«A volte confrontarsi e discutere delle proprie difficoltà con persone che si trovano in situazioni analoghe rappresenta non solo una possibilità per trovare supporto e aiuto, ma un vero e proprio percorso di terapia e cambiamento» disse la dottoressa Finn sorridendo a tutti noi. «Ed è per questo che organizziamo questi gruppi di sostegno a cui vi invito a partecipare costantemente. Ovviamente non siete obbligati a prenderne parte, ma la partecipazione continuata nel tempo è la chiave perché l'intervento si dimostri realmente efficace. Detto questo, vorrei ringraziare la signorina Mabel per averci onorato della sua presenza» si rivolse a me, facendo girare tutti nella mia direzione. «Non sono qui per mia volontà e lei lo sa, quindi non si monti la testa» risposi indifferente, ripensando alla guardia che con molta delicatezza mi aveva preso il polso e trascinato via dalla mia stanza. Ignorò le mie parole e ritornò sul suo discorso, riprendendo a parlare di quanto questi gruppi fossero importanti per la "guarigione". Ovviamente non ascoltai una parola.
«Oggi vorrei approfondire con voi il significato della parola felicità, un concetto astratto che tutti rincorrono continuamente. Ognuno di noi ce l'ha, la felicità, ma spesso tendiamo a dimenticare dove l'abbiamo messa, pensando che prima o poi salterà fuori da sola. Ma no, ragazzi miei, siete voi, siamo noi, a doverla cercare. Sempre. Ogni giorno. E anche se qualche volta lei si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei» disse in modo teatrale, in un modo che mi colpì profondamente. «Ma ovviamente, la felicità, è soggettiva e non uguale per tutti. Ognuno di noi la collega a qualcosa di diverso, di suo, e per questo vorrei che voi mi parlaste del vostro concetto di felicità. Cos'è per voi la felicità?» aggiunse. «Partiamo da Ashlee» affermò la dottoressa, indicando una ragazza minuta con i capelli troppo chiari e i tratti troppo dolci. «Io non so cosa sia veramente la felicità» balbettò. La sua voce era bassa e piena di insicurezze. La dottoressa scosse la testa. «Non ci credo, Ashlee. Tu sai cos'è, pensi solo non sia importante, perché credi che la felicità sia qualcosa di grosso, ma in fondo al tuo cuore sai che è quella cosa a farti sorridere la mattina» le disse. La ragazza sembrò pensarci un po' su. «La felicità per me è vedere mia mamma sorridere; nonostante le difficoltà lei sorride e questo mi rende felice» rispose poi alla fine. «Visto? Non era così difficile». La dottoressa abbozzò un sorriso e chiamò qualcun altro. Io ascoltai attentamente ciascuna risposa, rimanendo sorpresa di come davvero la felicità fosse diversa per ognuno di noi. Pensai anche a quello che avrei potuto dire, ma quando arrivò il mio turno tutte le idee accumulate sembrarono svanire nell'aria. «Mabel?» mi chiamò la dottoressa Finn, spronandomi a parlare. «Sì, mi scusi» sorrisi imbarazzata. «Non ho un concetto fisso di felicità. Credo che si trovi in ogni cosa, anche la più piccola, basta saperla vedere. Per me la felicità sta nel sapere che stasera mangerò pizza, che posso dormire ancora due ore prima che la sveglia suoni, che ho preso un bel voto alla verifica per cui ho studiato una settimana... La felicità sta in un messaggio mandato dalla persona giusta, in un abbraccio, in una carezza, in una foto scattata al momento giusto... La felicità vive in ogni momento, ma siamo noi a doverle dare vita» finii il mio discorso e ne fui fiera. «Molto bene Mabel» disse la dottoressa sorridendomi e io ricambiai, poi qualcun altro iniziò a parlare. «Per me invece la felicità sta nel rendere gli altri felici» disse un ragazzo biondo con le spalle larghe circa 2 metri. «Cosa intendi, Luke?» chiese la dottoressa. «Vedere le persone ridere ad una mia battuta, dare un bacio inaspettato a mia mamma e farla sorridere, giocare con il mio fratellino anche se sono stanco... Questo mi rende felice» si spiegò. Lo guardai, accorgendomi che il suo sguardo era su di me. Mi fece un piccolo sorriso che ricambiai subito, poi distolsi lo sguardo e lo posai su chi stava parlando in quel momento.«Molto bene ragazzi, per oggi abbiamo finito. Vi aspetto domani» annunciò la dottoressa Finn. Tutti si alzarono e si diressero verso la porta, me compresa. «Oh, Mabel! Posso parlarti un secondo?» mi chiese poi. Annuii e mi avvicinai a lei, aspettando che parlasse. «Averti qui mi ha reso contenta. Dovresti partecipare più spesso; hai molto cose da dire e tirarle fuori, ogni tanto, può solo farti bene. Vedila così: almeno non te ne stai da sola in camera o peggio, a lavorare» disse ridendo in modo gioioso. «Ci penserò, Mrs. Finn» le risposi. Tutto a un tratto diventò seria. «Mabel io lo dico per te. Possiamo aiutarti, devi solo lasciarci fare» parlò poi, appoggiandomi la mano sulla spalla e guardandomi in modo apprensivo. «E comunque chiamami pure Lydia» aggiunse. Annuii e la salutai con un gesto della mano, dopodiché uscii dalla stanza. «Dio, che spavento!» quasi urlai quando, aprendo la porta, mi ritrovai Luke davanti. Lui rise leggermente, pur sempre mantenendosi. «Scusa, non era mia intenzione. Che voleva la dottoressa?» mi domandò, affiancandosi a me quando iniziai a camminare. «Vuole che partecipi più spesso ai gruppi» sbuffai. «Hai bisogno di qualcosa?» arrivai dritta al punto. «No, no. Stavo solo cercando di socializzare, visto che qui mi consigliano spesso di farlo»
«Oh, va bene» gli risposi, non sapendo che altro dire. «Mi è piaciuto il tuo discorso, anche se non credo che tu veda la felicità in ogni cosa. Se sei qui un motivo ci sarà, no?» mi fece l'occhiolino. «Come darti torto»«Me lo dici o no com'è andata con la dottoressa?» insistette Ashton. «Te l'ho detto: bene» risposi annoiata. «Ma bene non basta!» strillò, risultando più pazzo di quanto già fosse. Feci una smorfia. «Hai ragione, devo calmarmi. Devo calmarmi» disse, cercando di convincere sé stesso. «Si, decisamente» annuii con la testa e tornai a guardare altrove. «Mabel» mi chiamò, con la voce bassa e preoccupata. «Dimmi»
«Oggi, mentre facevo il turno alla mensa, sono stato chiamato dal dottor McCall..» lasciò la frase in sospeso, aumentando la suspense. Dio, che odio. «E?». «Ha detto che ha notato un miglioramento» continuò. «Ashton, ti prego, arriva al punto!» urlai, spazientita. «Mi fanno uscire prima». «Quando?». «Tra due settimane». La mia bocca si aprii in una O e posso giurare di aver sentito il cuore fermarsi per un nano secondo. Ashton era l'unica cosa che rendeva quel posto meno una merda e affrontare la mia vita senza di lui era come affrontarla senza ossigeno. «Mabel dì qualcosa» mi implorò. Capii di essere rimasta troppo tempo senza parlare, così feci un sorriso sforzato. «Sono felice per te Ashton» gli dissi alla fine, sperando che non avesse colto un leggero tremolio nella mia voce. Non potevo dirgli la verità, o non se ne sarebbe mai andato. Dopo 6 mesi lo conoscevo fin troppo bene: se gli avessi detto che senza di lui sarebbe stato un inferno avrebbe fatto di tutto per rimanere ancora, e non potevo permetterlo. Ero davvero felice per lui. Gli occhi mi si riempirono di lacrime e lottai per ricacciarle dentro, invano. Così lo abbracciai, sperando che non le notasse. Rimanemmo così fino a quando le guardie non ci avvisarono che la cena era pronta.CEAAAAAOOO
Allora, questo capitolo mi piace e non mi piace ma vabb
Per il "discorso" sulla felicità ho preso spunto da uno fatto in non ricordo quale occasione da Roberto Benigni e niente, andatevelo a leggere perché a me vengono i brividi ogni voltaMi scuso per il capitolo corto ma davvero, i prossimi saranno più lunghi quindi voi continuate a leggere questa storia!!
Penso di aver finito ew
Per qualsiasi cosa mi potete trovare su Twitter (@/xniallsanangel)
Un beso
Mettete la stellina così so che vi è piaciutoooo!!
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5 wounds//Calum Hood
FanfictionLe porte della mensa si aprirono bruscamente e un ragazzo vi entrò dentro, scortato da due guardie armate che lo tenevano per i polsi già ammanettati. Tutti, compresa me, ci girammo nella sua direzione, spinti dalla curiosità. Quello che mi stupì fu...