Tre, 2003

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Alessia era intenta a fare i compiti sulla scrivania della sua cameretta, ma un rumore abbastanza regolare proveniente dalla finestra leggermente aperta la disturbava. Sbuffò e guardò verso la finestra: non riusciva più a concentrarsi.
Sembrava lo sbattere di un pallone sul muro, ma non sentiva il vociare che facevano solitamente gli altri bambini quando giocavano, e di solito lo facevano nel campetto del paese e non per strada.
Tentò ancora un paio di volte di finire i pochi esercizi di matematica che le mancavano, ma fu inutile. Pensò che li avrebbe finiti dopo cena, o almeno quando sarebbe cessato quel rumore.
La bambina mise le mani sulla sedia su cui era seduta e si aiutò ad appoggiare i piedi a terra e a scendere. Attraversò il tappeto rosa che ricopriva il pavimento del centro della stanza e prese uno sgabello, su cui poter salire in piedi e sporgersi dalla finestra, per scoprire la natura di quel rumore.
Effettivamente quel suono era provocato davvero da un pallone, ma a giocarci era un bambino solo. Doveva avere su per giù la sua età e aveva i capelli biondi. Non lo conosceva, ma il viso non gli era nuovo poiché tutti i bambini del paese giocavano insieme.
Continuò a guardarlo mentre lui alternava veloci passaggi contro il muro e diversi palleggi con entrambi i piedi. Li contava a voce alta fino a che il pallone non gli cadeva a terra e poi ricominciava, sempre alla ricerca di un nuovo record.
Lo sguardo del bambino si soffermò su Alessia che lo stava guardando dalla finestra, poi le sorrise e la salutò con la mano. Dopodichè, tornò a giocare a calcio.
La bambina uscì velocemente di casa e fece il giro dell'abitazione, per arrivare nel punto di via in cui stava giocando lui. Il muro era di un garage, probabilmente della sua famiglia.
Lei si avvicinò al bambino, il quale non si era ancora distratto una volta dalla sua serie di passaggi di prima contro il cemento.

- Ma perché giochi da solo? - domandò Alessia.

Lui si fece finire la palla fra le mani alzando la punta del piede sinistro e poi la guardò. - Perché devo allenarmi tutte le volte che posso. - rispose il bambino, per poi lasciar andare il pallone e stopparlo con il piede destro, facendogli toccare delicatamente terra.

- Ah... - ribattè solo Alessia, mentre l'altro tornava a calciare il pallone sul muro come fino a pochi secondi prima. - E perché? - chiese ancora.

- Perché voglio diventare il più bravo. - fece lui, senza distogliere gli occhi dall'asfalto.

- Posso diventare brava anche io? - domandò ingenuamente la bambina.

Lui la guardò un po' e poi annuì. - Ti insegno. - sorrise.

(Un)forgettable - Federico BernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora