Papà Pappagallo (bestiario contemporaneo)

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Papà Pappagallo faceva il venditore di auto.
Lo avevano preso perché sapeva ripetere a memoria le modalità di vendita che i Pappagalli superiori gli avevano dato il compito di studiare e poi recitare.
Era l'impiegato del mese da un anno, e presto sarebbe giunta la promozione che tanto agognava.
Entrò un cliente, un Pappagallo in carriera con giacca e cravatta; lui voleva l'auto più costosa del concessionario.
Papà Pappagallo lo portò davanti all'innovativo bolide 4x4 turbo-diesel-metano-elettrica, e il Pappagallo in carriera ne fu soddisfatto, ma prima di sganciare il grano chiese al suo venditore cosa ne pensasse della migrazione dei Pappagalli Neri lungo la costa del loro paese.
Papà Pappagallo disse quel che aveva sentito dire: era un'invasione ingiustificata, che non avrebbe fatto altro che dare guai; che i Pappagalli Neri rubavano il lavoro a Pappagalli onesti come loro.
Il Pappagallo in carriera fu soddisfatto della risposta, pagò l'auto, e il nostro impiegato beccò la promozione, pensando che la sua opinione fosse la più corretta in assoluto.
Tornando verso casa si accese la sigaretta della vittoria e festeggiò con Mamma Pappagallo e Figlio Pappagallo facendo una cena, e mentre assaggiavano le delizie imbastite sul tavolo, Figlio Pappagallo chiese al padre cosa ne pensasse dell'attacco terroristico che i Pappagalli Neri avevano fatto alla città di Pappagarigi, dove più di cento Pappagalli ci avevano lasciato le penne.
E il nostro impiegato del mese da un anno non seppe che dire al figlio, se non quello che aveva sentito già dire riguardo quei Pappagalli Neri: che non bisognava farli entrare nei loro territori, che non erano Pappagalli onesti, che erano degli animali.
Figlio Pappagallo invece giustificò i Pappagalli Neri, dicendo che scappavano dalle bombe lanciate da Pappagalli Bianchi, che quell'attacco terroristico era solo una risposta a tutti i soprusi che avevano subìto nelle loro terre.
Il padre chiese al figlio dove avesse preso tutte queste informazioni, il figlio rispose che le aveva lette da altri Pappagalli che scrivevano sul web.
Il padre diede del pappagallo al figlio, il figlio diede del pappagallo al padre, scoppiò un litigio e tutti andarono a dormire col sangue amaro.
Il giorno dopo, Papà Pappagallo cercò sul web le fonti che aveva trovato il figlio, le lesse tutte e giunse alla conclusione che parevano vere quanto le fonti contrarie che lui stesso aveva sostenuto la sera prima.
Giunse un altro pappagallo in carriera, chiese a Papà Pappagallo di mostrargli l'auto più innovativa del concessionario, gliela mostrò, ripeté a memoria la solita formula di vendita e il cliente, pronto a comprarla, estrasse il portafoglio, ma prima di svuotarne il contenuto chiese al suo interlocutore cosa ne pensasse dell'attacco terroristico a Pappagarigi.
Papà Pappagallo stava per ripetere ciò che aveva già detto sia al cliente del giorno prima, sia al Figlio, ma si bloccò quando si accorse che stava facendo confusione con l'opinione che aveva e quella che s'era appena fatto leggendo contro-notizie sul web.
Egli non seppe come rispondere, e fece scena muta.
Il Pappagallo in carriera lo guardò con disappunto, rimise in tasca il portafoglio e se ne andò via.
Dopo il rimprovero apocalittico dei suoi superiori, accesa la sigaretta del post-sclero, tornò a casa, il Figlio stava fuori a cena, dunque prese Mamma Pappagallo, la scaraventò sul letto e tirò fuori il pappafallo, cominciando a sfogarsi con la moglie, che pure lei di nervosismo ne aveva da scaricare.
Giunto al culmine del piacere, egli cominciò a chiedersi cosa ci fosse in lui di autentico e cosa un'imitazione.
Finito l'orgasmico momento, si abbandonò sul materasso.
Prese il pacchetto di sigarette. Vuoto.
Uscì dunque nella notte fredda per raggiungere il distributore del tabaccaio chiuso sotto casa.
Era un distributore timido, dovevi provare ad infilare la banconota otto o nove volte prima che si decidesse a prenderla e, come ringraziamento, ti sputava fuori prima il pacchetto e poi, se ti andava bene, pure il resto in ferraglia di rame.
Accesa la sigaretta post-coito in ritardo, Papà Pappagallo fu colto da un ricordo improvviso: la sua prima sigaretta. Non la stava fumando lui, era troppo piccolo per farlo, di fatti stava tra le ali di sua madre.
La fumava una Vecchia Pappagallo seduta al tavolino d'un bar: prima infilò la sigaretta a bordo-becco, e con la zampina rachitica frizionò l'accendino per accendersela.
Prese una boccata di fumo infinita, e la silurò fuori dalle narici, facendo tornare nebbia il ricordo di Papà Pappagallo, ora indeciso se tale memoria fosse un'invenzione o la realtà.
Sta di fatto che ricordava i motivi per cui aveva acceso la sua prima paglia o cicca o dir si voglia: la rockstar Bob Pappagallo e lo scrittore Charles Pappagallo, due grandi saggi che fumavano tantissimo; loro due furono fonte d'ispirazione per tutti i suoi sogni giovanili, e quando crescendo scoprì di non essere né musicista né scrittore finì tutto, lasciando dentro di lui un gran vuoto e il vizio della ciminiera.
E si rese conto che la sua bellissima automobile l'aveva comprata per omaggiare l'attore Bruce Pappagallo nella sua migliore interpretazione di sempre in -La Gabbia-; si accorse anche che indossava fieramente giacca e cravatta perché lo faceva tanto sentire nel film -Pappagalli in Black-.
Le zampe dell'impanicato Papà Pappagallo tamburellavano il cemento, egli vagava di qua e di là, accorgendosi di aver smarrito la sua identità in quel mondo pieno di sogni comprabili, a volte in sconto.
Da quella notte smise di fumare, di andare al lavoro, di guardare la tv, di tirare fuori il pappafallo, e di conseguenza Mamma Pappagallo lo cacciò di casa, lasciandolo per strada, a pagare un ostello, a comprare litri d'alcol.
Tutto per trovare l'io autentico seppellito chissà dove dentro di lui.
Guardando tutte quelle bottiglie realizzò di aver bevuto la prima volta perché pure suo padre mostrava con fierezza il gomito dell'alcolista.
Dato che non voleva più imitare nessuno, smise di attaccarsi alla bottiglia.
E col tempo Papà Pappagallo disimparò pure a parlare, giusto per farvi capire quanto il nostro eroe cadde in depressione o profonda ascesi che dir si voglia.
Non aveva più un'opinione e così stava muto, seduto e intimidito, tutto spennacchiato, sotto un portico brulicante di Pappagalli.
La strada era il suo salone, ogni angolino il suo bagno, e l'orda di Pappagalli gli camminava accanto senza mai dargli troppa importanza. 
Parlavano fra di loro, parlavano al telefono.
Parlavano di chissà cosa.
Tutti zampettavano e parlavano di questo e di quello, e Papà Pappagallo non faceva in tempo a capire l'argomento di un discorso che subito ne arrivava un altro e un'altro ancora, e capirete che sotto questo bombardamento di parole non c'era mai modo di intervenire.
Un giorno, un buon Pappagallo lasciò a Papà Pappagallo una gabbietta, dentro cui c'era una piccola donna dai capelli biondi lunghi fino alle caviglie.
Il nostro ormai ex impiegato del mese da un anno tirò fuori la piccola donna e la fece aggrappare tra collo e ala.
Lei fece un verso strano, una cantilena, che risvegliò in Papà Pappagallo la voglia dell'avventura.
In fondo, se doveva perdere del gran tempo, perché stare fermo in un posto?
Dunque si alzò, beccò qualche pulce attaccata alle ali, si mise a posto il piumaggio e spiccò il volo verso la guerra, solo per cercare l'autenticità in sé stesso e nel mondo, senza ricordarsi che Pappagallo era, e Pappagallo sarebbe comunque rimasto.

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