella della mia stanza.

Ormai conoscevo a memoria tutte le venature di quel legno chiaro, per tutto quel tempo che ci ero stata davanti a fissarlo senza davvero voler vedere cosa nascondeva.

Ciò che veramente mi faceva paura era cosa celava. Se avessi solo intravisto cosa c'era dietro, la mia mente si sarebbe riaperta anche durante il mio stato di veglia, e questo non sarebbe mai dovuto succedere.

Non avrei mai dovuto concentrare la mia vita su ciò che ormai non esisteva più.

Per quanto brutto fosse da pensare era meglio rimanere lì dov'eri, nel presente, anche se non più la stessa persona di prima. Era difficile ritrovarmi come se avessi di nuovo avuto tredici anni, quel periodo della tua vita che non sai ancora bene cosa sei, o meglio chi sei.

Ma era ancor più estenuante essere consapevoli del fatto che quello che eri prima era sparito insieme a tutto il resto.

Lui si era preso tutto il resto, lo capivo.
Quello che mi aveva tolto apparteneva a lui e nessun altro, nemmeno a me.

L'unica cosa che avrei dovuto fare era ricominciare, rinascere, vivere.

Cosa c'era di così facile alla fine?

***

Il giorno dopo erano tutti degli stronzi così insopportabili che per un secondo pensai quasi di voler strozzare, pure Sophie.
Ormai avevo paura ogni volta che giravo a destra o a sinistra nel corridoio per ritrovarmi davanti un altro umore nero.

Kate era stata tutto il giorno ad imprecare contro il suo dipinto chiaro scuro di arte che non le si attaccava alla finestra per ricalcarlo.
Mi spintonava per stare in mezzo tra Sarah e Georgia.
Avrei voluto strappargli tutti quei suoi capelli di color miele.

Forse nemmeno io ero cosi rose e fiori con con me stessa.

Continuava a spingermi fuori dalla fila quasi da voler escludermi rubandomi il posto.
Come se non le bastasse quello che aveva.

Cioè tutto.

Aveva la scuola hai suoi piedi, conosciuta da tutti e con buoni rapporti familiari.

Cosa voleva ancora di più?
Anche prendermi il posto tra le mie amiche?
Io non la capivo.
Qualche minuto dopo Sarah disse che probabilmente aveva questo comportamento perché eravamo quasi a fine anno, mancavano un paio di mesi, e lei sapendo che i suoi migliori amici dell'ultimo anno se ne sarebbero andati all'Università o a lavorare voleva riallacciare i rapporti con noi.
Ma non poteva trattarmi in questo modo.

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