10. Le persone hanno bisogno di credere in qualcosa

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ELEANOR

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ELEANOR

Avrei potuto pensare a qualsiasi ipotetico scenario, quando l'ascensore si era bloccato e mi ero ritrovata a dover condividere quello spazio a mio avviso troppo stretto con Hunter Hawthorne. E ci avevo anche pensato, in effetti, e tutte le opzioni terminavano con ore intere passate a insultarci giusto per ammazzare il tempo. Una, addirittura, terminava con una zuffa. Che sarebbe stato molto più logico, a rifletterci bene, perché se qualcuno, a malapena un paio di ore prima, mi avesse detto che sarei finita a porre domande personali a Hunter a cui lui avrebbe risposto, probabilmente sarei scoppiata a ridere.

E forse non era stata una decisione saggia accettare una specie di tregua temporanea, ma la curiosità aveva avuto la meglio. Peccato che in quel momento temessi il risvolto della situazione, e la mia paura aveva radici in tutte quelle possibili domande che Hunter avrebbe potuto pormi.

Certo, avrei potuto comunque mentire, però non ero mai stata particolarmente brava a sfornare bugie, e il più delle volte mi si leggeva in faccia quando dicevo qualcosa che non corrispondeva al vero. Potevo tuttavia giocare sul fatto che Hunter non mi conoscesse e non si sarebbe accorto se avessi mentito o meno, ma lui era sembrato sincero mentre rispondeva alle mie domande, perciò mi sentivo quasi obbligata a essere sincera a mia volta.

«Cosa c'è che non va nel soprannome Ellie?» domandò.

Il mio timore trovò il suo campo di atterraggio. Avevo intuito fin da subito che era rimasto incuriosito dalla mia affermazione di poco prima, ma avevo sperato che se ne fosse dimenticato.

«Perché è brutto», risposi di slancio.

«Non quanto Fido», constatò. «Eppure tu preferiresti che io ti chiamassi Fido anziché Ellie.»

«Fido, Ellie... mi chiameresti così per associarmi a un cane. E non perché tu lo ritenga carino, ma solo per rimarcare quella stronzata del segugio di tuo padre.»

«Questo è vero, ma stai girando attorno alla risposta.»

Alzai gli occhi al cielo. L'avevo creduto stupido, ma dovetti ammettere che forse qualche neurone gli era davvero rimasto e funzionava alla perfezione.

Era vero: avrei preferito essere chiamata Fido anziché Ellie, e il motivo non era di certo che io ritenessi il primo più carino del secondo.

Hunter continuava a fissarmi, con quel velo di tracotanza di cui il suo sguardo era sempre provvisto, ma con una punta di vera curiosità mentre io riflettevo su cosa dirgli.

Alla fine, decisi che potevo essere sincera. Almeno in quell'occasione. «Perché una persona mi chiamava così, un tempo. E io lo odio.»

«Il nomignolo o la persona?»

«Entrambi.»

Rimase in silenzio a scrutarmi, e mi domandai a cosa stesse pensando. Non che mi interessasse realmente conoscere i suoi pensieri, ma lui, ahimè, rappresentava in quel momento l'unica cosa su cui potevo concentrarmi per evitare di pensare costantemente al fatto che ero bloccata dentro un ascensore.

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