9. Tregua, solo temporanea

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HUNTER

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HUNTER

Quante possibilità c'erano che un ascensore si bloccasse?
Generalmente poche.

Quante possibilità c'era che un ascensore si fermasse, con me ed Eleanor all'interno?
Quasi nessuna.

Eppure era accaduto.

E sebbene non sprizzassi gioia da tutti i pori all'idea di dover condividere uno spazio così stretto in compagnia dell'adorata segretaria di mio padre, che da circa un minuto gridava e dava colpi contro le porte dell'ascensore, dovetti arrendermi all'evidenza che non sarei uscito da lì a breve.

«Smetti di urlare, per l'amor del cielo. Ti ho già detto che sono andati tutti via, ci siamo solo noi, e a meno che tu non abbia un cellulare, non possiamo chiedere aiuto.»

Le mie parole sfumarono nel successivo grido di Eleanor, che aveva lasciato la risma di fogli a terra e non smetteva di colpire le porte. Forse con le mani doloranti, passò direttamente ai calci.

«Aiuto! Qualcuno mi aiuti!»

Mi massaggiai le tempie con gli indici. «Cristo Santo.»

Se non avesse smesso, mi avrebbe procurato un fastidioso mal di testa.

Si voltò verso di me come una furia. I capelli scuri erano raccolti sulla testa, non c'era più traccia di trucco sul suo viso, e tutto grazie alla mia idea di infilarla sotto la doccia. Ero felice di averlo fatto, almeno potevo guardarle il culo mentre sferrava calci alle porte. Io, invece, indossavo ancora la camicia macchiata del suo dannato caffè e l'unica cosa che desideravo era tornare a casa.

«Ma moriremo soffocati!» protestò.

«Non moriremo soffocati. Questi ascensori sono dotati di ventole per il ricircolo dell'aria.»

Inarcò un sopracciglio. «Hanno le ventole, ma non hanno un cazzo di tasto per mandare un S.O.S.?»

«A quanto pare...»

Con i pugni serrati, si voltò ancora verso le porte.

«Ti prego, non ricominciare a...»

La mia frase fu interrotta dal suo grido. Potevo sopportare di dover condividere con lei quello spazio stretto, ma non avrei retto altri minuti torturato dalla sua voce acuta e squillante.

Mi sporsi in avanti per afferrarle le spalle e me la tirai addosso. «Se non stai zitta, ti farò urlare per ben altri motivi», le dissi in un orecchio.

Trattenne il fiato e tutto il suo corpo si irrigidì. «Ma... moriremo», sussurrò. Era chiaro che fosse in preda al panico.

«Non moriremo», la rassicurai. Le passai delicatamente le mani sulle spalle. «Ora, prendi un bel respiro e cerca di rilassarti.»

«Non posso.»

«Sì che puoi. Non sei sola e questa non è una catastrofe. Presto saremo fuori.»

Respirava in modo erratico, con i pugni serrati lungo i fianchi.

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