Masticai meccanicamente un pezzo di carne e guardai Ashton ridere insieme a Michael, come se il momento di debolezza avuto stanotte non ci fosse mai stato. Feci per parlare quando il mio sguardo venne attirato dallo stesso ragazzo dalla pelle ambrata di ieri che stava attraversando la mensa, stavolta scortato da una sola guardia e senza manette. Nessuno gli prestò attenzione e non seppi se fosse per paura o perché non era più una novità. I miei occhi lo seguirono fino al tavolo in fondo alla stanza al quale prese posto. I nostri sguardi si incontrarono per la seconda volta e mi venne spontaneo fargli un piccolo sorriso. I suoi occhi si spalancarono leggermente, quasi sorpresi, ma non ricambiò il gesto, anzi distolse lo sguardo portandolo sul piatto di fronte a lui. Feci spallucce e riportai l'attenzione sul ragazzo seduto davanti a me: non stava più parlando con Michael e i suoi occhi, colmi di rabbia, guardavano me. «Che c'è?» domandai, confusa. Aggrottò la fronte assumendo la tipica espressione alla "Cazzo ma sei seria?!" e non mi rispose. Sbuffai e decisi di non dargli retta, iniziando così una conversazione con Octavia che si era appena aggregata a noi. «Mabel cazzo, non hai notato la mia fottuta espressione?!» quasi urlò Ashton. «Si, l'ho notata, ma ho deciso di ignorarla dal momento che non hai intenzione di spiegare» risposi annoiata, continuando a guardare Octavia che sembrava quasi spaventata dal suo cambiamento d'umore improvviso. «Mi spieghi per quale diamine di motivo gli hai sorriso?! E guardami!» continuò lui, ancora più incazzato. «Per questo hai quella faccia?» chiesi, facendo finalmente incontrare i nostri occhi. «Dio, rilassati, o quella vena ti esploderà!» aggiunsi. In tutta risposta lui mi afferrò il polso, costringendomi ad avvicinarmi al suo viso. «Mabel, sei una cazzo di bambina. Fai la seria. Ieri non stavo scherzando quando ti ho detto che non devi guardarlo» sibilò. Mi sentii offesa da quelle parole e lui lo capii, lasciandomi così il polso e tornando ad avere un'espressione pacata, quasi dispiaciuta. «Scusa» disse, mentre Michael e Octavia mi guardavano in attesa della mia reazione. «Non dirmi quello che devo o non devo fare. Non sei mio padre. Smettila» risposi arrabbiata, per poi alzarmi dal tavolo e uscire dalla stanza, non prima di aver lanciato un'ultima occhiata al ragazzo in fondo alla mensa che, solo in quel momento notai, stava guardando tutta la scena divertito.
Attraversai il corridoio a passo veloce con la rabbia che ancora mi bolliva dentro. Mi fermai davanti alla mia porta e feci per aprirla, senza però ottenere alcun risultato. Forzai la maniglia abbassandola più volte ma non voleva saperne di aprirsi. Così, arrabbiata e nervosa più che mai, iniziai a dare spallate e calci alla porta. Mi lasciai sfuggire un verso simile a quello degli uomini delle caverne quando capii che neanche quelli avrebbero funzionato. «Cosa stai facendo?» domandò una voce dietro di me. «Cosa ti sembra che stia facendo?! Sto cercando di aprire questa schifosissima porta!» sboccai. La voce non mi rispose, così mi girai per controllare se fosse ancora là o se avesse deciso di farsi i cazzi suoi, trovandomi due occhi neri che mi fissavano. L'espressione del ragazzo dalla pelle ambrata era un misto tra "Dovrei scappare?" e "Ma questa è pazza". Lo guardai attentamente, notando solo ora gli occhi a mandorla e i tatuaggi che la divisa arrotolata lasciava scoperti. Era dieci centimetri buoni più alto di me e la sua figura torreggiava sulla mia, ma comunque quel ragazzo non riusciva a farmi paura. «Perché stai cercando di entrare nella mia stanza?» chiese, dopo secondi in cui eravamo rimasti a fissarci. Aggrottai la fronte confusa. «La tua stanza?» domandai. Mi fece un cenno del capo, indicandomi il numero dipinto sulla porta. «203» sussurrai. «Ti sei convinta ora?». I miei occhi saettarono da quelle cifre al ragazzo. «Come diamine ho fatto a confondermi?!» urlai, mettendomi le mani nei capelli. «Non gridare» mi ordinò il moro, portandosi l'indice sulla bocca e sussurrando uno "Shh". «Doppia dose di pillole se ti sentono urlare» mi spiegò dopo aver notato la mia espressione interrogativa. «Anche se forse ti servirebbe» alzò le spalle. «Io ti giuro che è la prima volta che mi capita e non sono pazza, davvero, ero solo incaz-» mi fermò con un gesto della mano. «Ok, non mi importa biondina. Mi fai entrare?». Solo in quel momento notati di essere ancora davanti alla sua porta, bloccandogli così la strada. Mi spostai per farlo entrare e prima che si chiudesse dentro mi presentai. «Io sono Mabel Clarke comunque» lo guardai, sorridendo. Ricambiò il mio sguardo. «Non te l'ho chiesto» rispose, chiudendosi la porta alle spalle.
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5 wounds//Calum Hood
Fiksi PenggemarLe porte della mensa si aprirono bruscamente e un ragazzo vi entrò dentro, scortato da due guardie armate che lo tenevano per i polsi già ammanettati. Tutti, compresa me, ci girammo nella sua direzione, spinti dalla curiosità. Quello che mi stupì fu...