Capitolo 28: Un messaggio ancora

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Lasciai che i giorni scorressero addosso come un fiume in piena, non opposi resistenza al contare delle ore ne chiesi al tempo di fermarsi. Sarebbe stati sciocco smettere di vivere -pensavo tra me e me- ma sarebbe stato ancora più sciocco credere che smettere di vivere mi avrebbe aiutata. Alcuni scrittori credevano che la forza risiedesse dentro la voglia di riscattarsi, come se il dolore potesse tramutarsi in energia da impiegare in mille e più ambiti. Ma il dolore era forse l'ultimo dei miei pensieri, non sentivo rabbia o tristezza, l'unica cosa che riuscivo ad avvertire era un vuoto perenne difficile da colmare. I giorni poi, lasciarono spazio alle settimane che come un ciclo vitale si succedettero fino agli esami della sessione invernale. Furono giorni in cui avvertire anche solo un vuoto divenne utopia, spensi i miei sentimenti e mi riaccesi sui libri, studiai per non pensare e riuscii a scacciare quei demoni che mi tarlavano il cervello e il cuore. Lo studio divenne una medicina, una cura all'annullamento della propria persona, come una prescrizione medica, soltanto che anziché due pillole al giorno divoravo libri su libri sulla psiche umana. Buffo -pensavo- studio i comportamenti del cervello umano ma non riesco minimamente a comprendere il mio. Contraddizione? Forse la regola del "su gli altri è più facile" vigeva anche per me. Mi credevo diversa ma non lo ero poi così tanto, forse nel credermi non omogenea alla società mi ero del tutto indebolita, la mia vulnerabilità era forse maggiore di quella degli altri. Aver permesso il mio annientamento mi avrebbe fatto risorgere dalle mie stesse ceneri, come una fenice, quel maestoso volatile che non muore mai ma lascia che il dolore lo fortifichi sempre di più. Gli unici momenti di sollievo erano quelli che passavo con Daniel, parlavamo di film, di musica e di quanto fossero pesanti questi esami. Lui era più avanti di me negli studi e gli sarebbe mancato veramente poco per concluderli, io invece mi sentivo perennemente ferma sulla stessa casella del tabellone; inutile tirare i dadi, il "ritenta sarai più fortunata" non mi avrebbe mai abbandonato. Erano poche ore al giorno che però, oltre allo studio, riuscivano a non farmi pensare. La piega peggiore, l'incrinatura spontanea oserei dire, fu quella con Nina. Dopo quella sera in auto tra di noi cadde un velo di silenzio così fitto che entrambe ci perdemmo; perse in quel labirinto fatto di domande non esposte e di risposte tardie. I nostri discorsi iniziarono a ridursi, a farsi trasparenti per poi divenire fumo. Un fumo che occupò i nostri spazi, pervase i nostri polmoni e ci impedì di respirare e proferire parola; lo stesso fumo che invase ogni ambiente rendendoci poco visibili, se non direttamente estranee. Cosa era successo tra noi? Cosa era andato storto? Restava il fatto che oramai il clima era alquanto teso e il silenzio che spatroneggiava altezzoso il suo potere su di noi, regnava sovrano. Daniel mi aveva suggerito più e più volte di parlarle, si capire cosa tra noi fosse andato storto se non addirittura perso, ma forse per vigliaccheria o per paura, decisi che era meglio lasciar correre, come se il tempo avesse potuto aggiustare tutto. Il giorno degli esami restammo fredde, impacciate l'un l'altra senza saperci scambiare quel calore umano che tanto ci aveva legato. La stessa sera restai chiusa in camera, oramai l'unica amica che avevo era la musica, l'unico sollievo che riusciva a far sì che almeno sopravvivessi perché vivere era qualcosa di troppo complicato e inarrivabile. Nina era uscita senza dire nulla, forse anche lei stava soffrendo come me e nella sofferenza non riusciva ad esprimersi. Il dubbio era pressante ma non così forte da scuotermi e farmi reagire. Il cellulare si illuminò, ma non speranza in nulla, mi presi a stento la briga di leggere. Era Molly.

"Questo silenzio non fa parte di te. Cosa succede? Ho provato a chiamarti ma risulta sempre staccato..." il suo messaggio era chiaro e lampante, aveva paura che mi fosse successo qualcosa.

"Scusami. Perdonami Molly. Ma chiederti perdono è sminuire il nostro rapporto. Per anni ti sei presa cura di me, conoscendo la mia fragilità e curandola gelosamente. Io non ho mai ricambiato tutto quello che tu hai fatto per me è nonostante io sappia di essere in debito con te, mi sto comportando come una ragazzina egocentrica ed egoista che pensa solo a se stessa. È vero che la sofferenza cambia la gente ed è anche vero che chi si lascia cambiare è solo perduto." La mia risposta era piena di rammarichi e rimpianti.

I segreti di un vizio #wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora