Capitolo 9 - Abituarsi alla fine.

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Sono rimasto al fianco di Sascha ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, secondo da quando è entrato in quell'ospedale.
Ho provato a non lasciarlo mai solo, fin quando me lo permettevano.
Non sapevo che giorno fosse, spesso non sapevo nemmeno che ore fossero.
Provavo solo a stargli accanto: stringergli la mano sperando che ricambiasse, parlargli, sperando che, prima o poi, aprisse almeno gli occhi per guardarmi, e soprattutto gli canticchiavo quella famosa canzone che ormai sembrava essere stata scritta per noi, sperando che potesse servire a qualcosa.
Chissà se mi sentiva, chissà se sentiva quanto lo amavo, se lo capiva, e se soprattutto avrebbe mai potuto perdonarmi.

I giorni ormai, erano sempre uguali.
Bianchi, come le pareti che mi circondavano.
Verdi, come i camici che mi imponevano di indossare.
Rumorosi, come quei bip delle macchine che lo tenevano in vita, che speravo non smettessero mai di suonare.
Vuoti, come la mia mente.

Poi arrivavano quei giorni in cui la monotonia veniva spezzata.
Parenti, amici, conoscenti di Sascha, che si alternavano in quella stanza, su quella sedia, dove vivevo io ogni giorno.
Mi chiedevo se avessero capito quello che era successo realmente; se tutti sapessero che la colpa di questa storia era solo mia.
Se solo avessi perdonato Sascha quel giorno, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto.

Come trovavano il coraggio di guardarmi in faccia, di consolarmi?
Io non l'avrei fatto.
E se quelle macchine che tenevano in vita Sascha, avessero smesso di funzionare, come il suo cuore, sarei riuscito mai a perdonarmi?
Avrei mai perdonato me stesso per aver ucciso l'unica ragione di vita che avevo?
Sarei mai riuscito a vivere senza di lui?

-Perché non vai a casa? Ti fai una doccia calda, ti riprendi un po'. Hai il viso stanco, pallido.- continuava a ripetermi Giuseppe.
Arrivava infatti anche il giorno in cui venivano a trovare Sascha, Giuse e Sal, ed arrivava anche il giorno in cui dovevo allontanarmi da lui.
-Giuse, sai che le parole vanno al vento! Basta prenderlo di forza, tanto non reagisce lo sai.- lo rimproverò Sal. - Quindi prendi le tue cose, ti porto a casa!- continuò poi rivolgendosi a me.
Feci una smorfia.
- Non ti ho detto che non ti riporto qui, quindi non guardarmi così! Sempre la stessa storia, e che cavolo!- sbotto'.

Anche i nostri discorsi, le nostre discussioni, sembravano essere sempre tutte uguali, come se questa situazione ci stesse distruggendo dall'interno, senza che qualcuno se ne rendesse conto.
Le nostre vite erano nuovamente ferme, ma non capivo se ci stessero aspettando.
Stavo perdendo anche loro, ma non capivo come, ma soprattutto perché.

Obbedì di malavoglia, e riempì il piccolo zaino nero, che ormai avevo sempre con me, delle prime cose che mi capitavano a tiro.
-Ci sono.- mugugnai.
Sal mi prese per un braccio e mi trascinò fuori dalla stanza, come se non avessi dovuto voltarmi indietro, come se una volta uscito da quell'ospedale, sarei potuto diventare qualcun altro.

Una volta arrivato in casa, mi fiondai in bagno, feci una doccia calda come mi aveva consigliato Giuseppe.
Aveva ragione, ne avevo bisogno.
Poi una volta presi dei vestiti puliti e preparato quelli da portare con me, mi distesi per un po' sul mio letto.
C'erano ancora i due cuscini con le federe rosse. Uno dei due era impregnato del profumo della pelle di Sascha, dolce, proprio come lui.
Chiusi gli occhi, e immaginai lui accanto a me che mi accarezzava i capelli, e che dolcemente, con i suoi occhi da cerbiatto, mi diceva "Ti amo", per poi baciarmi e farmi suo per sempre.
Per sempre.
Un giorno me l'aveva promesso. "Rimarrò al tuo fianco, che tu lo voglia o meno, io ci sarò; come amico, come fratello, come fidanzato o chissà un giorno come marito, io sarò sempre al tuo fianco."
Speravo che la mantenesse, speravo che prima o poi si sarebbe svegliato.

*******
Un anno dopo.

Sascha è in quel letto da un anno e mezzo, ed io sono su quella sedia da altrettanti giorni.
I medici avevano detto che forse era il caso di arrendersi, che sarebbero potuti passare anni, che le probabilità che si svegli erani davvero poche.
Io non ho mollato però, continuavo questa lotta, insieme a lui, perché sapevo che stava lottando per tornare da me.
Vivevo nella convinzione che quella canzone, diventata oramai la nostra, potesse aiutarmi, che le mie parole potessero arrivare a lui.

Sabotaggi. (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora