Capitolo 29: Coincidenze

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Febbraio era trascorso in gran fretta, veloce come il vento era passato, non aveva permesso a nessuno di essere vissuto, voleva solo lasciarsi dietro un ricordo un po' amaro, come la sensazione di vittoria ancora prima di un ennesimo fallimento. Pensai che alla fine aveva sfatato quel mito che tanto riteneva febbraio il mese degli innamorati. Ora che il dolore si stava spegnendo, lasciò il tempo alla mia pelle di divenire livido, che il taglio con su scritto Eric divenisse cicatrice. Avevo ripreso a vivere riconcentrando tutte le mie energie su quelli che erano i miei obiettivi; mi ero prefissata di avere cura di me stessa e la cosa non era poi così utopica come credevo. A mio stupore notai la pazienza di Daniel, la sua determinazione e la voglia di non arrendersi. Darsi per vinto non era di certo un termine che faceva parte del suo vocabolario. Uscivamo spesso assieme e qualche volta tra di noi scoccava un tenero bacio carico di dolcezza e passione. Nei momenti più critici porgeva orecchie e mente ai miei discorsi e pur sapendo che era Eric la causa di tutto non si pronunciava negativamente ne si arrabbiava; dolcemente mi ascoltava consigliandomi sempre quello che era meglio per me anche se lui non avesse tratti alcun vantaggio. Andavamo al cinema ogni giovedì e qualche sera cenavamo in un delizioso locale situato appena prima di casa mia; la cucina era ottima e Daniel si divertiva a prendermi in giro per la scelta dei miei dessert. Parlavamo a lungo, ci scambiavamo messaggi e stavamo lunghe ore al telefono. Non saprei bene definire cosa fossimo in quel momento; amici? Conoscenti? Fidanzati? Estranei? Fratelli? Cosa era veramente lui per me? Era una domanda che spesso mi circolava in mente, camminava in quel labirinto psicologico a passi pesanti, così forti da svegliarmi la notte. Era inevitabile fare un paragone tra lui ed Eric, vedevo cosa c'era e cosa mancava in quel rapporto malato e privo di passione. Era difficile non ammettere che quello era solo un rapporto carnale, per quanto mi sforzassi ero io stessa a non accettarlo. Ne avevo parlato sia con Nina che con Molly, entrambi pensavano la stessa cosa; era ancora troppo presto per capire che rotta dovesse prendere la mia vita, la scelta che avrei dovuto fare era troppo complessa e quello non era il momento adatto. Sapevo come la pensavano e quindi decisi di ascoltarle e darmi del tempo. Era difficile ma ci volevo riuscire, solo in quella maniera avrei potuto capire qualcosa di più, almeno così credevo. Perché tra il credere ed essere certi c'è una sostanziale differenza ed era difficile ammetterlo a sé stessi. Quella tiepida mattina di marzo stavo li, su di una poltrona davanti alla finestra. Questo vuluttuoso stormo di pensieri mi girovagava per tutta la mente e talvolta, anche nel cuore. Stesa su di una poltrona con in dosso una camicia e un pantaloncino, ammiravo il panorama dalla grande finestra del soggiorno. Le grige nuvole che a mio dire contraddistinguevano Seattle si erano diradate; il cielo era limpido e sereno, una cosa rara dopo una Nottataccia di pioggia insistente; il sole aveva poca forza, ancora dormiente cercava di radiale quanto più calore possibile. L'odore di terra bagnata entrava dalle finestre socchiuse e gli alberi iniziavano a colorarsi di verde qui e li. Mi sentivo a casa ora più che mai, la mia oasi adesso era anche li. Avevo da poco parlato al telefono con mamma, preoccupata come sempre di vedermi denutrita e ridotta come un senzatetto; era tenera la sua voce e le sue parole suonavano dolci e armoniose, le mancavo come lei mancava a me. Di lì a poco mi sarei dovuta preparare, avevo promesso a Daniel di fare un picnic al parco. Aveva insistito come un bambino davanti ad un negozio di giocattoli, l'idea mi allettava e non poco e decisi di accettare. I miei pensieri furono bruscamente interrotti da uno scampanellio continuo, qualcuno aveva fretta di entrare. Mi alzai e balzai alla porta. Quando l'aprii vidi Cody.

"Ciao Gin... Nina è in casa?" Mormorò ballonzolando in piedi dianzi a me; sembrò essere alquanto scosso e preoccupato.

"No... è fuori per qualche giorno con Jeff... in una SPA fuori città se non ho capito male." Alla mia risposta non proferì parola ma aveva lo sguardo di chi soffriva e aveva bisogno di parlare. "Vuoi entrare?" Aggiunsi scostandomi dalla porta; lui annuì e balzò dentro. Si sbracò sul divano del soggiorno e iniziò a blaterare parole senza un senso.

I segreti di un vizio #wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora