Cinque, 2003

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Federico si avviava verso casa con il pallone sui piedi, dandogli qualche calcio spingendolo così qualche metro avanti, per poi recuperarlo e rifare ancora la stessa cosa. Stava ripensando al giorno prima, quando aveva giocato a calcio con la bambina per strada.
Non sapeva il suo nome, perché il loro approccio era stato diverso da una semplice presentazione con i nomi. Non si era mai premuto di chiederglielo, forse perché non gli era mai servito. Più di una volta l'aveva sentita chiamare per nome dal papà quando doveva tornare a casa, ma non vi aveva mai prestato troppa attenzione, anzi, proprio nessuna. Forse gliel'aveva detto una volta, o forse l'aveva sentita chiamare per nome anche da qualche amica del paese, ma non sapeva ricordarlo con certezza. Si ripromise di chiederglielo la volta successiva in cui si sarebbero visti.
Si era reso conto di questo nel momento in cui, quella mattina, la sua mamma gli aveva chiesto chi fosse quella bambina con cui ogni tanto giocava ultimamente e lui le aveva solo saputo dire dove abitava, ossia nella casa dietro al muretto contro cui andava a giocare, che aveva i capelli in un certo modo e che aveva un anno in meno di lui, ma nient'altro.
Ogni tanto gli capitava, però, di giocare da solo come prima di conoscerla. Non era propriamente triste, però non era quasi più abituato a calciare un pallone da solo. Non che lei fosse brava, ma insegnarle gli provocava una certa soddisfazione. Era bello vedere come lei ascoltasse affascinata le sue spiegazioni sul come tenere il piede come si palleggia, era divertente vederla stringere i pugni e saltare sul posto quando non le riusciva qualcosa. Lui le spiegava che non era facile imparare, ma lei si arrabbiava comunque.
La bambina lo vedeva come una figura che aveva tutte le risposte ai suoi dubbi e alle sue domande. A volte lei usciva di corsa di casa dopo averlo visto dalla finestra e gli chiedeva come si potesse riuscire a fare un determinato tiro o una determinata giocata che aveva visto su un canale sportivo guardato dal papà.
A parole sue, gli spiegava cosa aveva visto ma mlte volte erano giochetti talmente complicati che nemmeno Federico sapeva ancora fare. Lei rimaneva leggermente delusa, ma subito gli chiedeva di insegnarle qualcos'altro che lui sapesse fare e allora rimanevano a giocare fino all'ora in cui i genitori li richiamavano a casa per la cena.
Federico a volte si chiedeva come mai lei certi giorni non si facesse vedere davanti al muretto, e come mai altre volte, invece, era proprio lei ad aspettarlo nel luogo in cui giocavano ogni giorno.
Forse i compiti, forse aveva voglia di fare altri giochi, ma non osava mai chiederglielo per non essere invadente.

(Un)forgettable - Federico BernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora