•Prologo•

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L'adolescenza è il capitolo più lungo della tua vita. È quel periodo dove passi dall'essere bambino ad un adulto, dove fai pazzie di cui forse non te ne pentirai mai, dove nascondi le tue sigarette nella borsa per non essere scoperto dai tuoi, il tuo primo bacio, la tua prima cotta e così via.
Può essere tanto bella quanto problematica.

La mia è stata del secondo tipo.

Mi chiamo Eddward Marion, ho diciotto anni e per la terza volta in vita mia mi sono trasferito in una nuova città, a causa del lavoro dei miei genitori.
Mio padre lavora in un laboratorio di ricerca, mia madre è la sua assistente.
Siamo una famiglia molto ordinata e unita, lo eravamo molto di più anche prima della morte tragica di mio fratello, avvenuta a causa di uno schianto letale contro un furgone. Alla guida c'era vecchio ubriacone, di cui fiero alzava il suo gomito per bere il poco contenuto della sua Vodka quasi vuota ormai.
Così lo hanno descritto i testimoni oculari.

Son passati ormai dodici anni dalla sua scomparsa. Io avevo soltanto sei anni.
Ricordo mia madre in ginocchio, che piangeva fra le braccia di mio padre. Anche lui piangeva, ma non singhiozzava. Era rimasto in silenzio, lo sguardo bloccato sulla mia magra figura.
Io ero paralizzato sulla soglia della porta che dava al salone, luogo dove la mia tenera e povera mamma piangeva per la perdita del suo bambino (non accettava che avesse già venti anni, gli era molto affezionata).

Io non piangevo.
Ero spaventato.

Tenevo tra le mie mani ancora il suo toque nero, che mi aveva lasciato prima di partire.
Come me, anche lui stava andando al college.
Prima di partire mi disse:« Lo prenderò la prossima volta che verrò a trovarti, d'accordo piccolo? ».
Io lo abbracciai d'istinto, e lui ricambiò.
Le sue braccia erano davvero forti, e lì mi sentivo veramente a casa.
Non provo più un emozione del genere da quel pomeriggio di metà Novembre.

Nonostante i problemi economici che avemmo successivamente, ci trasferimmo nel North Carolina, dove frequentai le elementari. Sfortunatamente per me, il trauma che ebbi dopo la morte di mio fratello complicò ogni cosa. Anche la più piccola.
Divenni ancora più timido e maldestro, e mi chiusi nel mio guscio.
Ero, e sono tuttora, il tipo di studente che non sta in mezzo agli altri suoi coetanei. Anzi, mi nascondo nell'angolo dell'ultimo banco, troppo impegnato a tenere il capo basso sui libri per crearsi una vita sociale, o di fare qualsiasi altra cosa che comprendesse il contatto con un'altra persona.
L'unica volta che parlo in classe è per rispondere alle domande a trabocchetto dei prof, quando colgono in fragrante un povero ragazzo o ragazza che proprio in quell'istante si è fatto distrarre da un messaggio sul cellulare, o il compagno di banco gli aveva chiesto qualcosa.
Mi misi così in cattiva luce davanti ai miei compagni di classe: diventai un vero e proprio secchione, alias vittima di bullismo.
Ero preso di mira dai ragazzi più scansafatiche e "fighi" della mia classe, che mi minacciavano per la merenda, per soldi o semplicemente per i compiti che loro pigramente ignoravano di svolgere. Passavo le giornate a ricevere palline di carta sulla testa (per questo pretesi di sedermi all'ultimo banco) e continui sgambetti fatti di proposito e seguiti da uno stupido "ops".

Anche dopo questi piccoli episodi, non cambiai per nulla; son rimasto sempre il ragazzino ordinato e studente modello.
Odio tantissimo il disordine, mi piace etichettare le cose  e leggere libri di qualunque tipo.

Con l'amore non mi ci sono mai trovato faccia a faccia. Mia madre mi ripete che con il mio aspetto (dice che i miei occhi azzurri sono due pezzi di zaffiro, ma io non ci credo) e il mio carattere da bravo ragazzo potrei conquistare milioni di ragazze.

Certo.

Mi dispiace dirle che rispetto alla sua adolescenza, quasi trent'anni fa, l'adolescenza di questi tempi è cambiata del tutto.

Comunque, non ho una fidanzata.
Né amici.
Né amiche.

Sono solo io.
Solo Edd. Eddward Marion.
E questo mi va bene.

Beautiful Disaster.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora