Capitolo 31.

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"Loving can hurt, loving can hurt sometimes."
-Photograph, Ed Sheeran.

La paura che Harry sparisse da un momento all'altro ormai credevo non se ne sarebbe più andata.
Vivevo nel costante terrore che prima o poi Harry sarebbe svanito, si sarebbe stancato, sarebbe scappato, ancora.
Ed io sarei rimasta sola, sommersa dai miei pianti, dalle mie paure, dal terrore e dai pezzi del mio cuore, ancora.
Non importava quante volte lui mi dicesse ti amo, non importa quanti baci, quante carezze, quante certezze, infondo ero terrorizzata dall'idea che questa quiete, questo accogliente senso di casa, sarebbe svanito insieme a lui.
Non lo dimostravo; la mattina mi svegliavo e non andavo più nel panico, come i primi giorni, se lui non si trovava al mio fianco; non mi svegliavo più urlando in piena notte a causa dello stesso incubo di sempre; non tremavo più se io ed Harry stavamo lontani per un po'.
Ma ci pensavo fino a farmi scoppiare la testa. Avevo un pensiero fisso rivolto verso di lui, cosa facesse, con chi fosse, quando sarebbe arrivato, se sarebbe tornato.
Era diventato una sorta di ossessione malsana, destata dalla paura di perderlo. Ed io stavo diventando pazza, senza neanche rendermene conto.
Avevo finalmente detto a mio padre di me ed Harry e non posso di certo confermare una sua reazione positiva. Aveva dato i numeri, urlato, bestemmiato, ordinatomi di lasciarlo e stare alla larga da lui una volta per tutte.
Ma mio padre era fatto così: severo, ti urlava, ti ordinava l'impossibile, perché per me lasciare Harry era assolutamente, e sottolineo quest'ultima parola, impossibile, ma poi si calmava, pensava razionalmente e chiedeva scusa, o quanto meno cercava un approccio più civile.
Non era rimasto comunque molto tranquillo della mia scelta, ma aveva placato un po' le sue preoccupazioni nel momento in cui mi aveva guardata negli occhi ed aveva visto che ad ogni modo non riuscivo più a vivere senza di Harry.
Ma loro non si sono parlati, si sono limitati ad un saluto, ma mai nessuna parola.
Un po' questa situazione mi preoccupava, perché ero consapevole che quando mio padre taceva in questa maniera, avrebbe sganciato una bomba distruttiva nel momento in cui avrebbe aperto bocca; che fosse stato con me, o con Harry, avrebbe distrutto.
Io ed Harry invece negli ultimi giorni avevamo discusso più spesso del solito; la quiete del suo compleanno sembrava essersi sbiadita.
Ed ogni nostra discussione era sempre partita dai miei costanti bisogni di sapere che lui sarebbe sempre stato al mio fianco. Ero consapevole di risultare più pesante del dovuto, ma non lo controllavo, impazzivo e basta.
E per questa ragione, finivamo per alzare la voce, non ci guardavamo, ma restavamo seduti l'uno difronte all'altro fino al momento in cui uno dei due non si stancava di quell'assurda situazione e tentava di riconciliare quel rapporto a cui entrambi ci ostinavamo a restare attaccati con le unghie e con i denti.
A volte ero io, a volte era lui, ma bastava uno scusa, o un odio litigare con te, per abbracciarci e fare la pace.
Ma non dura mai per sempre, le cose belle prima o poi finiscono.
E questa nostra storia, fatta di abbracci, carezze, baci, ti amo, non sarebbe durata, non dopo quell'inferno. Lo sapevo, infondo, lo sapevo. Forse era per questo tutta quella paura.
Guardavo Harry ed il nostro futuro era così sfocato, per quanto io lo desiderassi, non riuscivo a mettere a fuoco la nostra immagine. Non vedevo nessun nostro appartamento, nessun matrimonio, nessun figlio, né bacio o carezza. Vedevo soltanto le sfumature di un sorriso che si spegneva e le pieghe di un volto che si rivolgevano verso il basso; un volto sbiadito, in mezzo al sapore delle bugie, della paura e della tristezza. Una vita in frantumi.
Ma può mai essere così cupo il nostro domani? Ti prego, fa in modo che io veda la luce e non più il buio.
Ad ogni modo, quella mattina Harry era passato a prendermi dall'università per portarmi fuori a pranzo. Gli avevo chiesto gentilmente di passare prima da casa mia per cambiarmi e lui aveva risposto con un cenno del capo. Ma era silenzioso, molto silenzioso, e sul suo volto era dipinta un'espressione cupa e turbata.
"Va tutto bene, Harry?" Domandai.
Guidava lentamente, con un braccio appoggiato allo sportello ed una mano sul volante. Guardava dritto verso la strada, senza nemmeno degnarmi di un minimo sguardo.
"Harry." Insistetti.
Lo punzecchiai con l'indice sul braccio, sorridendo. Sapevo lo infastidisse, ma che infondo lo divertisse anche; cercavo soltanto di alleggerire la situazione.
Harry allontanò la mia mano dal suo braccio.
"Juliet, per favore." Rispose, severo.
Aggrottai la fronte, borbottando uno scusa ed appoggiandomi al sedile.
Continuai a guardarlo guidare, lui continuò invece a guardare dritto.
Sbuffai rumorosamente.
"Amore." Cambiai approccio.
Mi avvicinai a lui, baciandolo sul collo.
Vidi Harry trattenere il respiro, tendersi, chiudere per un istante gli occhi. Sorrisi consapevole di star ottenendo l'effetto che desideravo.
Ma le mie buone aspettative furono distrutte nel momento in cui provai ad allungare il volto per lasciargli un bacio sulla guancia ed Harry si allontanò, dicendo "Juliet, lasciami guidare."
"Me lo dici che hai?" Sbottai.
Per pochi istanti le immagini di quella notte che ci aveva distrutti e resi così distanti, mi lampeggiarono nella mente.
Sembrava tanto quella sera: lui con i suoi tormenti e le sue preoccupazioni, la sua bocca cucita.
Come a ricordarmi che il bello prima o poi finisce, che siamo umani, che commetteremo, nonostante tutto, sempre gli stessi errori.
Ma Harry questa volta si girò a guardami per un attimo e con voce pacata, mi rivelò in parte il suo tormento.
"Ho parlato con tuo padre."
Il cuore mi batté fortissimo ed un vuoto mi si fece spazio nello stomaco.
Allora capii che le mie preoccupazioni su mio padre e su quello che avrebbe potuto dire non erano infondate.
Annuii, aspettando che continuasse.
Eppure Harry tacque, fin quando non parcheggiò l'auto difronte il vialetto di casa mia.
Lui non parlava, io non avevo il coraggio di chiedere, di insistere. A guardarlo capivo che mio padre aveva attivato la bomba che avrebbe senza dubbio annientato quel poco che a me ed Harry era rimasto.
Restammo in silenzio, seduti in auto, l'uno accanto all'altro, ma così lontani. Harry con le mani ancora appoggiate al volante, fissava dritto difronte a se; io mi torturavo le mani e l'anello di Harry che da tempo avevo rimesso.
In silenzio, notavo come tante cose nella nostra storia, nonostante fossimo tornati insieme, fossero cambiate.
Certe volte non eravamo più spontanei, quelli di una volta; tante volte curavamo certi silenzi, per paura, perché dire la cosa sbagliata avrebbe potuto determinare la fine di ogni cosa.
Non so quanto tempo passò prima che Harry aprisse ancora la bocca, il tempo sembrava essere rallentato di botto.
"Cos'è successo un anno fa? Prima che tu conoscessi Lucas." La sua voce così bassa.
Trattenni il fiato; inevitabilmente avevo capito cosa mio padre gli avesse rivelato. Il mio segreto, qualcosa che Harry non avrei voluto sapesse, perché ero consapevole di una sua simile reazione e tutto ciò era esattamente quello che avrei voluto evitare. D'altronde, era ormai passato un anno e nonostante fosse qualcosa di piuttosto pesante, era un periodo che avrei voluto soltanto dimenticare.
"Dimmelo." Ordinò, a voce bassa.
Io voltai il capo, rivolgendo lo sguardo fuori dal finestrino.
Harry afferrò il mio polso, tirandomi.
"Juliet, devi dirmelo tu perché io non riesco a crederci."
Tremai.
Strinse il mio polso, scuotendomi piano; richiamò il mio nome, con voce più alta.
Ma io scappai: strattonai il polso dalla sua presa, correndo fuori dall'auto, mi affrettai ad entrare in casa. Come se scappare mi avrebbe permesso di non affrontare quel discorso.
Non ero capace, non ci riuscivo, non riuscivo ad affrontare un discorso simile. Questa era un'altra prova evidente di quanto il nostro rapporto fosse frammentato, il fatto che con lui non riuscissi più ad affrontare discorsi delicati, taciuti.
Non ebbi il tempo di chiudere la porta di casa mia, che Harry la spinse, entrando e sbattendola alle sue spalle.
"Juliet!" Urlò.
Mi portai le mani sul volto mentre ogni istante di cui quel segreto era formato tamponava la mia mente.
Volevo soltanto dimenticare e mai più ricordare.
Ero consapevole di aver fatto una stupidaggine, di aver lasciato la mia vita nelle mani della morte come nulla fosse; ma allora sembrava essere l'unica soluzione a tutto quel dolore, l'unica soluzione alla sua assenza.
Harry avanzò verso di me, spostando le mie mani dal volto; richiamò ancora il mio nome, con voce bassa.
"Non era necessario che tu lo sapessi." Mormorai.
Harry lasciò i miei polsi, aggrottando la fronte e facendo un passo indietro, come se con quelle parole l'avessi ferito, o offeso.
Lo guardai, con le mani che tremavano ed il cuore che piangeva.
"Non era necessario? Sono il tuo ragazzo è quella sarebbe dovuta essere la prima cosa da dirmi!" Sbraitò.
Ma lui non capiva quanto anche solo ricordare mi facesse male.
"Forse non comprendi l'importanza di quello che hai fatto! Avrei potuto non vederti più!"
Strinsi i pugni lungo i fianchi, tirai avanti verso di lui, arrabbiata più che mai.
"L'ho fatto, okay? Ho tentato il suicidio, perché tu non c'eri e forse sei tu a non comprendere ancora quello che cazzo ho passato!" Urlai, fino a sentire la gola graffiare.
Le urla riecheggiavano per le mura di quella casa, più forti che mai. In mezzo al silenzio, che dopo le mie parole si era formato, quelle urla facevano eco.
Il volto di Harry era un misto di tristezza e rabbia.
Ero consapevole del fatto che avrebbe voluto saperlo, perché sapevo si sentisse ancora in colpa per tutto quello che mi era capitato e che avrebbe fatto di tutto per recuperare il tempo perduto e ricucire tante di quelle mie ferite ancora aperte. Ma uno dei motivi fondamentali per cui non avrei mai voluto dirglielo era appunto per evitare di aumentare i suoi sensi di colpa; esattamente ciò che con quelle ultime parole non feci.
Arrabbiarmi e rinfacciargli il mio dolore era quello che volevo evitare; ma accecata dalla rabbia, mi sembrò inevitabile.
Harry strinse a sua volta i pugni lungo i fianchi, testardo e pronto a ribattere.
"Dovevi dirmelo." Ringhiò, "ma tu ovviamente vuoi avere sempre ragione e quindi mi sbatti in faccia i miei errori per nascondere i tuoi!" La voce alta e graffiata.
"Io non voglio avere sempre ragione!" Risposi, gesticolando con le mani.
"Sì, invece! Te l'ho sempre detto che sei una bambina!"
Strinsi i denti ed i pugni; ero furiosa, così come lui. Due mine in procinto di scoppiare; mio padre aveva attivato una bomba che indubbiamente ci avrebbe distrutti, ormai era evidente che comunque questo scontro sarebbe finito, entrambi ci avremmo versato sopra rabbia, sangue e lacrime.
"E allora perché sei ancora qui, ah? Perché sei ancora qui a combattere contro questa bambina capricciosa?" Lo sfidai.
Harry mi fulminò con lo sguardo. Sapevo benissimo perché lui fosse ancora qui.
"Lo sai perché." Borbottò.
Mi amava, ne ero più che certa, e certe volte, durante i nostri litigi, nonostante io gli dicessi l'impensabile, restava perché comunque senza di me non avrebbe saputo sopravvivere; lo stesso valeva per me.
Restammo per pochi minuti in silenzio, entrambi ancora fiammanti di rabbia.
Ed il suo sfuggire dal mio sguardo, mischiato a quel silenzio snervante, mi portarono a sbottare ancora.
"Non ne sono più sicura. Potresti andartene da un momento all'altro." Diedi voce alle mie paure.
Harry sgranò gli occhi, l'incredulità così evidente sul suo volto.
"Lo sai che ti dico?" Tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans le chiavi della sua auto, stringendole tra le dita, "me ne vado davvero. Quando hai smaltito tutta questa rabbia da bambina ed avrai smesso di rinfacciarmi i miei errori, dato che adesso l'errore l'hai commesso soltanto tu," mi puntò il dito contro con aria minacciosa, "ne riparleremo."
Girò le spalle ed aprì la porta di casa mia.
Io mi affrettai verso di lui, tirandogli la camicia, uno dei bottoni saltò via cadendo a terra chissà dove; Harry non si curò di questo, scrollandosi le mie mani di dosso. Non nascondo che una sfumatura di panico prese possesso dei miei pensieri.
"Spostati." Ringhiò.
"Va bene, vattene!" Urlai, mentre usciva da casa mia, "vattene perché tanto sai fare soltanto questo!"
Qualche passante lì vicino si girò nella nostra direzione, io fulminai con lo sguardo chiunque si fosse voltato.
Harry salì sulla sua auto, sfrecciando via e lasciandomi arrabbiata, inerme e con i nervi brucianti fino al collo, prima che realizzassi cosa fosse davvero accaduto e cadessi in ginocchio, non riuscendo nemmeno a respirare.
Harry aveva appena preso una delle mie più grandi paure, rendendola esattamente pura realtà.

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