6; Ognuno ha il destino che merita (forse)

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L'incidente l'aveva cambiato.
Me ne ero accorta sin dal primo momento.
Sin da quando, tre giorno dopo l'accaduto, aveva aperto gli occhi.

Era steso su un letto d'ospedale, ed era completamente spaesato. Era perso.
Inizialmente non aveva capito ma poi, quando mi aveva guardata, si era ricordato.
Si era ricordato tutto. Si era ricordato dell'incidente.
Ed avevo visto il modo in cui i suoi occhi m'avevano accusata.

Perché, in fondo, era colpa mia.
Ero stata io ad essermi distratta mentre ero alla guida. Avevo, solo per un attimo, tolto gli occhi dalla strada per accedere la radio e non avevo visto il camion che stava arrivando alla nostra destra.

Io me l'ero cavata con un braccio rotto e qualche taglio in faccia, a lui, invece, era andata molto peggio.
Appena si era risvegliato aveva cominciato ad urlare.

"Non mi sento le gambe! Perché non mi sento le gambe? Non le riesco a muovere!"

Il dottore aveva provato a parlargli, a spiegargli com'era andata, ma lui non sentiva ragioni.

"No! Non è possibile! Io devo camminare! Mi state mentendo."

Poi si era rivolto a me "Perché mi hai fatto questo Isabel?"

Io non gli avevo risposto. Che potevo dire?
Aveva ragione. Era colpa mia.
Lui neppure voleva farmi guidare quel giorno, ma io avevo insistito ed alla fine aveva ceduto.

E per colpa mia lui era paralizzato.

Credevo che, con il tempo, avrebbe smesso di avercela così tanto con me, ma mi sbagliavo.

Erano passati sei mesi e lui ancora mi odiava.

"Ti sbrighi? È da mezz'ora che aspetto,  cazzo!" mi gridò dalla camera da letto.

Presi il piatto con il pollo che avevo appena cucinato e glielo portai.

"Ecco" misi il vassoio sulla parte libera del letto.

Lui neppure mi guardò e cominciò mangiare.

"Cristo, che schifo! Oltre a non sapere guidare non sai neppure cucinare? Cucina qualcos'altro, e che sia commestibile questa volta" mi lasciò la forchetta contro, graffiandomi il braccio.

Io deglutii, e cercai di ignorare i miei occhi che mi pregava mondo far uscire le lacrime.

Ormai ero così. Non ero più la sua fidanzata, ma la sua schiava.
Dovevo cucinare, pulire la casa, aiutarlo a lavarsi e vestirsi.
E quelle cose le avrei fatte con piacere se poi mi avesse ringraziata, baciata o qualunque altra cosa per farmi capire che mi amava ancora.
Invece no. Mi gridava contro. Mi diceva che tutto ciò che facevo non andava bene. Che facevo schifo.
Ed io lo capivo. Capivo che era arrabbiato, ne aveva ogni diritto, ma io non ce la facevo più a vivere così.
Ogni sera, quando andavo a dormire, desideravo di non svegliarmi più.
Tanto a cosa serviva? Per lui non ero altro se non la causa del suo incidente.

Presi il vassoio ed uscii dalla stanza.

"Questa volta cerca di non farmi aspettare ore per del cazzo di pollo. Lo farei io, ma grazie a te non posso camminare."

Ignorai le sue parole. Erano di routine ormai. Me lo ripeteva ogni giorno.

Stavo per scendere le scale ma mi fermai.
Lasciai il vassoio sul pavimento e tornai da lui.

"Non sei stanco?" fu la prima cosa che gli chiesi appena rientrati nella sua stanza.

Lui mi guardò confuso e non rispose, perciò continuai.

"Non sei stanco di tutto questo? Di tutto questo odio? Di tutta questa rabbia nei miei confronti? Perché io sì, io sono sfinita."

"Scusa se sono un maledettissimo paralitico" disse con il suo solito tono di voce tagliente, ed io scossi la testa.

"Credi davvero che io non mi senta uno schifo a vedere la persona che amo ridotta così? E credi davvero che non mi senta ancora peggio sapendo che è colpa mia? " domandai retoricamente.

Tutte le notti sognavo il giorno dell'incidente. Quelle immagini, quei piccoli frammenti di ricordi mi tormentavano.
Le sue grida che mi avvisavano del camion alla nostra destra. Le sue braccia che, una volta capito che non c'era più nulla da fare, mi circondarono il corpo per, in qualche modo, attutire il colpo.
E poi di nuovo le sue grida. Quelle che più di tutte mi perseguitavano. Quelle grida strazianti di quando erano arrivati i soccorsi e aveva visto la nostra macchina totalmente distrutta e tutto il sangue intorno a noi, prima di cadere in uno stato di incoscienza.

Lui non replicò.

"Ogni giorno. Ogni singolo secondo di ogni giorno desidero di poter prendere il tuo posto. Vorrei essere rimasta io paralizzata solo perché odio vederti soffrire. E perché odio sapere quanto tu mi odi. Desidero ogni giorno di morire, perché ormai non hai più senso vivere. E so che lo vorresti anche tu. So che vorresti che ci fossi io al tuo posto e, te lo ripeto, se potessi non esiterei un istante a prenderlo , ma non posso, Harry. Non posso farlo."

Mi strofinai le mani sul viso accorgendomi solo in quel momento di star piangendo.

Lui mi guardò con gli occhi spalancati non riuscendo a dire nulla.

"Ti-ti ho detto tutto questo non per farti sentire ancora peggio, non lo farei mai. Ma solo per farti capire perché ho deciso di andarmene. Non voglio che tu mi odi ancora di più, che pensi che io ti abbia abbandonato. Ma stare qui non ha più senso, vedermi non ti fa bene. Ti ricordo solo che è per colpa mia che tu sei in queste condizioni."

"Ti chiedo solo una cosa: un giorno, non importa quando, anche tra ottant'anni quando sarai sul letto di morte, perdonami. Perdonami perché io ti amo Harry. Ti amo ora e lo farò per sempre. Perdonami perché... semplicemente perché provare così tanta rabbia fa solo male. Spero che senza di me starai meglio Harry" mi asciugai le ultime lacrime senza guardare un'ultima volta il suo viso sconvolto prima di voltarmi e correre via di lì.

In realtà la decisione di andarmene mi era venuta in quell'esatto momento, ma niente mi era mai sembrato più giusto.

Ed io mi sentii meglio. Mi sentii meglio mentre correvo via da quella casa.

E poi, quello che successe dopo forse fu dovuto al karma o chissà cosa.

Mentre correvo via, senza neppure guardare dove stessi andando, con gli occhi colmi di lacrime non vidi la macchina che stava passando proprio nel momento in cui io stavo a attraversando.

E immaginare cosa successe dopo non è difficile. E non seppi dire se ciò che successe a me fu meglio di ciò che successe ad Harry.
In ogni caso da quel giorno smisi finalmente di soffrire. E, mentre stavo chiudendo gli occhi per l'ultima volta, distesa sull'asfalto mentre sentivo le sirene dell'ambulanza in lontananza avevo visto il viso del mio Harry che, ancora un volta gridava. Forse stava gridando a qualcuno di cercare di aiutarmi. Non capii bene cosa disse. Capii solo che era preoccupato. Era preoccupato per me. Ed io ne fui felice.
Lui mi amava ancora ed io lasciai quel modo con un sorriso sulle labbra.

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