Capitolo 35.

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"I could look into your eyes until the sun comes up
and we're wrapped in light, in life, in love.
Put your open lips on mine and slowly let them shut
for they're designed to be together, oh.
With your body next to mine our hearts will beat as one
and we're set alight,
we're afire love."
-Afire love, Ed Sheeran.

Il tempo cura le ferite, dicono.
Ma, a parer mio, il tempo non le cura, ti aiuta soltanto a non farle pesare.
Ci sono cose che purtroppo non se ne andranno mai, istanti che non si cancelleranno mai, cicatrici che rimarranno per sempre impresse sulla tua pelle, o sul tuo cuore. Puoi soltanto conviverci, puoi viverci sopra e fare finta che non siano mai esistite; andare avanti, perché solo in questo modo smetteranno di fare male. Ma se stai lì fermo, a pensarci continuamente, anche se in realtà non fanno male, le sentirai comunque bruciare.
Come quando ci si spezza un osso, o ci cuciono sulla pelle; dopo un po' l'osso smette di far male, i punti smettono di bruciare, ma se le guardi tanto, se le tocchi troppo, le sentirai pizzicare.
Non potrai mai sollevare un peso se ti sei spezzato un braccio, farà comunque male; non potrai mai correre come un tempo, se ti sei spezzato una gamba.
Purtroppo va così, certe volte, certe cose, ti impongono certi limiti.
È qui che il tempo ti aiuta.
Perché col tempo ti abituerai a sollevare un peso alla volta, a correre più lentamente; imparerai a seguire il tuo ritmo e non sentirai più dolore.
È qui che il tempo ti aiuta a capire che se non accetti quello che ti è accaduto, non vivrai mai in maniera serena.
È il tempo che ti aiuta a capire che non bisogna per forza pensare troppo a ciò che in passato ti è successo, non è necessario affibbiare colpe a chi infondo non le merita, non è necessario continuare ad avere paura. Perché ogni cosa che è accaduta, è accaduta in passato ed ormai questo passato è terminato.
C'è tanto di quel presente e tanto di quel futuro a cui pensare, che non dovremmo neanche avere la possibilità di sfiorare il passato.
Il tempo ti aiuta a percepire cosa conta veramente, cosa ha smesso di importare tanti anni fa e cosa dovrà essere importante per te stesso negli anni a venire. Che sia una persona, il lavoro, la famiglia. C'è ben altro a cui pensare, che a degli errori commessi, a delle paure soffocanti.
Siamo fatti di carne e di ossa, ma non soltanto; siamo un miscuglio di ricordi da conservare, paure da dimenticare, cicatrici da condividere, sorrisi da dare, amori d'apprezzare.
Mi c'erano voluti sette giorni, mi ci era voluto questo tempo per capirlo. Per capire che il passato era tutto quello che a me, che ad Harry, che ad entrambi, era successo, ma che adesso era finito; che il presente ero io, e che il futuro eravamo noi, il mio futuro era lui e tutto quello che insieme saremo stati.
Il tempo a me era servito per smettere di dare importanza alle mie cicatrici, ma imparare a trattarle senza dare loro troppo peso. La mia vita non doveva essere soltanto un ammasso di disastri, dovevo imparare ad apprezzare quello che avevo, ed in quei giorni a Londra avevo capito di avere tutto e di non essermene resa effettivamente conto.
Avevo l'amore della mia vita, ovvero Harry, il mio piccolo piano di studi, la famiglia, ovvero mio padre, avevo persino un cane d'accudire, d'amare.
Non avrei potuto volere di meglio.
Soltanto che in quei due anni, in tutti quei giorni avevo chiuso le porte al tempo, avevo sigillato ogni singolo istante felice, ed ero rimasta ferma a marcire in mezzo alle macerie di un errore. Non mi ero concessa di vivere.
E se potessi tornare indietro, smetterei di dare tutta la colpa ad Harry di tutti i miei fallimenti ed ammetterei che io per prima sono stata capace di mandare tutto a rotoli: l'università, gli abbandoni, la mia stessa vita l'avevo data alle mani della morte senza pensarci troppo.
Ma adesso ero cosciente, cosciente delle mie scelte e di quello che in quel mio presente e più avanti in quel mio futuro, volevo ed avrei voluto: Harry.

Erano finalmente passati sette giorni e mancavano solo poche ore prima che i miei occhi potessero finalmente rivedere e perdersi in quelli di Harry.
Nel resto di quei giorni avevamo smesso di chiamarci assiduamente, solo qualche messaggio di volta in volta. Avevamo deciso entrambi che questo distacco era necessario per pensare e per capire, non per ripeterci costantemente quanto entrambi ci mancavamo.
Sapevo, riuscivo a capirlo anche da quelle poche parole nei messaggi che io ed Harry ci scambiavamo, che tra i due, quello a risentirne di più per quella lontananza, era lui. Ma in uno di quei messaggi, anche lui aveva accennato ad aver capito un paio di cose.
Non nego che la cosa un po' mi preoccupava, perché avrebbe potuto aver capito di non amarmi più come un tempo, al contrario di quello che avevo realizzato io; ma se così fosse stato mi ero promessa che l'avrei accettato e che allora non sarebbe stato destino. Io, infondo, l'avrei sempre amato.
L'attesa era però finita e fra non meno di tre ore io ed Harry ci saremo rivisti.
Ero emozionata, agitata, timorosa, un po' confortata da quel breve ci vediamo presto, scritto da Harry per sms.
Inoltre era il giorno del matrimonio di Louis e Margaret ed ero anche così felice per loro, impaziente di sentir loro pronunciare quel sì, lo voglio, con le lacrime agli occhi.
Amavo i matrimoni e sognavo di poter vivere il mio, un giorno, con Harry al mio fianco.
Per l'occasione avevo comprato un vestito lungo fin sopra il ginocchio, color pesca; non era nulla di particolare, ma a me le cose troppo estrose non erano mai piaciute; ero innamorata della semplicità, così come lo era quel vestito: stretto sul seno, con un scollo a V, e poi lento e delicato sulle gambe.
I miei capelli legati, con qualche ciocca a scivolare sul mio viso, lasciavano scoperta la mia schiena.
Aspettavo ansiosamente il momento in cui avrei finalmente rivisto Harry, questa volta però vestito con tanto di giacca e cravatta. Trovavo gli uomini eleganti molto affascinanti, a maggior ragione quando si trattava di Harry. Anche se lui, in realtà, aveva sempre avuto uno stile piuttosto elegante, indossava spesso camice, giacche e capotti lunghi. Certo, non era il tipo da cravatta ogni santo giorno, ma appariva sempre perfetto; anche se sarebbe apparito comunque perfetto senza abiti eleganti o troppo costosi, anche con robaccia da niente.
Era bello da morire, era bello da vivere.
Lui mi diceva lo stesso, ma io non mi sarei mai sentita bella tanto quanto ritenevo bello lui.
Non sapevo esattamente cosa aspettarmi dal nostro prossimo incontro, ma non stavo ugualmente nella pelle.
Ero pronta a dirgli quanto lo amavo, senza nessun ripensamento, paura, tremore, quella volta più che mai.

Macchiati di nero [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora