→ T e n.

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Giorno 52, giovedì pomeriggio.

In quei giorni, divenni più ossessivo e chiuso del solito. Non ne sapevo realmente il perché, ma lo facevo e basta.
Contavo mentalmente ogni passo che facevo, tenendo lo sguardo basso sul suolo che battevo con la suola delle scarpe.
Sentivo le voci degli altri studenti come un rumore lontano a cento miglia. Con forza tenevo i libri stretti al mio petto, stringendomi timidamente tra le spalle per non urtare nessuno.

Mi toccava nascondermi tra la folla, diventare una piccola stella nella galassia, così dimostrandomi ogni giorno di più sempre più isolato e 'diverso' dagli altri. O almeno, io mi sentivo così.
In quei momenti, ogni mostro crudele che si posava come macigno sulle mie spalle veniva spazzato dal calore di una mano che, col tempo, cominciai a riconoscere.

La mano di Chris.

Capitava che delle volte in cui la mia angosciosa depressione prendesse il sopravvento, bastava che lui posasse la sua mano sulla mia testa o sulla mia guancia per trasmettermi un po' di calma. I polpastrelli delle sue falangi davano conforto anche con una piccola carezza, e ciò mi sollevava di molto ad ogni occasione.

Chris fu simpatico da subito a tutti.
Eddy e Ed adoravano parlare con lui, e così anche Sarah e Jimmy.
Alla nostra piccola ma grandiosa "comitiva" si aggiunse Johnnino. Era divertente, a modo suo, anche se un po' troppo infantile.
Portava con sé costantemente una tavoletta di legno con disegnata una smorfia, giustificandosi che "era il primo regalo che gli diede il padre".
Noi tutti lasciammo perdere.
Gli diede rispettivamente il nome Tavoletta.

Chris riuscì perfettamente a frequentare sia noi che il club di football.
Per Kevin fu una bella sprangata in faccia sapere che lui era nella sua stessa squadra, ma ciò non lo fermò per niente.
Anzi, gli assegnava più esercizi fisici possibili così da farlo tornare in camera con l'acido lattico al posto del sangue.
Molte volte era toccato a me doverlo accompagnare, per il dolore troppo allucinante alle gambe o alle braccia – dipendeva sempre dagli esercizi.
Dopo ovviamente averlo messo a letto, recuperavo qualche spicciolo dalle tasche per prendergli una merenda ad un distributore nelle vicinanze e infine lasciarlo riposare.

«Altre quaranta flessioni, Warren! Muoviti!» gli aveva ordinato Kevin, tenendo la palla ovale al fianco.
Di solito mi rivolgeva un velocissimo sguardo, che durava minimo un secondo scarso, ma non più di tanto. Nei suoi occhi potevo soltanto intravedere una piccola nota di rabbia.

Ma di cosa?
Non sono io quello che lo avevo abbandonato tutto ad un tratto per uno meglio di lui. Mi ero fatto solo un amico.
Era vietato?

Sospirai esausto, a quel punto, guardando impotente la penosa scena che mi si presentava davanti agli occhi. Chris, come suo solito in questi giorni, cadde stremato alla trentanovesima flessione, sotto il dolore allucinante delle braccia.
Eddy, accanto a me, fumava una sigaretta, con le braccia incrociate al petto e i piedi accavallati uno sopra l'altro sulla sedia dello spalto inferiore. Ed giocava con il telefono, a qualche app che mi pareva fosse Clash of Clans, o una cosa del genere.

«Sembra che se lo stia quasi per mangiare.» aveva mormorato Eddy, rivolto al nostro amico.
Kevin lo stava ancora rimproverando che era crollato alla penultima flessione; Chris sbuffava rumorosamente e restava seduto sull'erba a gambe incrociate.
Mi fece tenerezza, mi ricordava un bambino capriccioso.

Eddy inspirò l'ultimo tiro, poi la gettò a terra con strafottenza. «A proposito, ci parli ancora con Kevin?»

Scossi la testa in una taciturna negazione, massaggiandomi gli avambracci.

«Perché? Gliel'hai detto?» si era abbassato con la schiena, per guardare il mio viso che, disperatamente nascondevo tra le spalle e dietro il mio ciuffo (dovevo andare dal parrucchiere).

Beautiful Disaster.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora