Capitolo 12

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La vita nel campo, giorno dopo giorno, era diventata sempre più dura. Ciò non poteva di certo affermarlo Leah, la quale si trovava in quel momento a rivestire le sue belle labbra di un rosso scarlatto.
Ella si guardò allo specchio, mentre tentava di delineare una linea precisa sulle sue labbra, come se fosse una questione di vita o di morte in quel momento.
La sua pelle era diventata di un bianco cadaverico, le sue occhiaie più profonde del solito e i suoi occhi incredibilmente vitrei. Sembrava un fantasma.
Leah si scoprì un lato della vestaglia, vicino al seno, scoprendosi un grosso livido violaceo. Notò il suo riflesso sciupato allo specchio e non poté fare a meno di considerare quanto la sua vita fosse orribile. Ammesso che ancora si potesse definire come tale.
Delle lacrime scesero dai suoi occhi. Veloce se li strofinò, togliendo le lacrime. Ai nazisti non piaceva vederle piangere. Inoltre, non poteva permettersi il lusso di piangere, non le era concesso. Delle vite si spezzavano ogni giorno. Uomini e donne lavoravano senza tregua, fino allo sfinimento nel campo di concentramento di Auscwuitz, dove da tempo lei era stata richiusa.
Leah era arrivata due giorni dopo il rastrellamento del ghetto. Senza cibo, né acqua. I bisogni aveva dovuto farli in un secchio di escrementi. Putrido.
Delle persone, accanto a lei, erano morte dentro quei carri. Li avevano ammassati come bestie, animali senza più dignità.
Non avevano neanche più il diritto di sentirsi umani.
Quando erano arrivati, delle persone-se così potevano ritenersi tali, viste le condizioni in cui versavano, zombie sarebbe stato più giusto definirli-si prodigavano a rastrellare i loro indumenti e metterli da parte.
Leah fu posta in una fila. Ce n'erano due. In capo ad esse, c'erano due ufficiali delle SS, forse dottori. Avevano un camice bianco.
Essi decidevano da che parte le persone dovessero andare.
Destra.
Sinistra.
Vita.
Morte.
Un bussare violento alla porta la fece sussultare. << 92856, Schnell, Raus! >> "Fuori, veloci!"
Leah si alzò freneticamente e andò ad aprire la porta. Si ritrovò di fronte una delle SS donna. Erano anche peggiori degli uomini a detta della ragazza. Infinitamente più sadiche, sembrava che godessero delle loro disgrazie. Erano molto più violente e sembravano godere nel picchiarle.
Una donna, con una divisa e con i capelli biondi tirati indietro e legati in una crocchia, la squadrò dalla testa ai piedì, per poi tirarla per un braccio verso una meta sconosciuta.
<< Voi puttane dovete affrontare oggi una bella prova. Viene il Dottor Herman Schneider per una bella visitina >> esclamò rudemente in tedesco la SS, guardando il viso della ragazza e ghignando spodoratamente, a causa del lampo di terrore che passò nei suoi occhi. Questo voleva dire solo una parola: SELEZIONE.

La ragazza finì letteralmente strascinata in una stanza. C'erano anche altre donne ad aspettarle.
Quando Leah arrivò, esse non si voltarono nemmeno a vedere chi fossero entrate in quel momento. Tutte avevano ben presto compreso, che non si poteva guardare o parlare più del dovuto. Ogni pretesto era buono per questi mostri ad ammazzare, torturare e picchiare fino a ridurre il soggetto in una pozzanghera di sangue.
<< Bene, aspettate qui, tra poco arriva il Dottore. >> La SS se ne andò dalla stanza, seguita da alcune guardie. Una era rimasta a controllarle. Come se potessero mai fare qualcosa di inopportuno.
Leah si guardò intorno e infine il suo sguardò andò su una ragazza. Non che ci fosse qualcosa di strano in lei, ma sembrava essere completamente fuori posto lì.
Solitamente, le donne che finivano in quel luogo erano sbandate, prostitute, malate psicologicamente, oppure-scarti della società-come le definivano i tedeschi.
La ragazza in questione non poteva avere più di vent'anni. Era notevolmente magra, con una carnagione bianca e dei lunghi capelli biondi. Si esatto, biondi. Potrebbe apparire un dato insignificante. Ma per l'epoca non lo era.
I capelli biondi designavano una purezza di sangue. Ciò che più contava all'epoca era l'aspetto ariano: occhi azzurri, capelli biondi, fisico slanciato. Perfino Leah, che nel suo essere non c'era una sola cosa che non fosse di origine ebraica, ne era a conoscenza.
Quando la ragazza si voltò, forse sentendosi osservata, sostenne il suo sguardo per un attimo che sembrò eterno.
La giovane ragazza bionda era di una bellezza eterea. Non doveva essere lì da molto. I suoi occhi erano di un colore chiarissimo, del cielo, e portavano dentro di sé una sofferenza inimmaginabile.
Dei passi giunsero a disturbare quello scambio di sguardi. Era un uomo alto, biondo e con occhi di ghiaccio. Un perfetto nazista, in camice bianco.
Il nazista depositò dei documenti con un tonfo sordo sulla scrivania. Sembrava scocciato di trovarsi lì. Ci scrutò tutte e poi iniziò a camminare frenetico. Sembrava nervoso e non era un buon segno.
Eglì si avvicinò alle ragazze. Sbattè i suoi stivali sul pavimento, più e più volte. Si limitò a squadrare tutte dall'alto in basso, senza toccarle, come se temesse di attaccarsi una malattia infettiva. Poi, giunse di fronte a Leah.
Dopo averla squadrata ed esaminata attentamente-la ragazza tremava come una foglia, anche se tentava comunque di non darlo a vedere-con un colpo solo dello stivale, il nazista indicò tre o quattro ragazze che furono prelevate dalle guardie, tra pianti e lacrime.
L'uomo, sentendosi infastidito da tutto quel trambusto, richiamò immediatamente la SS. << Non posso lavorare in questo modo! Dovete metterle a tacere immediatamente! Mi chiami il Kommandant di questo campo, immediatamente! >> sbraitò su tutte le furie.
Il nazista sembrava un folle. Aveva gli occhi fuori dalle orbite e sbraitava in tedesco come un forsennato.
Leah gettò nuovamente un'occhiata alla ragazza di prima, trovandola impassibile. Si chiese come diavolo facesse.
Dopo uno svariato chiamare da parte delle guardie per ricorrere ai ripari, si presentò un ragazzo alla soglia.

Il giovane si appoggiò tranquillo sullo stipite della porta, aspettando che l'ufficiale finisse di sbraitare. Sorrise divertito della sua sfuriata e si accese, nel mentre, tranquillamente una sigaretta.
L'ufficiale, accorgendosi di una presenza sulla soglia della porta, si voltò a guardarlo. << Che cosa ci fate qui? Io ho chiesto del Kommandant! >>
Il ragazzo sbuffò il fumo divertito. Avanzò con una camminata strascicata e sicura. Lo guardò sprezzante per poi esclamare: << Sono il figlio del Kommandant, qualsiasi cosa vogliate dire a mio padre, potete rivolgervi a me. Come se lo fossi, praticamente. >>
La sua voce era ironica e una nota di superiorità emerse dalle sue parole. Nonostante fosse molto giovane, sembrava sapere il fatto suo.
Il ragazzo era molto avvenente. Capelli rasati castano chiaro, sguardo azzurro allungato e i suoi occhi si mostravano famelici. Guardava tutte con una cupidigia mai vista prima. Di solito Leah, ma come tutte, era abituata a incontrare sguardi di disprezzo.
Le SS erano soliti divertirsi con i loro corpi e godere nel seviziarle; perciò Leah si stupì quando incontrò in quegli occhi un qualcosa di diverso, quasi un piacere fisico.
Molti semplicemente, quando andavano a trovarle, sfogavano le loro perverse tendenze-anche sessuali-su di loro. Altre volte, Leah aveva dovuto sopportare anche i grugniti dei Kapo, i quali di solito barattavano un pò di cibo con del sesso. Come se in quel luogo, potessere essere importante un bisogno così elementare come il sesso.
Il ragazzo però sembrava diverso.
Forse peggio.
<< Allora? Non ho tutto il giorno. >> Il ragazzo si voltò, con uno sguardo annoiato, a guardare l'ufficiale. Era molto alto, forse 1.90, più del resto dei suoi compagni.
<< Dovreste mettere a tacere queste prigioniere, disturbano il mio lavoro >> replicò l'ufficiale più anziano.
Il giovane scoppiò a ridere. << Cosa vi aspettate? Dei ringraziamenti, forse? Comunque chi è che vi disturba? Forse posso aiutarvi in qualche modo >> sorrise gioviale.
L'uomo lo guardò sprezzante. << Adesso l'hanno portate via. >>
Il giovane sorrise. << Allora cosa mi avete scomodato a fare? >>
<< Ho scomodato il Kommandant. >>
<< Fa lo stesso! >> rispose il giovane, senza più l'ombra di un sorriso.
L'uomo, sentendo queste parole, sbarrò gli occhi. << Ma come vi permettete? >>
Il giovane estrasse la pistola, la puntò di fronte a una ragazza a caso, e sparò. Il corpo cadde a terra, tra lo sgomento di tutte. Alcune urlarono.
<< Così va meglio? >> chiese il ragazzo, divertito.
L'ufficiale rispose: << Sì, meglio.. >>
<< Allora, chi abbiamo qui? >> chiese il ragazzo, guardando sul registro, che gli porse l'ufficiale.
Leah tremava visibilmente. Attonita. Sparavano come se niente fosse.
Il giovane guardò una a una. << Belle, forse un pò magre. >>
<< Non sono qui per compiacere voi. >> rispose quello.
<< Strano, mio padre ha detto il contrario. Beh, io ho già chi mi fa divertire. >> Improvvisamente si fermò, come se avesse avuto un abbaglio.
Guardava la ragazza.
La scrutava estasiato, quasi non credesse ai suoi occhi. << Chi è questa giovane? >>
L'ufficiale, come se fosse la prima volta che la guardava, improvvisamente si rese conto di non averla notata prima. << Una prigioniera suppongo. >>
Egli camminò spedito verso la scrivania del suo ufficio e, senza perderla mai di vista, iniziò a esaminare i fascicoli che aveva in mano.
L'ufficiale più giovane intanto si ritrovò di fronte alla ragazza, guardandole attentamente il viso. Ciò che Leah vide in quello sguardo, non le piacque per niente. Notava un interesse certo, ma forse di un'origine insolita per i ragazzi della sua età. Brillò nei suoi occhi una luce sadica. Il ragazzo aveva ancora il sangue sporco di sangue.
<< Leda Lehmann >> pronunciò l'ufficiale più vecchio.
Il ragazzo si voltò lentamente verso l'altro uomo. << Lehmann, come Theodor Lehmann? >> chiese.
<< Non ne sono al corrente sinceramente. >> rispose l'altro. << Avevo sentito che aveva una figlia il Comandante. >>
Il ragazzo si voltò nuovamente verso la ragazza, le prese una ciocca di capelli bionda e l'annusò. La ragazza era impassibile.
<< Allora bisogna scoprirlo. Siete voi signorina? >> le chiese il ragazzo.
La giovane non rispose, continuava a guardare fisso davanti a sé, come una statua.
<< Allora? >> le chiese impaziente il giovane ufficiale, allargando la bocca in un sorriso gioviale.
La ragazza girò lentamente la testa verso il ragazzo, con uno sguardo che dire glaciale era un eufemismo. Il giovane ufficiale era come rapito dai suoi occhi e decise di esprimerlo a parole: << un'ebrea o una qualsiasi prigioniera di questo campo non potrebbe mai avere dei lineamenti come ai vostri. Voi siete ariana, è evidente. >>
La giovane bionda, vedendo il disgusto negli occhi del ragazzo-nel pronunciare la parola ebrea-si sentì inspiegabilmente travolta da mille emozioni. Così, non pensando alle conseguenze del suo gesto, gli sputò addosso.
In quel preciso momento tutto rimase immobile. L'ufficiale anziano, le donne, il giovane, tutti restarono sbigottiti dall'imprudenza di quel gesto. Nessuno si era mai permesso un simile affronto con le SS. Erano note per la loro efferatezza, per il loro agire senza fare domande e per la loro cieca fedeltà al regime.
Il giovane si pulì con la manica. Aveva assunto un'espressione spiritata e con un solo colpo sul viso la stese a terra e poi disse: << se ti trovi qui, dopotutto non devi essere così speciale. Ammesso che tu sia la figlia di Lehmann. >>
La ragazza era esamine al suolo, con un grosso livido sulla guancia, che le deturpava la bellezza.

Nessuno poteva sapere la verità. La giovane era veramente la figlia di Theodor Lehmann, Comandante delle unità Teste di Morto delle SS. Egli organizzò il campo di concentramento di Dachau, adottando metodi brutali e richiedendo fedeltà assoluta dai suoi sottoposti. Guidava le divisioni a est, dove si rese protagonista dei più efferrati eccidi durante la guerra.


Maria Esposito, abitava a Milano, in un piccolo e modesto appartamento di Porta Ticinense. Ella era nel ruolo di staffetta partigiana addetta alla logistica del CLN Milanese.
In quei giorni che precedettero la sua cattura, era stata incaricata di portare in città una valigia di denaro proveniente dalla Svizzera che doveva servire alle necessità finanziarie del CLN, in vista dell'insurrezione. Era una giovane di sedici anni, passò inosservata ai tedeschi per questo. Ma non ai fascisti.
La fermarono e le chiesero che cosa portasse in quella valigia. Ella rispose che la sua casa era stata bombardata e che si stava trasferendo con un pò di vestiti e alcuni parenti. I militi non ci credettero, ma pensarono che portasse alimenti da vendere al mercato nero.
Alla fine, la valigia fu aperta e i militi scoprirono numerose banconote di valute internazionali. Essi restarono indecisi se accusarla di smercio di prodotti al mercato nero o di essere una partigiana.
Fu trasferita a Roma e finì in mano ai tedeschi.
La giovane si trovava legata in una cella angustia e umida. Soltanto sedici anni e già una vita di soprusi e ingiustizie. Labbro spaccato e volto tumefatto in diversi punti. Del sangue le colava dalla fronte e per tutto il corpo le scorreva del sangue raggrumato, con la presenza di vecchi e nuovi lividi.
<< Allora, ti è tornata la parola? >> le chiese Diedrich, il quale fu incaricato di interrogare la ragazza, la quale sembrava avere informazioni importanti sui rivoltosi. Egli si accese una sigaretta e aspirò il fumo, mentre la ragazza si trovava di fronte a lui, piegata su una sedia. << Continua pure, i miei soldati non vedono l'ora di spassarsela un pò. >>
L'ufficiale rise divertito. I suoi occhi s'illuminarono sadici. << Sai avrei potuto farlo io, ma non amo le ragazzine. Spiacente! >>
La giovane tremava e piangeva. Non avevano fatto altro che picchiarla tutto il giorno, prima i militi e ora i nazisti.
<< Non te la caverai ragazza. Se dirai quello che sai, ti prometto che ti rilascierò. Voglio i nomi però. >> le disse lui, mentre si alzava e camminava sbattendo i suoi stivali neri sui quali giorni prima, le aveva fatto pulire il suo sangue con la lingua.
La ragazza era troppo giovane per morire. Aveva ancora una vita davanti. Voleva rivedere sua mamma, suo babbo e i suoi fratelli. Pensò che non sarebbe riuscita a sopportare un esercito di uomini che la stuprava.
La paura ebbe la meglio. Si avvicinò, a stento, piano all'ufficiale. Quest'ultimo sentì già il sapore della vittoria sulle labbra.
Dalla bocca della ragazza uscirono tutti i nomi.
L'ufficiale sorrise trionfante e scaltro.
Una volta conclusosi il tutto, Diedrich ordinò ai militi e ai suoi soldati, tutti giovani dai sedici ai vent'anni, di sputare in faccia alla ragazza e di prenderla a pedate. Quasi tutti acconsentirono.
Maria fu costretta a denunciarsi, sotto la minaccia di essere bruciata viva. Ricevette sedici frustate e fu costretta a passare in mezzo ai militi e a percorrere tutti i locali perché tutti la potessero vedere e schernire con i più volgari aggettivi. Nella notte, fu portata in una cantina, dove fu ordinato ai soldati di abusare a turno della ragazza.
Fu impiccata il giorno dopo sulla piazza, come monito per i partigiani.


Una giovane camminava assorta sul marciapiede e al braccio, aveva appeso un cesto per la spesa.
La ragazza si guardò intorno e vide un clima di terrore misto a paura tra i suoi compaesani. Numerose camionette di militari erano posizionati sui lati della strada. Soldati tedeschi fermavano chiunque si ritrovasse per sbaglio a passare vicino a loro. Essi si divertivano a provocare i residenti.
Un signore fu fermato da due soldati di fronte a lei. Gli fu chiesto documenti e il vecchio, con mani tremanti, glieli mostrò. Essi lo presero e ridacchiando animatamente-parlottando qualcosa in tedesco-fecero cadere il documento per terra. Successivamente, obbligarono il vecchio a prostrarsi per terra, e quando non lo fece, iniziarono a bastonarlo violentemente.
Anna non ne poté più di vedere tutta quella violenza. Scoppiò in lacrime, e con passo veloce si sbrigò a passare oltre.
Fu fermata.
<< Alt! >> gridarono.
Le membra della ragazza si raggelarono. Di conseguenza, si ricordò che nulla poteva essere peggiore del Comandante.
Un ragazzo, che non poteva avere oltre vent'anni, le si avvicinò. Era di due spanne più alto di lei. Iniziò a squadrarla divertito e mentre la guardava interessato, chiamò il suo compagno, il quale, sentitosi chiamare, perse interesse per il vecchio.
<< Wo geh t du hübsches Mädchen? >> "Dove te ne vai bella ragazza?".
Era chiaro che i due non parlassero minimamente italiano.
Uno dei due prese ad accarezzarle i capelli biondi. Se solo Diedrich avesse visto...
Quando la notte scendeva in cantina per prenderla, senza che Agnes sospettasse qualcosa-a detta di lui- più volte le sussurrava all'orecchio, mentre spingeva dentro il suo corpo. Biascicava parole in italiano, con il suo accento incredibilmente forte e dannatamente teutonico. Le diceva, con una voce spezzata e in preda agli spasmi del piacere, quanto lei fosse importante per lui. Quanto l'amasse. Come poteva mai essere? La piegava ogni volta alla sua volontà, contro il suo volere, come poteva mai essere amore?
<< Sie verloren die Worte Kind? >> "Hai perso le parole bimba?" le sussurrò quel giovane, avvicinandosi al suo corpo.
Anna si destò e con uno scatto affrettato si liberò della mano del ragazzo. Quello rise, per poi sbottare parole in tedesco verso il suo amico, che continuava a guardarla.
Lei tentò di oltrepassarli. Ella, per sfuggire al panico, continuò a pensare che peggiore di Diedrich non ci fosse nessun'altro.
<< Alt!Dokumente! >> esclamò il secondo, ridendo.
Anna decise di accordarli, così da non avere ulteriori scocciature. Glieli mostrò, sbattendo il piede frenetica, per poi sbrigarsi a camminare una volta restituiteglieli. Tentò di camminare, ma fu bloccata di nuovo.
<< Sie sind sehr hübsch Fräulein, würden Sie mir egal, dass Kaffee zu verbinden?>> "Siete molto graziosa signorina, vorreste farmi compagnia in quel caffè?"
Anna non capiva un accidente ti tedesco. Infatti, essi la videro spersa e continuarono a ridacchiare. Così il giovane che aveva parlato le indicò il caffè e le fece cenno di seguirlo. Anna scosse la testa freneticamente e tentò di andare oltre, ma ancora una volta non le fu consentito.
<<Was ist das Sie wertvolle tun? >> "Che c'è fate la preziosa?"
Anna iniziò a sentirsi a disagio. Vide in quel caffè soldati in compagnia di giovani frivole che sedevano sulle loro gambe.
<< Mi spiace, devo andare. >> pronunciò spazientita. Iniziò a camminare veloce, voltandosi dietro, per vedere se la seguivano. Fortunatamente i due erano scoppiati a ridere e avevano deciso di lasciarla andare.

Anna decise di rifugiarsi nella panetteria in cui andava anche da bambina. Il proprietario conosceva i suoi genitori e suo fratello da una vita. Appena entrò fu invasa da un familiare profumo di pane appena sfornato. Immediatamente, fu accolta da Vincenzo, il quale le sorrise dolcemente e si precipitò ad abbracciarla.
<< Anna, piccola! Credevo.. >> iniziò, ma l'emozione non resse, perché iniziò a piangere silenziosamente. Aveva saputo della deportazione dei suoi genitori.
<< No Vincè, sono qui. >> Si guardò intorno, timorosa di orecchie indiscrete e decise di ordinare: << Posso avere due pagnotte? >>
<< La tessera? >> le chiese.
<< Ho... ho il permesso del Comandante che... che, presidia... >> sotto gli occhi dei suoi compaesani e di Vincenzo non riuscì a continuare. Lo sapeva quello che vedeva nei loro occhi: commiserazione, odio, dispezzo e anche... invidia.
Vincenzo dovette cogliere al volo e preferì non farle domande. Le diede le due pagnotte e poi le disse: << Vieni un attimo nel retro Anna, devo darti un pezzo di pizza... che mi avevi chiesto la scorsa volta. >>
Anna si guardò intorno e dopo aver capito la menzogna che Vincenzo aveva detto, decise di seguirlo.
Quando arrivò nella stanza, per poco non le venne un colpo: sdraiato in un giaciglio c'era suo fratello.
<< Anna >> sussurrò questi sgomento appena la vide.
<< Oh mio Dio >> sbottò la giovane, con le lacrime agli occhi.
Il giovane si alzò improvvisamente e la raggiunse, stringendola a sé come se ne andasse della sua vita.
Vincenzo, cogliendo il momento, decise di lasciarli soli.
<< Credevo... credevo che fossi morta, o... deportata. >> Per la prima volta, vedeva il suo fratellone piangere come un disperato.
<< No fratello, mi sono salvata. >> si azzittì, non sapendo come continuare. Ella era timorosa di confidarsi sulla situazione orribile in cui si era cacciata.
<< Mi dispiace così tanto per mamma e papà, non avrei dovuto mai allontanarmi. >> pianse lui, stringendola a se continuando a baciarla sul capo.
Suo fratello era sempre stato premuroso con lei, anche quando erano piccoli. Anna ricordava quando desiderava giocare tra i maschi, pur non avendo né l'età, né le condizioni per farlo e nemmeno il decoro, che doveva avere una fanciulla. Al suo fratellone non gli è mai importato.
<< Raccontami di te, che cosa ti è successo? >> gli chiese Anna.
Non riuscì nemmeno a rispondere che sentirono delle voci provenire dal locale e dei colpi violenti, come se stessero rovesciando per terra tutto. Anna e il fratello si guardarono stupiti.
Anna corse immediatamente nell'altro lato del locale, sorda ai richiami del fratello che non si mosse.
Quando la ragazza arrivò dall'altra parte vide Vincenzo bloccato tra due soldati e il resto di essi perquisire il negozio e rovesciare tutto in maniera violenta.
Anna sbigottita non riuscì nemmeno a fare qualcosa di sensato. Si avvicinò a Vincenzo e ai soldati e provò ad aiutarlo: << Vi prego, il signore non ha fatto niente! >>
I due soldati la squadrarono indispettiti. Altri due si avvicinarono, erano quelli di prima.
<< hübsches Mädchen >> "Ragazza graziosa" disse uno di quelli ridendo e afferrandola per il braccio.
<< Lasciatela stare! >> urlò Vincenzo.
Anna venne presa e trascinata dai due soldati che continuavano a ridere e a trascinarla nello sgabuzzino del negozio.
<< Jetzt aben wir Spaß ein wenig >> "Ora ci divertiamo" incitarono quelli.
Anna tentò di opporre resistenza, gridò stremata e guardò Vincenzo supplichevole che continuava a dimenarsi.
Fu in quel momento, che il fratello della ragazza, sentendola gridare, uscì con un fucile, allarmando i due soldati. In un attimo però si ritrovò tutta la Wermacht addosso.
Anna guardò la scena scioccata. Allarmata, tentò di porsi davanti al suo amato fratello, per proteggerlo. Egli tentò di dissuaderla a non muovere un miscolo, altrimenti l'avrebbero accusata di tradimento.

<< Che succede qui? >> esclamò una voce per Anna, purtroppo, conosciuta.
Il Comandante si erse in tutta la sua imponenza sulla soglia. Aveva il solito cappotto grigio lungo, la Croce di Ferro appuntata sulla divisa, i simboli runici delle SS e la svastica che imponeva.
Egli entrò, accompagnato da altri due ufficiali, e poi, con un sorriso leggero sul volto squadrò uno a uno i presenti, per poi volgere lo sguardo sulla ragazza. Il suo sorriso sparì.
<< Was machst du mit dem Mädchen? >> "Che state facendo con la ragazza" chiese rigido e con uno sguardo raggelato.
<< Wir wollten Kommandant zu unterhalten, aber dann fanden wir auch ein Rebell >> "Stavamo per divertirci con la ragazza Comandante, ma abbiamo trovato un ribelle" rispose uno di loro.
Il Comandante comprese solo la parola "divertirsi". I suoi occhi divennero folli mentre li guardava, dacché i due, si guardarono perplessi.
Egli, in poche facate dei suoi stivali neri lucidi, li raggiunse e con uno sguardo omicida e folle, strattonò la ragazza, facendola aderire al suo corpo. << Sie ist mein Mädchen Idioten! Wie Sie es wagen, Sie berühren sie?>> "Come vi siete permessi di toccarla idioti?" urlò feroce contro i due, i quali lo guardarono spaventati a morte. Gli altri non proferivano parola.
Perfino il fratello di Anna li guardava perplessi, mentre gli altri si erano fermati ad assistere la scena.
<< Entschuldigen Sie uns >> "Ci scusi". Essi strozzarono queste parole in gola, ma Diedrich era come impazzito ormai.
<< Soll ich Sie ekelhaft schießen! Sie ist mein! >> "Dovrei farvi fucilare schifosi! Lei è mia!
Diedrich urlava infervorato. La vena del suo collo pulsava dolorosamente, mentre i due malcapitati iniziarono a tremare.
<< Kommandant, was sollen wir mit dem Bäcker tun und der Rebell? Wir warten auf Aufträge >> "Comandante cosa dovremmo fare con il panettiere e il ribelle, attendiamo ordini?"
Diedrich sembrò svegliarsi come in un sogno. Guardo prima la ragazza, accertandosi che non le fosse stato torto nemmeno un capello, per poi accarezzarle il viso. Anna era basita, non aveva capito nulla dello scambio verbale, ma il Comandante la stringeva come se ne andasse della sua vita.
<< Fucilateli, non mi interessa. >> rispose, per poi trascinarsi Anna dietro.
<< No! >> urlò Anna disperata.
Tutti gli altri presenti la guardarono improvvisamente. Anche Diedrich si voltò di scatto, non prima di averla squadrata in modo strano.
<< Vi prego Comandante, il signore è un caro amico di famiglia, mentre lui-indicando il ragazzo-è mio fratello! Vi prego, non fate loro del male! >> replicò. Gli strinse il braccio disperata, con le lacrime agli occhi.
Non aveva il coraggio di guardare suo fratello.
Diedrich invece lo guardò e sorrise. << Così, il giovane è vostro fratello. Chi l'avrebbe mai detto, un ribelle... >> disse il Comandante. << Non posso farlo Anna, non posso lasciare un pericoloso fuggitivo, ostile alla nostra causa >> le sussurrò Diedrich, sul viso piangente. La guardò con dolcezza, suscitando diverse emozioni ai presenti: stupore, soggezione-a quei due, per la loro bravata-e perplessità. Tutti iniziarono a pensare che ci fosse qualcosa tra i due.
<< Vi prego Comandante. >> supplicò Anna, tra le lacrime e le labbra tremanti.
Diedrich era perso di lei. Ormai lo sapeva da tempo, cercava di seppellirlo sotto il suo atteggiamento scostante e brutale. Le numerose volte che l'aveva scopata su quel letto della cantina, servivano come autoconvincimento che non ci fosse nulla di sentimentale dentro se stesso. Dopo quello che aveva visto non poteva provare nulla di umano, era impossibile. Sapeva però che gli era entrata dentro come un veleno, al quale non poteva fare a meno, ma che lo faceva sentir male il solo pensiero di liberarsene. Se lei lo guardava con quegli occhi supplicanti, non poteva dire di no.
<< Vabbene, portatelo con noi, decideremo il da farsi. Lasciate l'uomo. >> decise.
<< Was!? >> "Cosa" sbottarono i suoi soldati stupiti.
<< Fate come vi dico! >> ordinò loro, per poi procedere con Anna, presa da lui per mano.
Ella si voltò un'ultima volta verso suo fratello, il quale la guardava sofferente, immaginandola preda di violenze inimmaginabili.
Aveva sentito le voci che giravano sul Comandante. Era spietato, sadico e crudele. Che cosa ne sarà della sorella?

Anna, intanto, veniva trascinata dal Comandante verso casa.
<< Non dovevate uscire Anna. >> esclamò il ragazzo, voltandosi a guardarla.
<< Mi ha mandata la Signora a fare la spesa >> rispose lei, ancora fremente d'agitazione.
<< Non so che cosa avrei fatto se vi fosse successo qualcosa >> sussurrò lui, mentre la stringeva a sé. Il suo sguardo era lucido di passione. La prese per il viso e l'avvicinò a sé. << Nessuno deve permettersi di toccarvi, solo io posso Anna. >> Sembrava una cantilena ormai. Il suo respiro si scontrò sulle sue labbra e poi glie le lambì.
Il bacio fu violento e possessivo, come lo era sempre stato. Com'erano sempre stati i loro rapporti. La prese per la nuca e l'avvicinò a sé, sentendo già l'eccitazione crescergli nei pantaloni. << Sie fahren mich verrückt ...>> "Mi fai impazzire.."
<< Piccioncini... >> esclamò Heinrich gioviale. << Chissà che cosa direbbe Agnes, amico. >>
Diedrich si voltò a guardarli divertito. << Lo sa che non le sono fedele tanto. Potrei scoparmi chiunque davanti ai suoi occhi, non farebbe differenza. >>
Anna si sentì avvampare. Per la prima volta si sentì esposta, prima il Comandante non aveva mai palesato il suo interesse di fronte agli altri. Storse in seguito il naso per la volgarità con cui si era pronunciato. Si ritrovò due occhi di ghiaccio addosso. Mark.
Ultimamente non la guardava più nemmeno per sbaglio e ora ritrovarsi sotto la sua lente di attenzione la fece avvampare d'imparazzo.
Ciò che vide nel suo sguardo non le piacque per nulla.
<< Che fidanzato amorevole Died >> rispose divertito Heinrich.
Diedrich dovette accorgersi dello sguardo del moro perché gli domandò. << C'è qualcosa che non va Mark? >>
Egli spostò gli occhi sul suo amico e gli sorrise freddo. << Nulla Died, direi solo che Agnes non è tipo da sopportare simili angherie. Scoparsi una puttana sotto i suoi occhi, non è il genere di cose che sopporterebbe a lungo. >> Detto ciò, sorrise non curante ad Anna, la quale sgranò gli occhi e si sentì morire di dolore per le sue parole.
Era questo che vedeva in lei, una puttana.
Le lacrime lottarono per cadere sul suo viso e desiderava togliersi da quel clima di tensione che si era creato il più presto possibile.
Diedrich non era stato particolarmente felice delle parole di Mark. Lo squadrò rigido e gli rispose: << credimi Mark, quando ti dico che Anna è tutto fuorché una puttana. Probabilmente, anche più della tua ragazza. Chissà se ti sarà rimasta fedele dopo tutto questo tempo, non credi? >>
Mark si irrigidì, mentre Heinrich seguiva il battibecco sorpreso. Era la prima volta che vedeva i suoi amici litigare. Si, lo avevano fatto da bambini, ma ora sembrava diverso.
<< Ragazzi, che fate vi mettete a litigare per le stupidaggini? >> chiese Heinrich divertito.
Mark non parve sentire le parole di Heinrich, oltrepassò i due e si diresse verso casa, non degnando di attenzione nessuno dei tre.
Egli si sentiva disgustato dal suo comportamento, dall'attenzione che aveva rivolto ad Anna-essendo fidanzato-e dalla ragazza, che si faceva trattare in quel modo da Diedrich.

Anna si sentì spezzata.
<< Potreste lasciarci soli Anna? Dovremmo parlare di una questione. >> chiese il Comandante, con gli occhi ancora puntati verso la porta.
Anna annuì e fece per andarsene, quando fu afferrata dal Comandante, il quale le stampò un bacio sulle labbra. Anna, dopo essere stata baciata, guardò Heinrich, che le sorrideva malizioso, e poi si defilò frastornata, non capendo il comportamento del Comandante. Non voleva sentire le sue mani addosso, non voleva più vivere, se significava farlo così.
La giovane pianse mentre raggiungeva la cucina, travolta da Mark, che non la vide arrivare. Quando il ragazzo se la ritrovò addosso, un moto di fastidio lo colse irrimediabilmente << State più attenta, accidenti! >>
Quando Mark la vide in lacrime indietreggiò però colpevole. << State piangendo... è per le parole... che ho detto prima? >>
Anna scosse la testa e l'oltrepassò veloce.
<< Anna aspettate, mi dispiace! >> urlò.
Ma la ragazza era già andata oltre.

Passione come OssessioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora