Fu mia madre a comunicarmelo e come punizione dovette fermarmi infinite volte mentre cadevo. Non sapeva quando sarebbe successo, non lo sapevo esattamente nemmeno io, ma senza che potessi fare nulla ogni tanto il suo ricordo tornava. Michele mi compariva in testa emergendo dal mare piatto del mio cervello e provocava una tempesta da nausea, la barchetta di carta del mio buonsenso si inzuppava e sprofondava. Mi arrabbiavo con il mio corpo cocciuto che non riusciva a correre da Michele, lo costringevo ad alzarsi spingendomi in alto con la poca forza che mi restava nelle braccia e puntualmente arrivavo con il naso a due centimetri dal pavimento, finché mia madre non mi salvava. Ero quasi soddisfatta di vederla spaventata, un po' la detestavo per aver infranto il mio mondo e credevo che fosse giusto che anche lei avesse qualche pena.
Michele se n'era andato senza dirmi niente, non aveva lasciato messaggi e non riuscii a trovare il suo nuovo indirizzo, mi aveva abbandonata. Ogni mio pensiero si legò alla solitudine, ogni frase o situazione mi sembrava un'offesa alla mia condizione, volevo che il mondo vivesse con il pensiero fisso della mia sfortuna e mi infuriavo quando lo scordava. Diventai cattiva e permalosa, il mio cervello era pieno di corde tese che ogni movimento maldestro della gente faceva saltare. Le lacrime erano sempre pronte a uscire, sull'orlo del precipizio mi abituai a vedere il mondo a metà. Dimenticai spesso di ringraziare il destino che mi teneva in vita, non riuscivo a pensare a ogni giorno come a un regalo, volevo che tutto finisse, ma il mio corpo era così debole che non riusciva nemmeno a farsi del male. Non riuscivo più a vedere il dipinto meraviglioso del mondo, i suoi profumi mi infastidivano e avrei voluto non vedere niente.
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Una vita a granelli
Short StoryRacconto di vita attraverso le fatiche. - L'immaginazione è l'unica cosa che mi rimane. - Primo classificato al concorso letterario Associazione Palma Como