Capitolo 7

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Roma 1943

Un rumore inconfondibile di passi pesanti, risuonò al di fuori delle porte. Le urla si stagliarono forti, mentre un irrefrenabile bussare forte, mise in allerta la sua famiglia.

Leah e i suoi genitori si trovavano a cena in quel momento. Avevano preparato qualcosa da mangiare per la cena, nonostante la scarsità di beni che vigeva in quel luogo.

Il padre di Leah, Yosef, si alzò immantinente dal tavolo e corse a spegnere la luce, forse così pensando inutilmente, di non attirarli in casa. Leah tremò impercettibilmente, mentre scambiava sguardi impauriti con sua madre Rina.

Entrambe presero a stringersi forte, impotenti di fronte al pericolo che li aspettava. Sapevano che di lì a poco sarebbero stati presi e non avrebbero potuto impedirlo in alcun modo.

Nonostante la promessa dei nazisti di non deportare nessuno se avessero consegnato l'oro, ora le cose stavano andando diversamente.

Da tempo avvertivano un pericolo imminente, come una spada di Damocle dritta sulla loro testa, oscillante e con l'impressione che da un momento all'altro, sarebbe caduta sulle loro teste. Si erano privati di tutto per avere salva la vita eppure, non era servito a nulla.

Li avevano sorpresi proprio in un giorno di festa per loro, sapendo che così ne avrebbero potuti prelevare il maggior numero possibile.

Tutto a un tratto trasalirono a causa dei colpi violenti provenienti dalla porta e sentirono delle voci urlare dall'altra parte. Stavano abbaiando ordini e dopo aver tirato dei calci alla porta, questa non resse e crollò a terra.

Leah e i suoi genitori tremanti, guardarono con occhi sbarrati la porta distrutta, per poi accorgersi che tre soldati ricoprivano la soglia dove una volta si trovava il portone.

Si fece avanti quello che fu facilmente riconoscibile come un ufficiale, perché diverso per l'uniforme e per le mostrine. Per quanto potevano esserne a conoscenza della guerra, lo indovinarono dall'aurea di potere che emanava. Aveva uno sguardo glaciale e la sua presenza fisica era imponente. Il tono di voce alto e la sua voce rauca.

Il suddetto entrò e dopo aver preso un registro da un suo sottoposto, lesse con contegno. << Voi siete la famiglia D'Agata, Yosef, Rina e Leah? >>

Annuirono freneticamente prima che il padre rispondesse. << Si signore >>

<< Seguiteci. >>

Furono afferrati per le braccia, con dei mitra puntati alla schiena, e condotti per strada verso dei camion.

Leah mentre veniva spinta maldestramente, si diede la forza di dare un'occhiata in giro e si rese conto che se l'inferno esisteva, di certo doveva essere quello. Donne trascinate per i capelli, bambini piangenti senza le madri, signori anziani trascinati per la giacca dopo esser caduti a terra; uno sparo avvertì nell'aria, un soldato aveva appena ammazzato una ragazza sparandole sulla fronte. Poteva avere la sua stessa età, non di più. Rimase orripilata...

La sua casa fu esaminata da cima a fondo, allo scopo di scovare altri ebrei nascosti. Non trovarono nulla.

Leah e la sua famiglia si sedettero sui camion. Erano appiccicati l'uno all'altro e nessuno aveva voglia di parlare o anche solo di guardare l'altro.

<< Dove andiamo? >> chiese Leah.

Nessuno rispose. Qualcuno la guardò, prima che la madre decidesse di azzittirla, mettendole dolcemente una mano sulla bocca.

<< I tedeschi ci arrestano ovviamente >> rispose un signore, seduto poco più in là. Aveva una barba lunga e trascurata, era stato evidentemente pestato, perché sul volto riportava tracce di ematomi ed escoriazioni.

Passione come OssessioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora