Capitolo 2
I due giorni successivi li passai a letto. Mi ero trasformata in una specie di ameba; i muscoli sembravano indolenziti, quasi atrofizzati. Il mio cervello era come andato in stanby, forse perché pensare era troppo doloroso e la cosa migliore per me era dimenticare.
Per due giorni guardai il soffitto della camera con insistenza e attenzione, come se tra la vernice color pastello potessi trovare la risposta ad ogni mio problema. I miei genitori, circa tre volte al giorno, bussavano alla porta, ma io non rispondevo, mi rigiravo tra le lenzuola e chiudevo gli occhi in cerca di pace.
Semplicemente volevo stare da sola, al buio e in silenzio.
La mattina del terzo giorno decisi di alzarmi e farmi una doccia, avevo capito che fare la larva mi deprimeva ancora di più.
Quando mi fui ripulita, scesi al piano di sotto in cerca di cibo.
***
L'unica persona capace di capire i miei sentimenti era mia nonna. Con lei non era mai arrabbiata, con lei stavo bene. Sapeva come parlarmi, sapeva sempre cosa dire.
Mi aveva insegnato a cucinare, quasi sempre dolci, e in quei momenti io non facevo altro che ridere e abbuffarmi.
Sapevo di aver deluso anche lei. Il suo amore incondizionato era stato messo a dura prova dalla mia condotta. Avrei tanto voluto abbracciarla, sentire nuovamente il suo buon profumo, ma lei non c'era più. La morte l'aveva portata via, strappando anche un pezzo del mio cuore già debole e ferito.
Cucinare riusciva a rilassarmi e tra le pentole e l'aroma di zucchero riuscii a dimenticarmi del mal di testa che martellava insistentemente.
Avrei dovuto pensare al tentato suicidio? Certo, avrei dovuto, ma non lo feci, non avevo la minima voglia.
Ben presto il profumo di muffin ai mirtilli inondò la cucina e io riuscii a trovare un minimo di sollievo.
«Dov'è Carmen? Prepara lei la colazione di solito.»
Mio padre era appena entrato nella stanza, facendomi irrigidire. Sentivo i suoi occhi puntati su di me, mi stava scrutando nuovamente con severità.
«Tu non ci crederai, ma esistono persone che si preparano la colazione senza bisogno di aiuto» dissi voltandomi, sfidandolo con lo sguardo.
I nostri occhi si incrociarono e ciò che mi colpii fu la sua stanchezza. Ad un tratto notai il grigio nei suoi capelli scuri, lo sguardo spento, le rughe più profonde; stava invecchiando.
«Stavi cercando di farla finita?» mi chiese tenendo tra le mani la sua ventiquattr'ore e il soprabito, il solito tono di chi combatte una guerra ormai persa.
Avrei voluto parlargli, dirgli di come mi sentissi, dei mostri che mi avevano inseguito da Las Vegas, ma non riuscii.
«Certo che no! Come ti viene in mente? Tu e le tue idee del cazzo!» mentii.
Lui sospirò silenziosamente e una nuova ondata di tristezza calò sul suo volto.
«Devi smetterla di bere, ti ucciderà.»
«Sto benissimo.»
«Voglio soltanto aiutarti, Kim...»
Di nuovo la parola magica. Se avesse davvero voluto aiutarmi, avrebbe evitato di trattarmi da pazza in tutti quegli anni, mi sarebbe stato vicino, mi avrebbe chiesto il motivo della mia rabbia.
Mi avvicinai a lui, in quel momento la tenerezza che avevo provato nei suoi confronti era svanita nel nulla.
«È tardi, troppo tardi, papà» sibilai a denti stretti.
***
Ogni gesto di mia madre riusciva a innervosirmi. Il modo in cui increspava le labbra per sorridere, il modo in cui faceva ondeggiare l'oliva all'interno del drink che stava bevendo. Aveva indossato un abito attillato e nero, ogni sua forma veniva strizzata nel tessuto. Il seno, rifatto, quasi strabordava dalla parte superiore. Per un attimo udii soltanto il rumore del bicchiere che tintinnava contro i suoi anelli e credetti di impazzire.
Io me ne stavo seduta sul divano; le gambe accavallate, un pigiama logoro e le occhiaie profonde.
Più la osservavo e più la odiavo.
La odiavo.
Portai le mani alle tempie e le massaggiai piano. «Perché l'hai invitata?» chiesi quasi ringhiando. Lei per un attimo lasciò perdere il calice da martini e si voltò verso di me.
«Non vedi tua sorella da due anni. Pensavo fosse una buona idea.»
Non hai mai buone idee, pensai costringendomi a non digrignare i denti.
«Prendo qualcosa da bere.»
«Tuo padre dice che bevi troppo...»
«Sai quanto cazzo me ne frega?» risposi dirigendomi verso il solito piano bar.
Lei rimase in silenzio, osservandomi mentre riempivo un bicchiere.
«Perché non ti sei cambiata? E i tuoi capelli... Dio!» sospirò teatralmente. «Quando eri piccola erano sempre in ordine» aggiunse poi.
L'interruttore della rabbia cercò di alzarsi, ma il suono del campanello frenò le imprecazioni che stavano per uscire dalla mia bocca. Ricacciai indietro tutto e mi diressi verso l'ingresso.
STAI LEGGENDO
Il Circo Dampierre
Genç Kız EdebiyatıKimberly ha un problema; ama bere e la depressione la sta lentamente uccidendo. Dopo una relazione logorante, durata due anni, decide di tornare a casa e fuggire da ciò che la spaventa di più. Per lei è dura ammettere di aver sbagliato, ammettere c...