Capitolo 3

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Stavo gelando.

Battevo i denti rannicchiato in un angolo della stanza con solo una coperta a tenermi al caldo.
Nella cella c'erano solo 4 letti e, dopo una lunga discussione, si era deciso di lasciarci dormire: le due ragazze, il bambino e lo strano uomo dall'aria minacciosa.

All'inizio lo scimmione e capelli blu avevano cominciato a litigare per decidere chi dei due avrebbe dormito sull'ultimo letto a disposizione.
- Ci sono sopra io e ci dormo io - aveva affermato capelli blu incrociando le braccia. - Tirami giù a forza - fece la linguaccia.
- Non chiedevo altro - gli mostrò una smorfia ironica lo scimmione, tirandolo giù quasi all'istante. Ero sicuro che se le stessero per dare quando, improvvisamente, l'uomo dall'orecchio tagliato si andò a sdraiare sul letto tanto ambito.
- Ehi, vecchio, scendi! - gli sbraitò contro lo scimmione fermando appena in tempo il pugno in aria.
- Tra i due litiganti il terzo gode! - sbadigliò l'uomo passandosi una mano sulla faccia.

Lo scimmione non aggiunse altro e scaraventò, come con capelli blu, l'uomo a terra, provocando l'ennesimo tonfo che rimbombò per tutta la cella.
- Non dovevi farlo, moccioso... - in mezzo secondo l'uomo gli prese un braccio, sbattendolo a terra e cominciando a tirarglielo da dietro.
- Allora? Di chi è ora il letto? - gli bisbigliò ad un orecchio.
-Tuo! E' tuo maledizione! - fu costretto ad ammettere lo scimmione, in preda al dolore.
- Grazie - gli diede una pacca sulla spalla l'uomo catapultandosi nuovamente sul letto.
Io e il ragazzo con la cicatrice non avevamo avuto alcuna intenzione di partecipare a una lite simile e finimmo solo per scambiarci un'occhiata veloce.
Mi andava bene il pavimento.
In fondo, mi era bastato per anni, quindi non avevo particolarmente voglia di partecipare a una discussione simile, anche se mi avrebbe fatto piacere, certo, dormire su un letto nonostante l'aspetto poco invitante.

Ma ora eravamo lì a morire tutti di freddo, rannicchiati in quelle coperte vecchie e logore, continuandoci a ripetere che era già stata una fortuna averle trovate.
Più volte, quella notte, sentimmo improvvise urla che arrivavano dalle celle accanto la nostra.
Ogni urlo era come un incubo che mi faceva sobbalzare e costringermi a guardare in faccia la realtà: eravamo tutti prigionieri di un gioco che ci avrebbe portato da una sola parte, la morte.
Anche se gli altri tentavano di rimanere indifferenti, leggevo note di disagio nei loro movimenti; conoscevo bene quel comportamento.

Era paura.

Aleggiava nell'aria sin dal primo momento in cui avevamo messo piede fuori dal furgone, mentre per me era come una vecchia amica che mi aveva accompagnato negli anni.
Ma non una paura quasiasi, la nostra era la paura dell'ignoto.
Perché nessuno sapeva in che modo o quando saremmo morti, l'unica cosa certa era che sapevamo che sarebbe successo.
Alla fine tentai di prendere sonno, inutilmente. L'unica cosa che mi rieccheggiava nella mente era la frase: "sono tutti degli assassini".
Come potevo prendere sonno in un posto simile?
La mia attenzione veniva attirata spesso dallo scimmione e la mia mente continuava a riportarmi a ciò che mi aveva detto fuori.

"Devo calmarmi"

Stavo di nuovo entrando in panico e questo non poteva di certo aiutarmi.
- Etchiù! - quasi mi venne un infarto quando sentii la ragazza castana starnutire, rompendo il silenzio della notte che mi stava regalando pensieri sempre più inquietanti.
- Sei un fastidio incredibile... - sospirò lo scimmione senza aprire gli occhi, con le coperte sulle spalle, poggiato al muro davanti a me.
- Scusate - era riuscita a dire la ragazza con un fil di voce, sentendola tremare dal freddo.
- Lasciala in pace - mormorò l'uomo da sotto le coperte, senza scomporsi a girarsi dalla nostra parte, dall'alto del suo letto.
- Non intrometterti sempre, vecchio! - gli ringhiò il ragazzo.
- Non chiamarmi vecchio! - si girò, per guardare con occhi di fuoco lo scimmione.

- Oh avanti, la volete smettere!? - si alzò brusca di schiena la bionda, facendo emettere uno scricchiolio al letto.
- Immagino che qui nessuno riesca a dormire - sorrise capelli blu, sbucando con la testa fuori dalle coperte da cui, fino a un momento fa, si vedeva solo un ciuffo, poggiato al letto accanto a dove dormiva il bambino.
- Beh, io ci stavo provando - si svegliò anche il ragazzo con la cicatrice, non riuscendo a trattenere uno sbadiglio.
- Che ne dite di presentarci tutti? - domandò ancora capelli blu. - Non so voi, ma io mi sentirei un po' più a mio agio nel conoscere con chi sto dividendo questa cella, giusto piccoletto? - rivolse per la prima volta l'attenzione al bambino, che fino a quel momento non aveva proferito parola.
- Che importanza fa? - gli rispose con voce piccola, una voce che tradiva il suo sguardo spento, eppure, sentivo durezza nelle sue parole. - Tanto moriremo tutti domani.
- Non era la risposta che mi aspettavo - sorrise a disagio capelli blu.
- Mi presenterò per primo, allora - si indicò fiero. - Mi chiamo Leopold, ma voi tutti potete chiamarmi Leo, e ho 24 anni - ci sorrise, con un sorriso quasi più luminoso della lampadina ancora accesa in quella cella: avevamo deciso di non spegnerla durante la notte ed era stata una grande idea. Avere tutti sott'occhio mi faceva evitare di impazzire.

- Che razza di nome è Leopold? - domandò lo scimmione.
- Che ne so, chiedilo ai miei - scrollò le spalle Leo.
- Ehi, tu! - mi indicò come il peluche che si vuole vincere al tiro al bersaglio. - Tu col cappuccio!
- Ma non te lo togli mai? - domandò al suo posto lo scimmione.
- Non era questa la mia domanda - lo fulminò Leo. - Nome ed età.
- Perché dobbiamo dire anche l'età? - insistette lo scimmione, infastidito.
- Perché sono un tipo curioso? - sorrise Leo.
- Ah... ehm... io - cominciai a balbettare.

- Nome interessante ragazzo - intervenne l'uomo, facendo penzolare i piedi fuori dal letto, ormai svegliato da tutto quel fracasso.
- Oh avanti, lasciatelo parlare, è timido - disse la bionda, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi con la schiena al muro.
- Kevin e ho 17 anni - quasi bisbigliai continuando a guardare un punto fisso per terra.
- Nome comune - si toccò il mento Leo come un vecchio saggio.
- Ti credevo più grande - mi guardò il ragazzo con la cicatrice.
- È anche lui piccolo... - intervenne la bionda, per poi attirare l'attenzione su di sé.
- Il mio nome è bellissimo - si vantò. - Indovinate!
- Barbie? - domandò ironico lo scimmione.
- Sbagliato - lo guardò male - è Juliet - si mise una mano sul cuore. - Come l'amore eterno tra Romeo e Giulietta.
- La conosci la fine? - gli chiese Leo, guadagnandosi una sua occhiataccia.
Alzò le mani in segno di resa. - Età? - chiese per deviare il discorso.
- 21 - sbuffò Juliet.
- Peccato, mi piacciono più grandi - sospirò.
Dall'espressione di disgusto di Juliet, immaginai non se la fosse presa a quella affermazione.

- E tu? - chiese all'altra ragazza Leo, che era diventato ormai il presentatore della serata.
- Emily... 20 anni - rispose solamente quest'ultima.
- Nome comune N°2 - le indicò il numero con le dita.
- Io sono Mike - si presentò il ragazzo con la cicatrice. - 22 anni.
- Dovevi aspettare il tuo turno! - lo rimproverò deluso Leo. - E lei signore? - sospirò con lo sguardo rivolto all'uomo che continuava a grattarsi l'orecchio ferito. - Ce l'ha un nome?
- Joe ed ho 34 anni, quindi non chiamatemi vecchio e non rompete più - posò per un attimo lo sguardo sul più grosso di noi.

- Scimmione è il tuo turno! - lo indicò Leo. - Se non vuoi dirci niente, non preoccuparti, mi piace il nome "Scimmione" - gli sorrise.
- Se non stessi congelando a quest'ora ti avrei già staccato la testa e l'avrei usata come cuscino - gli ringhiò contro.
- Roy - pronunciò a denti stretti. - 23 anni - aggiunse, quasi come se fosse stata una sconfitta ammettere di avere un solo anno in meno a Leo.

- Ed ora siamo quasi al gran completo! - esclamò entusiasta Leo. - Piccoletto, manchi tu - gli mise davanti la bocca un microfono immaginario.
- Non diremo a nessuno il tuo nome, su, non essere timido.
Gli occhi di quel ragazzino mettevano davvero timore, non erano gli occhi di un bambino. Ne ero quasi certo, il suo, era lo sguardo di un assassino.
Guardò Leo con occhi gelidi.
- Cody - pronunciò lentamente - ho 13 anni - la sua voce si abbassò.

- Din din din - fece finta di battere una campanella invisibile. - Non si respira già un'altra atmosfera? - sorrise, allargando le braccia.
- Al dire il vero, no - affermò Roy.
- Almeno lui ci sta provando ad alleggerire l'aria - intervenne Mike.
- Alleggerire l'aria? Alleggerire l'aria!? - cominciò ad agitarsi Emily.
- Siamo ai Death Games! - fece una lunga pausa soffocando la sua stessa voce. - Noi siamo già morti...

Le sue parole divennero pesanti. Per un attimo mi ero dimenticato di tutta quella faccenda, e sentirle dire quella frase fu come ricatapultarmi alla realtà. Non ricordo quando mi addormentai, ma sono sicuro che quando lo feci, le sue parole furono il mio ultimo pensiero.

Death Games: Che i giochi abbiano inizio! #Wattys2017 [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora