Capitolo 2

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NATHAN

Presi un altro sorso dalla bottiglietta dell'acqua senza staccare gli occhi dai moduli degli ordini per il locale; la sera prima avevamo sbancato e avrei dovuto fare rifornimento per quella sera entro massimo tre ore, altrimenti saremmo rimasti a secco. La penna andava su e giù, scorrendo tra i vari nomi delle birre e dei liquori, e nel frattempo che preparavo tutto cercavo di escogitare una soluzione per trovare almeno mezz'ora libera da poter dedicare a lui. Il giorno prima già non ero andato a trovarlo, se avessi ripetuto la cosa ci sarebbe rimasto malissimo. Dovevo pur recuperare un maledetto buco in tutta quella giornata, ma l'orologio già segnava le quattordici passate, il carico era da andare a prendere e tutta la merce era da mettere apposto entro massimo un'ora prima dell'apertura. Mi feci due calcoli veloci: quattro ore. Quattro ore per poter fare tutto. Cristo, non ce l'avrei fatta nemmeno oggi a passare da lui. Con il nervosismo a mille passai alla pagina successiva e non alzai gli occhi neanche quando sentii la porta del locale aprirsi; non avevo tempo da perdere, soprattutto con qualsiasi idiota non avesse nemmeno letto il cartello con la grande scritta a caratteri cubitali che diceva "chiuso". 
«Siamo ancora chiusi se non sai leggere, quindi fuori di qui» annunciai, mentre con la penna segnato altre quindici casse di birra. Avevamo ridotto al minimo anche le scorte d'emergenza. «Non sono qui per il locale» ascoltai la voce femminile. «Sto cercando Ray.» 
Nemmeno al suono di quello strano accento alzai lo sguardo. Di sicuro era una delle tante troiette che abbordava Ray durante il turno di lavoro, e vedere le ragazzine che si scopava nel retro del locale mi faceva solo venire voglia di vomitare. Non per lui ovviamente; qualsiasi quarantenne avanzato è un fottuto genio fortunato se riesce a entrare nelle cosce delle ragazze con la metà dei suoi anni, ma mi chiedevo sempre cosa passasse nelle loro teste per concedersi a qualcuno di così vecchio. Quella che era appena entrata doveva essere una della massa, anche se di solito nessuno veniva a cercarlo il giorno dopo. Ed io avevo del lavoro da finire, dannazione. 
«Se lo cerchi perché ti ha piantato un piccolo Ray nella pancia non posso aiutarti. Non so dove sia, e ora se non ti dispiace ho da fare, quindi alza i tacchi e sparisci.»
Pensavo di essere stato abbastanza chiaro, finché non sentii uno strano rumore. Cioè, non era strano, lo conoscevo perfettamente che razza di rumore era, ma era strano sentirlo senza rendermi conto che avrei potuto sentirlo. Il rumore di un cane che veniva caricato ruppe l'aria tranquilla che aleggiava nel locale, e quello bastò per mettermi in allarme e farmi prendere di scatto la pistola dal cassetto sotto al bancone. Quando alzai il braccio,contemporaneamente allo sguardo, rimasi immobile come un coglione. 
«Secondo me dici un mucchio di stronzate e sai perfettamente dov'è Ray» obbiettò la ragazza. Un paio di gambe perfette, che finivano in un paio di stivali alti fino a metà polpaccio, erano piantate a terra. Una minigonna di jeans, abbinata a una magliettina bianca senza maniche che scendeva fin poco sopra l'ombelico, mostravano un corpo che sembrava modellato a mano. La cascata di capelli biondi le arrivava fino a metà schiena e un paio di occhi talmente verdi, che mi stavano incenerendo anche a distanza di cinque metri, completavano quella figura. Il tutto era chiuso dal fatto che mi stesse puntando addosso una pistola e che mi stesse dando del bugiardo senza neanche conoscermi. A guardarla bene sembrava molto più piccola di quanto mi aveva fatto intendere la sua voce, e mi chiesi se davvero Ray si fosse abbassato ai livelli della pedofilia, ma era anche da ammettere che con una così mi sarei abbassato anche io ai livelli della pedofilia se solo avessi avuto la stessa età del mio socio. Ostentava una tale sicurezza con quella pistola in mano che mi fece scorrere un brivido lungo tutta la schiena, soprattutto quando mi accorsi che non era minimamente intimorita dal fatto che io le stessi rivolgendo lo stesso trattamento. E, cazzo, non potevo credere ai miei occhi: nella sua mano aveva una 44 Magnum. 
Mi sembrava quasi impossibile che una ragazza con quel corpicino minuto e perfetto, e un visetto d'angelo contrassegnato da un ghigno quasi diabolico, fosse in grado di maneggiare un revolver così difficile da gestire. Se per sbaglio avesse premuto il grilletto avrebbe rovinato il locale, o peggio, mi avrebbe fatto secco.Mi ci mancava solo perdere del tempo prezioso dietro i disturbi mentali di una pazza. 
«Non sarebbe meglio abbassarla quella pistola?» provai a chiederle con finta calma, ma a lei non sembrò andare a genio la mia idea. 
«Abbassa la tua, dimmi dove si trova Ray, e forse allora l'abbasserò anche io» fu la sua risposta, data con una durezza che mi colpì in pieno. Provai a fare il giro del bancone senza darle retta, ma Viso d'angelo continuò a tenere il pezzo di ferro puntato su di me. 
«Non ci provare nemmeno a fare un altro passo, o giuro che sparo» mi minacciò. «Dov'è Ray?»chiese poi di nuovo, stavolta molto più lentamente. Pregai il Signore che nessuno entrasse per sbaglio prima dell'apertura, tanto per non ritrovarsi davanti a una ragazzina che sbandierava una 44 Magnum come se fosse il suo lecca lecca preferito. Per una cosa del genere la clientela poteva anche dimezzarsi. Dannazione a Ray e a tutti i suoi casini del cazzo, toccava sempre a me risolverli. Mi aveva detto di negare che fosse qui se qualcuno sarebbe mai venuto a cercarlo, ma una pazza con la pistola era troppo. Questa doveva gestirsela lui. 
Lo chiamai urlando in direzione della cucina chiusa e in risposta ottenni solamente un altro urlo da parte sua per chiedermi cosa volessi. Prima di gridare di nuovo ghignai verso la ragazza.
«C'è la nuova Lara Croft di New Orleans che ti sta cercando.» 
Strinse lo sguardo verso di me accusando la presa in giro, ma non appena la voce di Ray si fece più vicina chiedendo chi fosse spostò l'intera attenzione su di lui. Fu una scena strana da guardare: io che puntavo una pistola contro di lei, lei che puntava una pistola contro di me, e Ray impalato tra noi due che la osservava con gli occhi sgranati e il viso pallido. Sembrava che avesse visto un fantasma, non un pezzo di figa del genere. Aprì la bocca, la richiuse, poi l'aprì di nuovo, e chiunque fosse la ragazza aveva il mio completo rispetto per qualsiasi cosa avesse mai fatto per ridurre la faccia di Ray in quello stato. Non l'avevo mai visto a corto di parole come allora. 
«Baby K.» sussurrò finalmente rivolto alla giovane, e a me quasi cadde la mascella a terra udendo quel nome. Sentii gli occhi allargarsi e le rotelle del cervello iniziare a camminare senza una meta. Non poteva essere una coincidenza che si chiamasse proprio così.
Con una velocità che mi disarmò si abbassò di poco ed estrasse un'altra pistola dallo stivale,perfettamente uguale a quella che già teneva in mano. Tolta la sicura, con un gesto altrettanto veloce e deciso, la puntò contro Ray. Le uscì una risata nasale talmente bassa che pensai di essermela immaginata, poi scosse lentamente la testa mentre il mio cervello ancora stava metabolizzando il fatto che avesse tirato fuori una seconda arma.
Da uno stivale del cazzo. 
«Non ci posso credere che hai chiamato questo posto con quel nome, Ray. Dovrei farti un buco intesta e vedere se c'è rimasto un briciolo di sanità mentale o almeno un pizzico di coerenza.»
Parlava con un disprezzo allucinante e mi innervosii subito quando tirò in ballo il locale. Non sapevo chi diavolo fosse, ma avere un locale che riporta il tuo nome dovrebbe essere una bella cosa, non il contrario. 
Forse fu proprio il nervosismo per quel pensiero che mi fece aprire la bocca di nuovo.
«Da quale ospedale psichiatrico sei scappata?» 
I suoi occhi mi fulminarono all'istante. Quasi quasi mi fece anche paura. 
«Lo sai che adesso mi hai proprio rotto le palle?» sbottò verso di me. 
«Che c'è Viso d'angelo, mi vuoi sparare per caso? Dio solo sa cosa cazzo beccheresti con quella cosa in mano» replicai guardandola storto. La mano di Ray si alzò verso di me, nonostante i suoi occhi fossero ancora puntati verso di lei.
«Non credo che ti convenga provocarla, Nate. Fidati che sa il fatto suo con "quella cosa in mano".» 
L'agitazione non sembrava far parte di lui mentre parlava, e ciò che più mi colpì fu il fatto che sembrava credere davvero alle sue parole.
Abbozzai una risata divertita. «Quella pistola è quasi più pesante di lei. Come credi che...» Uno sparo mi fece saltare sul posto costringendomi a chiudere la bocca, seguito subito da un altro che mi fece abbassare dietro il bancone preso alla sprovvista. Rimasi immobile per un istante mentre mi rendevo conto di quello che era appena successo.
Cazzo, aveva sparato davvero!
Mi guardai intorno per vedere i danni al locale ma a primo impatto niente sembrava essere fuori posto, così tornai a puntare la mia pistola contro di lei, questa volta preso totalmente da un attacco isterico. «Ma che cazzo di problema hai nel cervello, si può sapere? Volevi distruggere il locale?» Sentivo le tempie pulsarmi, mentre nervosismo, paura e ansia mi crescevano dentro. Mi sentivo come se stessi per esplodere, ma qualcosa mi tratteneva. Santo Dio, non potevo picchiare una ragazza!
In uno stato di totale relax Ray avanzò fin dietro il bancone per prendere la sua bottiglia personale di bourbon, attaccandosi direttamente come se non fosse successo niente di che. Mi chiesi se non fosse già ubriaco prima di cena dato che a volte capitava. Quella pazza aveva sparato nel nostro locale e lui se ne stava tranquillo come se lei gli avesse appena lasciato il numero di telefono per farsi chiamare l'indomani. 
«Non volevo rompere niente, non sono qui per fare casino.» 
«Ah no?» obbiettai sarcastico. «Mi sembra tutto il contrario invece.» 
«Se ti volti vedrai che a parte farti un buco in testa non ho fatto altro.» 
Mi ci volle qualche secondo per capire la sua frase, ma compresi appieno cosa stesse cercando di dire solo quando mi voltai davvero. Attaccata al muro c'era una foto che ritraeva me e Ray con due bicchieri in mano. Era sempre la solita foto, la stessa che ci aveva scattato Paulie il giorno che eravamo entrati in società, solo che al centro esatto delle nostre fronti c'erano due buchi da cui usciva ancora fumo. 
«Non fare quella faccia, Nate. Te l'avevo detto di non provocarla.» Mi girai di scatto verso Ray,cercando di capire se ciò che avevo visto mi lasciasse addosso più shock o inquietudine. Non era possibile che avesse fatto due centri perfetti. 
«Mentre le altre ragazzine giocavano con le bambole lei passava i pomeriggi a esercitarsi con il tiro al piattello. Se vuole farti un buco in testa te lo fa davvero, ragazzo.»
Il ghigno che le avevo visto prima tornò a farsi vedere di nuovo quando sentì quelle parole e tutto ciò che riuscii a fare fu restare a guardarla senza rispondere. Appoggiato con la schiena al bancone, Ray alzò la bottiglia e mandò giù un altro lungo sorso come se stesse bevendo acqua. Sembrava conoscerla bene, parlava di lei con naturalezza, mentre a me ancora serviva del tempo per metabolizzare. «Ma dato il fatto che da quanto ho capito oggi si deve parlare» continuò, avanzando verso il primo sgabello a portata di mano, «perché non abbassate le pistole così smettiamo di rischiare che qualcuno si faccia male inutilmente?»
Si mise seduto con la bottiglia sotto al naso, aspettando che il suo ordine fosse ascoltato. Peccato per lui che nessuno dei due gli diede retta. Non la conoscevo, aveva sparato due colpi nel mio locale, e che volesse solo parlare o meno con Ray io la mia pistola non l'avrei abbassata fino a che avrei visto le sue alzate contro di noi.
Fu una guerra di sguardi la nostra; una sfida in silenzio dove né io né lei muovemmo un solo muscolo. Aspettai secondi, minuti, per vederla abbassare le braccia, ma fu tutto inutile fino a che il primo ad abbandonare fui io, sbattendo la mia accanto al registratore di cassa. 'Fanculo.
