6. Calum Hood

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Sbuffai annoiata guardando la giovane donna seduta davanti a me: i capelli biondo fragola erano raccolti in un'ordinata coda di cavallo, gli occhiali da vista le ricadevano sul naso facendola sembrare più grande e il camice bianco le fasciava il corpo snello e sinuoso. «Lydia, posso chiamarti Lydia giusto? Beh ecco, quanti anni hai?» domandai mangiucchiandomi le unghie. Lei rise di gusto per poi scuotere la testa ed ignorare la mia domanda. «Sicuramente ti starai chiedendo perché ho deciso di voler fare una seduta con te ogni settimana» sorrise guardando dei fogli appoggiati sulla scrivania. «In realtà sono piuttosto sicura di saperlo» risposi guardandomi attorno. Le pareti del suo studio erano color cachi e non c'era neanche un pezzetto di quelle mura che non fosse tappezzato di foto o attestati. Un divanetto era posto vicino all'entrata con un tavolo di cristallo avanti, mentre la scrivania, collocata davanti ad una grande finestra luminosa, era piena di fogli e foto. Un enorme mobile- probabilmente un archivio- era posto accanto ad essa. Con mio dispiacere ammisi che quella stanza fosse la più viva di tutte. «Ti piace come ho arredato il mio ufficio?» chiese la dottoressa Finn notando il mio interessamento. Annuii apatica senza rispondere. «Bene Mabel, visto che non ti piacciono i miei argomenti, perché non parli tu di qualcosa?». «Qualsiasi cosa?» chiesi perplessa. «Qualsiasi» disse sorridente. «Davvero?». «Davvero». «Me lo giuri?» domandai ancora. Lydia scoppiò a ridere, forse per nascondere la precedente espressione spazientita. «Te lo giuro. Avanti Mabel, parla» disse poi. «Sai Lydia, sei davvero fortunata a non dover mangiare il cibo della mensa; è davvero uno schifo! Neanche un cane se lo mangerebbe! Sono stata male più di una volta ma non ti dirò che ho avuto, te lo risparmio, anche se avrai già immaginato cosa mi possa essere uscito dal cu-» mi fermò con un gesto della mano. Mi ricomposi per poi riprendere a parlare. «Secondo me si impegnano a cucinare schifezze del genere».
«Per non parlare delle stanze! Non sono ancora riuscita a capire se quella sul muro è vernice o muffa! E il giardino è così poco curato, persino io riuscirei a fare di meglio! E te lo giuro, il giardinaggio non fa per me. Pensa che quando ero piccola mi ero imposta di far crescere qualche fiore dietro casa mia, così piantai qualche seme con l'aiuto di mia madre e indovina? Non sapevo di doverli annaffiare periodicamente e non ti immagini cosa venne fuori, anche perché non venne fuori nulla!» continuai, ridendo al pensiero di quei ricordi. Anche la dottoressa Finn fece lo stesso. «Va bene Mabel, ho capito che qui non ti piace. C'è però qualcosa che gradisci almeno un po' di questo posto?» chiese curiosa togliendosi gli occhiali. Non dovetti neanche pensarci e risposi. «Ashton». «Irwin giusto?» chiese ottenendo un cenno di affermazione da parte mia. «È il tuo ragazzo?» domandò cauta. Io sorrisi, trovando buffo il suo tono di voce. «No, certo che no. Ashton è la mia ancora». «Che intendi?». Gli occhi mi diventarono lucidi ma ricacciai le lacrime indietro, non volevo piangere di fronte a lei. «Non mi va di parlarne» ammisi dopo qualche secondo. «È perché tra poco uscirà?» chiese ancora, facendomi arrivare quasi al limite. Decisi però di non dare di matto e ignorai la domanda, cambiando argomento.

Mi guardai allo specchio, sperando che l'immagine riflessa non fossi io ma solo la mia brutta copia: i miei occhi castani erano spenti e accompagnati da occhiaie violacee, la pelle era pallida e priva di qualsiasi colorito e i capelli biondi erano rovinati, ma il loro riccio era sempre lì, presente, forse a dimostrarmi che avevo ancora un briciolo di vita e di speranza nel mio corpo.
Sussultai quando sentii delle urla provenienti dal corridoio e non ci pensai due volte prima di uscire: una ragazza piangeva e gridava, disperata, mentre una guardia la trascinava via con forza; davanti a lei giaceva a terra il corpo di un ragazzo privo di vita.
«Tornate tutti dentro! Non c'è nulla da vedere qui! Via!» ordinò urlando il capo dei sorveglianti e immediatamente la folla si dileguò. Anche io entrai nella mia stanza e sotto shock mi sedetti sul letto non riuscendo a reggermi in piedi: le gambe e le mani mi tremavano e il sangue mi si era gelato nelle vene. Sentii la porta aprirsi rivelando Ashton che la richiuse subito alle sue spalle. «Come stai?» domandò preoccupato prendendomi per mano e sedendosi accanto a me. Lo guardai e non riuscii a trattenere le lacrime, scoppiando così in un pianto liberatorio. «È tutto ok Mabel, è tutto ok. Ci sono io qui con te» mi sussurrò dolcemente all'orecchio. «Cosa ci fai qui? Non dovresti essere nella tua camera?» domandai finito di piangere ma con la voce ancora tremolante. «Dovrei» mi fece l'occhiolino. «Ho approfittato di un momento di distrazione delle guardie e sono sgattaiolato qui per vedere come stessi e direi che ho fatto bene» aggiunse sorridendo e accarezzandomi i capelli. «Che-che è successo?» chiesi piano. «Non lo so, ma da quello che ho capito si è suicidato» sussurrò espirando con la bocca. «Come? Perché? Chi era quella ragazza?». «Credo che per un periodo abbia smesso di prendere le pillole, facendo solo finta di assumerle quando in realtà le nascondeva e poi le ha ingerite tutte in una botta sola. Non so perché l'abbia fatto e credo che sia stata quella ragazza a trovarlo» disse stringendo la mia mano. Tirai su col naso e cercai di non pensare a quel corpo steso a terra. «Era da tanto che non accadeva» disse a bassa voce, come se neanche lui riuscisse a realizzare che era capitato, ancora. «Non ce la faccio più» ammisi dopo vari minuti. Ashton si girò a guardarmi: i suoi occhi erano così intensi, capaci di farti entrare dentro e di non uscirne più. «Ancora poco principessa» mi baciò la fronte e uscì dalla stanza senza farsi vedere. Mi sdraiai sul letto e affondai la faccia nel cuscino iniziando a piangere e ad urlare  fino a non avere più le forze. Quello era il mio modo di sfogarmi, lo era sempre stato e lo fu anche quando scoprii cosa lui mi aveva fatto. Mi aveva procurato così tanto dolore ed ero arrivata al punto di non riuscire più a trattenerlo; il mio corpo era troppo esile per contenerlo e urlare mi aveva aiutato a consumarne una piccola parte.
Scacciai quei pensieri che iniziavano ad opprimermi e tornai nei bagni pubblici, decisa a fare una doccia. Una volta entrata fui felice di non trovare nessuno e mi spogliai, gettandomi immediatamente sotto l'acqua calda. Iniziai a canticchiare tra me e me quando sentii un'altra doccia aprirsi e curiosa mi guardai attorno per capire chi fosse. Spalancai gli occhi quando vidi Occhi a mandorla, nudo. Completamente nudo. «Cosa diamine ci fai qui?! Non hai visto il simbolo della signorina con la gonna grande e grosso sulla porta?!» sbraitai coprendomi istintivamente le parti intime con le braccia. «Nei bagni maschili non c'è acqua calda» disse con nonchalance ignorando il mio imbarazzo. «Esci fuori di qui» sibilai. «Tranquilla biondina, non hai niente che io non abbia già visto» sorrise furbo sciacquandosi i capelli. «Mi hai guardata?!» urlai con le guance che ormai andavano a fuoco. In risposta lui alzò le spalle continuando a lavarsi. «Hai finito di guardarmi? Così mi sciupi» disse divertito chiudendo l'acqua e avvolgendosi il bacino con un asciugamano. «Mi sa che non conosci la differenza tra guardare con desiderio e guardare con odio profondo» risposi irritata. «Biondina, sono la stessa cosa». Ignorai il suo tono altezzoso e con il gomito- ancora mi stavo coprendo il corpo con le braccia- chiusi il getto d'acqua e mi guardai intorno in cerca del mio asciugamano, trovandolo appoggiato ad un lavandino. «Merda» sussurrai, cercando di pensare a come raggiungerlo senza farmi vedere dal moro. «Occhi a mandorla?» lo chiamai. «Cosa vuoi?» rispose acido. «E comunque smettila di chiamarmi così» aggiunse. «Ti chiamerei col tuo nome se solo lo sapessi» alzai le spalle, ricevendo una smorfia in risposta. «Già, allora non chiamarmi». Sbuffai alzando gli occhi al cielo, abbastanza spazientita da quella situazione. «Mi passeresti l'asciugamano?» chiesi imbarazzata. «Le persone normali di solito lo lasciano appeso accanto alla doccia». «Evidentemente non sono normale, ma chi avrebbe mai pensato che un ragazzo sarebbe entrato nel bagno delle ragazze e che ci avrebbe fatto anche la doccia?!» sbraitai. «Calmati biondina» mi guardò divertito mentre afferrava il pezzo di stoffa. «Non guardarmi!» strillai aspettando che chiudesse gli occhi per poi afferrare l'asciugamano e avvolgermelo attorno. «Bel sedere» rise. «Io ti uccido» soffiai marcando ogni parola. In risposta lui incominciò a ridere più forte: la sua risata era buffa ma piacevole da sentire, talmente tanto da contagiare anche me. «Me lo dici o no come ti chiami? Perché altrimenti ti dovrò trovare un altro soprannome visto che Occhi a mandorla mi ha stancata» dissi. Lui sbuffò ma poi mi sorrise. «Mi chiamo Calum, Calum Hood» rispose per poi andarsene.
Rimasi immobile, non aspettandomi che mi avrebbe veramente rivelato il suo nome. «Calum Hood» sussurrai, notando come quel nome scivolasse piacevolmente tra le mie labbra. Istintivamente sorrisi e scossi la testa divertita, chiedendomi da quando in qua pensassi quelle cose. Mi rivestii velocemente e pettinai i capelli per poi lasciarli bagnati, preferendo che si asciugassero al naturale. Uscii in corridoio e guardai l'orologio appeso al muro che segnava le 15:35. Sorrisi e feci per andarmene, tornando però immediatamente indietro per ricontrollare di aver letto giusto. 15:35. A che ora dovevo essere in lavanderia? 15:20?
Iniziai a correre e ad imprecare per la mia sbadataggine, scontrandomi con chiunque mi capitasse davanti senza neanche chiedere scusa perché ei! ero in ritardo. Arrivai davanti alle porte della lavanderia con i polmoni che mi bruciavano. «Perché ogni volta che ci incontriamo hai il fiatone?» chiese una voce dietro di me. Mi girai, trovandomi un grattacielo biondo davanti- più o meno (se guardavo dritto senza alzare il viso potevo solo ammirare le sue mastodontiche spalle)- agli occhi. Aspettai qualche minuto prima di parlare. «Ero in ritardo» boccheggiai. «In realtà sei pure in anticipo» fece spallucce aprendo le porte della lavanderia. «Che intendi?». «Intendo che il turno inizia alle 15:45 e tu sei già qui» sorrise. «Stai dicendo che io ho corso, rischiando anche di farmi venire un infarto, per niente?!» quasi urlai. Luke timbrò e io lo seguii, rendendomi conto che se non ci fosse stato lui probabilmente me ne sarei dimenticata. «A quanto pare» alzò ancora le spalle. Per l'ennesima volta mi maledii per la mia imbranataggine ma lasciai perdere, concentrandomi sulla montagna- letteralmente, era quasi più alta di Luke Hemmings- di panni che c'erano da piegare. Sbuffai, tirandomi su le maniche e iniziando a lavorare. Luke si schiarì la voce, attirando la mia attenzione. «Posso- ehm posso farti una domanda?» chiese quasi imbarazzato. Feci un cenno con il capo per farlo parlare. «Chi era il ragazzo di ieri?» domandò. «Quale ragazzo?». «Quello seduto sulla panchina». «Quale panchina?». «Una di quelle in giardino». «Ma quando?». «Ieri pomeriggio». «Ma-» non mi lasciò finire la frase perché iniziò ad urlare. «Porca troia Mabel, ma è possibile che tu sia così cogliona?! Non è così difficile da capire! Ragazzo, panchina, ieri pomeriggio! Ci sei?! O vuoi una botta in testa così ti ripigli?!». Io lo guardai impassibile, per poi accarezzargli la spalla e sussurrare un «Respira. Vuoi un bicchiere d'acqua?» beccandomi uno sguardo omicida in risposta.
«C'erano due ragazzi, quindi di chi parli?» chiesi poi, cercando di non scatenare un'altra scenata del biondo. «Quello con i capelli blu». «Oh, quello è Mikey». «Mikey? Diminutivo di Michael?». Io annuii. «Michael Clifford» dissi poi. «Okay» rispose semplicemente per poi ricominciare a piegare i panni e io feci lo stesso. Rimanemmo in silenzio per vari minuti, poi una lampadina mi si accese. «Perché?» domandai. «Perché cosa?». «Perché mi hai chiesto di Michael?». «Senti, io non ti ho chiesto perché volessi sapere del cinese e tu dovresti fare lo stesso» rispose freddo. Quella reazione mi sorprese così decisi di non parlare più, preferendo che tra di noi aleggiasse il silenzio.
Finii di piegare i panni che mi spettavano e uscii dalla lavanderia, quando una mano mi afferrò il polso. «Scusa» sussurrò Luke quando mi girai a guardarlo. «Tranquillo Biondo che fa impazzire il mondo» feci spallucce. «No davvero, scusa» disse ancora. «Ho capito e ho detto che va bene». «Mi dispiace, non volevo risponderti in quel modo sgarbato. Non essere arrabbiata con me ti prego, sei l'unica amica che ho qua e-»
«Non sono arrabbiata con te Luke, quante paranoie» lo interruppi alzando gli occhi al cielo. «Potevi dirlo prima?! Così non sarei sembrato un disperato!» esclamò lasciando finalmente la presa sul mio polso. Lo guardai storto col sopracciglio alzato. «Sei bestiale» dissi per poi andarmene.


Afferrai il piatto che mi stava porgendo la cuoca facendo una smorfia schifata. «Cosa dovrebbe essere?» chiesi. «Un hamburger» rispose la donna alzando le spalle. «Un hamburger?» domandai retorica guardando il piatto: più che un hamburger sembrava umido per cani.
La cuoca mi fece segno col capo verso la fila dietro di me. «Ok, ok. Me ne vado» alzai un braccio in aria e mi diressi al tavolo dove era seduto Ashton. «E gli altri?» chiesi dopo averlo salutato mentre con la forchetta punzecchiavo la carne per vedere se non fosse ancora viva. «Non lo so» rispose semplicemente. «Tutto ok?» domandai quando mi accorsi della sua faccia pallida e del sorriso spento che mi aveva rivolto. «Si, si» rispose distrattamente, facendomi preoccupare maggiormente. Gli afferrai la mano attirando la sua attenzione e mi avvicinai a lui. «Parlami Ashton. Che succede?». In risposta lui scosse la testa, sussurrò un lieve «Scusa» e se ne andò. Capii che voleva rimanere da solo e così non lo seguii, rimanendo però preoccupata per lui.
«Prima o poi glielo tiro dietro sto cibo di merda» borbottò Luke sedendosi al mio fianco e sbattendo il vassoio sul tavolo, causando un tonfo che mi fece sussultare. «Ciao Luke» lo salutai con la mano ancora sul cuore. «Davvero, non mi capacito di come sia possibile ridurre così un hamburger!» esclamò arrabbiato facendomi ridere. Lui mi guardò torvo ma poi mi seguì iniziando a ridere. «Ciao Mabel e ciao, ehm, ragazzo che non ho mai visto in sei mesi che sono qui» ridacchiò Michael sedendosi di fronte a noi. Lo salutai di rimando, mentre Luke lo guardava con attenzione. Aggrottai le sopracciglia per poi dargli una gomitata nel fianco per farlo parlare. «Oh sì, piacere io sono Luke» si passò una mano nei capelli. «Io Michael» disse porgendogli la mano che l'altro afferrò prontamente. «Da quanto sei qui?» chiese il ragazzo con i capelli colorati. «Quasi due mesi» rispose Luke addentando l'hamburger di cui prima si stava lamentano. I due iniziarono a parlare del più e del meno per conoscersi, mettendomi da parte.
Mi guardai attorno e quando trovai chi stavo cercando mi diressi verso di lui, senza salutare Luke e Michael che probabilmente non si erano neanche accorti di me.
«Ciao Calum» salutai sedendomi accanto a lui. Lui mi guardò confuso. «Il fatto che tu sappia il mio nome non ti renderà mia amica, lo sai?». «Senti, io proprio non capisco che problema hai nei miei confronti. Sto solo cercando di farti sentire meno solo e apprezzato, quindi smettila di trattarmi così!» urlai, stufa del modo in cui mi si rivolgeva. «Il fatto è che io voglio rimanere solo» rispose acido marcando il verbo. «Non è vero, tu non lo vuoi. Stai solo cercando di punire te stesso per quello che hai fatto perché te ne vergogni, ma sappi che così non andrai da nessuna parte! La solitudine e il senso di colpa ti uccideranno lentamente e allora che farai?» dissi arrabbiata puntandogli un dito contro. Lui spalancò leggermente gli occhi ma non disse niente. «So come ci si sente e fidati, il perdono è la soluzione migliore» aggiunsi per poi andarmene.
«Aspetta!» mi richiamò. Mi girai, aspettando che parlasse. «Stanotte andiamo sul tetto?».


CEAAAAAOOO
Devo ammettere che sono abbastanza demoralizzata perché questo capitolo fa schifo e nessuno mi caga
Spero vivamente che col tempo ci saranno più persone a leggere questa storia, perché ci tengo molto e non vorrei che il mio "lavoro" fosse invano.
Ah, TRA UNA FOTTUTA SETTIMANA INIZIA LA SCUOLA E IO HO ANSIA

HELP

ME

PLEASE

Vorrei ringraziare la mia Chiara per le idee e per il supporto che mi dà (probabilmente è l'unica persona che legge questa storia)

Per qualsiasi cosa potete trovarmi su Twitter, sono @/xniallsanangel

La finisco qui, un kiss a todos ;)

5 wounds//Calum Hood Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora