Stanza anecoica

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Il dolore alla testa era lancinante. Era disteso sul fianco destro, e quando cercò di mettersi seduto gli sembrò che il cranio dovesse esplodergli da un momento all'altro. Provò ad aprire gli occhi, massaggiandosi la nuca con la mano destra. La luce delle lampade a neon gli ferì la vista, dandogli la sensazione che aghi penetrassero le pupille. Non fu sorpreso, almeno inizialmente. Le ultime immagini che ricordava riguardavano un bar, qualche bottiglia di whisky e delle canzoni oscene recitate insieme ad alcuni amici. Gli era già capitato di svegliarsi in posti sconosciuti, dopo una sbornia. Aprì e chiuse le palpebre più volte, fino a quando gli occhi si abituarono alla luce. Ancora prima di riuscire a vedere, però, aveva la sensazione che qualcosa fosse sbagliato.

Mise a fuoco la stanza in cui si trovava. Non aveva mai visto nulla del genere in vita sua. Dalle pareti e dal soffitto della stanza sporgevano forme a prisma piramidale, disposte su varie file e che si alternavano orizzontalmente e verticalmente. L'illuminazione proveniva da tubi di neon posti lungo gli spigoli del soffitto. Oltre all'aspetto inusuale, c'era qualcosa che ancora non riusciva a capire, qualcosa che mancava e lasciava in lui un vuoto mai provato prima. Provò a concentrarsi: era tutto intero, stava bene fatta eccezione per un mal di gola atroce, che gli impediva sia di parlare che di tossire. Poi capì. Il problema erano i suoni.

Non udiva alcun tipo di suono, nemmeno il più lieve. Le lampade non emettevano il minimo ronzio tipico del loro genere, persino i suoi passi non producevano rumore. Prese in considerazione l'idea di essere diventato sordo, ma subito la scartò perché le sue orecchie fischiavano, come succede quando ci si trova in quasi totale assenza di suoni. Si aggirò per la stanza, non più grande della cucina di un piccolo appartamento. Perlustrò ogni anfratto, ogni angolo, ma non trovò traccia di una porta o di una qualsiasi altra via d'uscita. Si sedette nuovamente in terra, spalle al muro. Secondo il suo orologio interno dovevano essere passati almeno venti minuti. Chiuse gli occhi, iniziava a non sentirsi bene.

In principio sentì una leggera emicrania. Nei minuti successivi questa andò sempre più rinforzandosi, e quando pensò di non riuscire più a sopportarla accadde qualcosa. Un suono. Non sapeva dire cosa lo avesse provocato, ma lo sentì distintamente. Si guardò intorno. Non c'era nulla. Un altro rumore, questa volta più forte. Non riusciva a determinarne la provenienza, e questo non gli piaceva. Una voce, come un sussurro di un bambino. Delle risate che andavano aumentando di volume, ma sempre senza superare un certo livello, per poi scomparire progressivamente. Colse un movimento con la coda dell'occhio. Guardò in quella direzione, ma non notò nulla. Strano, pensò, piccolo com'è questo posto se qualcosa mi passasse davanti me ne accorgerei. I suoi occhi guizzavano da una parte all'altra della stanza saltando come cavallette impazzite, alla ricerca della sorgente dei suoni. Ancora un movimento alla sua destra. Scattò in piedi come un pupazzo a molla, con le braccia davanti a sé per pararsi da un eventuale attacco. Nell'angolo opposto a dove si trovava lui, c'era qualcosa. Una sagoma scura. Si avvicinò con cautela, attento a non fare movimenti bruschi, la fronte madida di sudore. Il suo sguardo era pronto a cogliere ogni minimo movimento. La sagoma si voltò di scatto e saltò verso di lui, che per la sorpresa e l'orrore cadde all'indietro e si rannicchiò nell'angolo, le mani a coprirsi il volto, a ricordare l'espressione di un bambino terrorizzato. Quando smise di tremare, alzò lo sguardo per cercare cosa lo avesse attaccato, ma non ne trovò traccia. Al centro della stanza era però apparso un tavolino di vetro scuro. Si alzò lentamente, temendo un altro attacco da parte di quella... cosa, della quale ricordava unicamente (e vagamente) il volto grigio contratto in un'espressione di rabbia. Sul tavolino c'era un vecchio orologio a cipolla, simile a quello che suo nonno gli mostrava con orgoglio quando era piccolo. Era di ottone e aveva un peso considerevole, per le sue dimensioni. Gli diede la carica, e aspettò che la lancetta dei secondi iniziasse a camminare, intraprendendo il suo viaggio all'interno del quadrante. Dopo tutto quel silenzio, il tic toc della lancetta gli parve rassicurante, ma con il passare dei secondi iniziò ad assordarlo.

Si portò le mani alle orecchie per non sentire il rimbombo della lancetta, e fece cadere l'orologio a terra, mentre lui scivolava nuovamente seduto, per poi distendersi in preda ai tremiti. Premette le orecchie così forte da farle fischiare, e quando riaprì gli occhi serrati e allentò la presa delle mani si accorse che il ticchettio infernale era finito. Ora però il suo cuore rimbombava nel petto, talmente forte che pensò fosse sul punto di uscirgli dal petto. Il sangue gli pulsava al cervello, non riusciva più a ragionare lucidamente, poi anche il cuore si calmò. E tornò il silenzio. Quell'assordante silenzio, quasi palpabile, e che quasi emetteva un suono proprio. Sì rimise seduto e appoggiò le braccia sulle ginocchia, ansimando velocemente e fermandosi ogni tanto per deglutire. I capelli gli si erano appiccicati alla fronte, le guance divampavano e gli occhi erano lucidi e gonfi di lacrime.

Si mise le mani nei capelli e si colpì la testa con esse come per aiutarsi a fare ordine fra i pensieri. Un nuovo rumore, qualcosa di indefinito e indefinibile. Delle voci, delle urla, dei rantolii sommessi. Si guardò nuovamente intorno, cercando di identificare qualsiasi cosa, provando a controllare tutto contemporaneamente. Altre risate. Poi accadde qualcosa che lo paralizzò. La sua ombra, proiettata a terra dalle lampade sul soffitto, si sollevò. Lui trattenne il respiro, la mano ancora nei capelli e la bocca aperta in una smorfia di stupore e incredulità. L'ombra si levò su di lui, prima grigia poi, addensandosi e prendendo consistenza, sempre più nera. Nera come la notte. Nera come il silenzio. L'ombra esibì un sorriso di innaturale grandezza e intensità. Allargò le braccia e si avventò su di lui. Finalmente riuscì ad urlare, e fu così straziante che i suoi timpani, ormai adattatisi al silenzio, sanguinarono. Poi, il nulla.

Progetto: Silenzio Assoluto

Esperimento numero: 54

Soggetto: maschio caucasico

Camera utilizzata: anecoica standard

Esito: negativo. Il soggetto ha perso l'uso delle capacità cognitive

Tempo di resistenza: 44 minuti e 15 secondi

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