Mi costò parecchio fare quel gesto, soprattutto quando vidi il suo viso aprirsi in un mezzo sorriso vittorioso. Non avrei voluto darle la soddisfazione, ma la volevo fuori dal mio locale il prima possibile. In un gesto teatrale Ray allargò le braccia alzando gli occhi al cielo prima di voltarsi verso di lei. 
«Ti presento il mio socio, Nathan Keller.» Poi fece la stessa cosa lanciandomi un'occhiata veloce. «Nate, ti presento Baby K. Lei è...» Rimase un attimo in silenzio, completamente rapito dalla ragazza,poi sospirò pesantemente e sganciò una bomba di dimensioni epiche. «Lei è mia figlia.»
E fu allora che davvero mi cadde la mascella dalla faccia. Forse avevo capito male, perché non mi risultava che Raymond O'Connor avesse una figlia. Una figlia che se ne andava in giro armata. Una figlia che se ne andava in giro armata con armi che solitamente erano da uomo. Una figlia che era sveglia, bella e pure sexy. E molto probabilmente stronza tanto quanto suo padre. Una notizia del genere non me l'aspettavo proprio. 
«Non mi avevi mai detto di avere una figlia» gli feci notare con delusione. Eravamo soci da più di due anni, conosceva i miei problemi, la mia vita e tutto ciò che mi circondava, com'era possibile che in tutto quel tempo non avesse mai tirato fuori una notizia così importante?
La osservai prendere posto a qualche sgabello di distanza da lui dopo aver finalmente fatto sparire le armi, e per la prima volta da quando era entrata mi rivolse uno sguardo quasi normale. 
«Ray fa finta che io non esista, quindi non restarci troppo male se non ti ha reso partecipe di questa parte della sua vita.» Incrociò le gambe, accavallandole, ed io non riuscii a distogliere lo sguardo da quel pezzo di pelle che mi si era appena piazzato davanti agli occhi. Delineate, sode, abbronzate. Perfette.
«E tanto per chiarire mi chiamo Payton, non Baby K.» 
La fissai e mi accorsi solo allora della stanchezza che mostrava il suo viso. Sembrava che non dormisse da settimane. Provai a passarle la bottiglia di Jack Daniel's, magari un bicchierino l'avrebbe fatta rilassare un po', ma lei la scansò con una smorfia puntualizzando il fatto che non era un'alcolizzata.
"Strano" pensai, "suo padre la maggior parte delle volte lo è." 
Non riuscii a trattenermi dal sorridere; non si faceva problemi ad andarsene in giro con delle armi,eppure faceva notare agli sconosciuti che non era un'alcolizzata. Da dove diavolo saltava fuori una tipa così? Perché di tutte le ragazze che avevo conosciuto lei si era appena guadagnata il titolo mondiale di quella più strana. 
«Se tu sei qui significa che Pete ha parlato» ipotizzò Ray verso sua figlia. «E se Pete ha parlato significa che a casa ci sono guai» continuò. 
«Wow. Vedo che i conti te li sai fare bene» lo prese in giro lei, eppure nel suo tono niente era cambiato. Anche se sembrava di poco più rilassata rispetto a quando era entrata, continuava a rivolgersi a suo padre con gelo e disprezzo. Un'osservazione che a lui, però, dava l'impressione di non toccare affatto.
«Avanti, Baby K., tira fuori il rospo» la incitò. 
Presi possesso della sedia spaiata che avevamo dietro il bancone non appena sentii un fracasso per l'esca le interne. Ci appoggiai sopra un ginocchio, e tutto il resto del corpo lo abbandonai contro lo schienale mentre qualcun altro si aggiungeva alla riunione della famiglia O'Connor.
«Erano spari quelli che ho sentito?» chiese, precipitandosi all'interno del locale. Se avessi saputo che quel giorno mi sarei ritrovato ad assistere a una conversazione come la loro mi sarei preparato prima psicologicamente e poi mi sarei accomodato lì con una ciotola di popcorn tra le mani. Quella ragazza mi aveva appena stravolto la giornata. 
Peccato che ancora non ero a conoscenza del fatto che alla fine di tutto sarebbe stata proprio lei a farmi provare sulla pelle cosa significa morire per qualcuno. 

Non chiedermi di restare Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora