Il Palazzo dei Fantasmi

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Dinnanzi a loro si ergeva il palazzo. Si vedeva che era molto trascurato. Rispetto agli altri edifici del parco, che erano stati ritinteggiati da poco e brillavano quindi di colori vivaci, questo era di un ormai grigio cupo. Le nuvole, coprendo il sole al tramonto, collaboravano con la pioggia sottile ed il forte vento a dare un aspetto ancor più tenebroso al palazzo dai sei piani.

- Questo lo chiamano il “Palazzo dei Fantasmi”! – disse Anna, indicando la costruzione. Si sistemò i capelli color castano chiaro scossi dal forte vento. Era in arrivo una tempesta.

- E perché lo chiamano così? – chiese, dunque, Vincenzo.

Il ragazzo era più alto di Anna, e non perse tempo nel raddrizzare la schiena per farle notare la sua superiorità, pensando che non sapesse rispondere.

- Ovvio, no? Perché ci sono i fantasmi! – lo istigò. Anna aveva solo quindici anni, un anno in meno a Vincenzo, ma nonostante ciò era abbastanza furba da non farsi mai umiliare.

- Bazzecole, io non credo a queste cose. –

- Intanto chi ne è entrato dopo l’omicidio di quell’intera famiglia al secondo piano, non ne è più uscito. Ehi, dove vai?! –

- A vedere più da vicino! – rispose prontamente Vincenzo. Solo ora che si avvicinava, notava che molte vetrate erano rotte e gran parte delle ringhiere si mantenevano a stento.

- Ti prego, no! Io ho paura!! – Anna gli era corsa dietro per non rimanere sola, ma avrebbe voluto tanto fosse Vincenzo a tornare da lei.

Un fulmine squarciò il cielo in quello stesso momento e la pioggia iniziò a cadere. Il temporale era iniziato!

- Ho paura! Torniamo a casa, Vincenzo! – Ma lui non l’aveva ascoltata. Spinse la mano contro il portone di ferro; era aperto!

- Non entrare! Non entrare! – Anna urlò, ma Vincenzo la ignorò e varcò la soglia. Anche questa volta, lei lo seguì e si attaccò al suo braccio. Il palazzo, a differenza degli altri, non era illuminato; tutte le luci erano spente. Un altro fulmine. Anna strinse più forte il braccio di Vincenzo. Il folgore aveva permesso loro di vedere l’androne. Era largo, dietro l’angolo sulla sinistra ci sarebbe dovuto essere l’ascensore e accanto le scale: Vincenzo, curioso, vi si diresse. Anna, questa volta, non parlò ma gli tirò il braccio. Questi, però, fu più forte e la trascinò con se. Svoltò l’angolo. La scena era identica a come era stata offerta dalla sua immaginazione, ovvero l’ascensore e le scale presidiavano l’ottima posizione, ma…l’ascensore era aperto e dentro la luce era accesa, anche se funzionava ad intermittenza. Dopo l’attimo di sgomento, Vincenzo si precipitò all’interno della cabina, portando con se ancora una volta Anna. Riuscirono solo a guardarsi nello specchio spaccato in due parti da una crepa, prima che si chiudessero le porte e l’ascensore iniziasse a salire. La luce si spense del tutto e i due ragazzi si trovarono nella più spaventosa delle oscurità. Anna urlava abbracciando Vincenzo, talmente forte da togliergli la poca aria rimastagli nei polmoni. Le urla della ragazza echeggiarono per tutto il palazzo. Si fermarono di colpo e le porte si aprirono; i due uscirono dall’ascensore, appoggiando i piedi su un grosso strato di polvere. Dal finestrone in fondo al pianerottolo si disperse un’altra scia di luce: alla loro destra c’era una porta blindata coperta di crepe e rientranze; al centro della parete, il numero 6 simboleggiava il piano sul quale si trovavano; alla loro sinistra, regnava un’altra porta, ma questa del tutto integra e pulita, quasi non fosse stata toccata dal passare degli anni; più avanti c’erano due rampe di scale, una che portava sopra, sulla terrazza, e l’altra che portava al piano inferiore; infine, in fondo, accanto al finestrone, vi si presentava un’alta porta, completamente graffiata e mancante di serratura, che giaceva per terra.

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