6. Dannato Hawthorne

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ELEANOR

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ELEANOR

Dopo essermi liberata di Kim, che non aveva fatto altro che chiedermi se stessi bene nel giro dei venti minuti successivi, tutto ciò che feci fu rinchiudermi nel mio ufficio. Per mia fortuna, nessun altro dei colleghi, a parte i due che mi avevano recuperata, aveva saputo di quel piccolo intoppo, e non sapevano nemmeno ciò che aveva fatto Hunter. Non volevo diventare lo zimbello dell'azienda, e sebbene tutti sapessero quanto odiassi le altezze perché non ne avevo mai fatto un segreto, quell'episodio si era spinto un po' troppo oltre.

Fremevo dalla rabbia dal momento stesso in cui avevo recuperato tutte le mie facoltà mentali e motorie, e continuavo a camminare avanti e indietro per l'ufficio mentre pensavo a come farla pagare a Hunter.
Una vocina interiore mi ripeteva quanto tutto ciò fosse infantile, ma non mi importava. Volevo solo restituirgli il favore.

Lo squillo del cellulare aziendale – dato che stavo ancora aspettando che la sicurezza riportasse la mia scrivania e con essa computer e telefono fisso nel mio ufficio – irruppe nella bolla sorda in un cui mi ero rinchiusa e scavai all'interno della borsa che avevo lasciato sulla sedia per recuperarlo. Sullo schermo capeggiava un numero sconosciuto, quindi mi ricomposi e mi schiarii la voce prima di rispondere.

«Buongiorno. Sono Eleanor Rob...»

«Com'era l'aria lassù? Gradevole?»

Mi bloccai. Ogni mia terminazione nervosa si contrasse al sentire la sua voce e serrai la mandibola.

«Tu, razza di...»

«Attenta a come parli, Roberts. Non vorrei che il distributore dal quale prendi solitamente il caffè, venisse contaminato accidentalmente da un lassativo.» Lo stronzo pareva addirittura annoiato mentre parlava.

«Quindi, dicevamo... Ah, sì. Spero che il vento non ti abbia rovinato la messa in piega. O forse sì?»

Se il mio corpo avesse avuto la capacità di produrre del fumo, mi sarebbe sicuramente uscito dalle orecchie per il modo in cui stavo ribollendo dentro.

«Cosa vuoi, Hunter?»

«Un caffè», rispose. «Ma non quella schifezza del distributore. Un vero caffè. Dal bar qui sotto, che mi piace particolarmente. E una ciambella glassata.» Feci per mandarlo al diavolo, ma continuò a parlare. «Poi, per pranzo, poiché sono oberato di lavoro e non riuscirò a mangiare in ristorante, vorrei una bistecca ai ferri e dell'insalata verde. Non nello stesso contenitore, odio che il cibo si tocchi.»

Considerai l'idea di piombare nel suo ufficio e scaraventargli il cellulare dritto in faccia.

Tuttavia, come se non fosse già abbastanza, aggiunse: «E voglio che, d'ora in poi, a mio padre venga detto che sono sempre puntuale e, soprattutto, sempre presente. Perché se vedrò un'altra decurtazione dal mio stipendio a causa tua, credimi, l'aria che hai avuto il piacere di prendere lassù sarà un felice ricordo. Sono stato chiaro?»

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