Capitolo 6 - La fioritura del ciclamino

1.4K 140 17
                                    

«Robert è pronto quel discorso? Lo voglio sulla mia scrivania per ieri. Harold cosa sono quei pantaloni? Lo sai che ci teniamo all'aspetto qui. Martha, Martha, hai chiamato la CNN per il servizio sul governatorato? Beh, fallo ora. Ma vi devo sempre dire le cose? Non è possibile che non sappiate portare avanti una camp...» James si interruppe bruscamente quando vide Leonard entrare nella grande sala di gestione della campagna di Trevor. Immediatamente piombò vicino a lui e i due si precipitarono nell'ufficio del senatore. Appena si chiusero la porta alle spalle, i tre uomini si fissarono intensamente.

«Dimmi che è andata bene,» provò Trev. Leo scrollò le spalle.

«Dipende dai punti di vista,» ammise il militare. James lo spronò a continuare. «Erik Greynolds ci aiuterà. Non l'ha esplicitamente detto, anzi, diciamo che per lo più si è tirato indietro e ha finto di non conoscerti, ma io credo che se gli diamo la busta, farà quel che necessario.» Il senatore chiuse gli occhi e sorrise. Avrebbe dovuto immaginare che Greynolds non si sarebbe mai fatto avanti per lui. Era ancora in fase "Odio spasmodico da gelosia" nei suoi confronti. Scrollò le spalle e annuì.

«È un rischio mandare la busta senza sapere cosa farà,» fece notare James. Leo annuì e fissò il senatore, attendendo la sua decisione. Trevor non aveva dubbi a riguardo.

«Se tu dici che lo farà, mi fido di te. Mandala.» Leo sorrise, notando come Trev lo tenesse in considerazione. James scosse la testa.

«Sei sicuro Trev? Se lui sbaglia... stai affidando non solo la tua campagna, ma la tua vita nelle mani di una persona che ti ha sempre odiato.» Il senatore ne era più che consapevole, e sapeva che James agiva nel suo interesse, ma odiava quando contestava una sua decisione. Sospirò.

«Lo so James, ma a volte bisogna azzardare. Il gioco vale la candela,» spiegò Trevor, l'altro annuì e sorrise, indietreggiando e uscendo dall'ufficio. Così Leo rimase solo col senatore. Il moro si voltò e lo guardò attentamente. Quel modo di vestire così normale lo faceva impazzire. Indossava una maglietta a maniche corte grigia che aderiva perfettamente ai muscoli addominali e si avvolgeva attorno al petto alto. I muscoli delle braccia spuntavano lungo le maniche e guizzavano ad ogni movimento. Portava, come al solito, un paio di pantaloni mimetici verdi e degli scarponcini probabilmente Timberland ai piedi. La pistola giaceva all'interno di una fondina posizionata dietro, all'altezza dell'osso sacro, in modo che con una giacca non fosse visibile. Trev lo fissò sorridendo. Era così virile ma, al tempo stesso, sembrava un peluche. Aveva una catenina oro al collo e un braccialetto di cuoio, oltre all'anello nero e grigio che portava sempre. Gli aveva detto che era una cosa della sua squadra, lo faceva sentire vicino a loro, fin dall'Afghanistan quando la notte non dormivano col terrore di venire attaccati e uccisi nel sonno. Era bello che quell'oggetto all'apparenza insignificante, in realtà, fosse intrinseco di così tante emozioni. Leo si voltò e guardò il senatore negli occhi. Quel momento, quello scambio repentino di sguardi fugaci, fece sentire Trev così vicino a qualcuno come mai prima. Con Rachel o con Liam non era mai stato così. Leo, con una semplice occhiata, era riuscito a trasmettergli qualcosa di profondo, di vero. Il moro avanzò di un passo e si portò direttamente davanti all'altro che continuava a guardarlo con quei bellissimi occhi azzurri velati da una tristezza infinita. Così Trev si avvicinò alla bocca del militare e la sfiorò leggermente con le proprie labbra, asciutte per la voglia di baciarlo. Leo rimase immobile, socchiuse gli occhi e attese. Il moro sfregò il proprio naso contro quello dell'altro mentre con le labbra disegnò un cerchio attorno alle sue, improvvisamente arrossate dalla tensione che vibrava in quella stanza. Poi le baciò, con un movimento diretto e preciso. Il contatto fece gemere Leonard che scelse, nuovamente, di lasciare al senatore il controllo dell'atto che stavano consumando. Trev morse leggermente il labbro inferiore del militare, insinuando la propria lingua nella sua bocca. Lo strinse a se con un braccio e chiuse gli occhi, godendosi quel momento ineguagliabile. Il bacio gli trasmise tutto ciò che, in anni di matrimonio e fidanzamento, non aveva mai assaporato, ma questo non lo sorprendeva. Era semplicemente ciò che in realtà sapeva ma non avrebbe mai ammesso a sé stesso. Quel bacio era più di un coming out, era la voglia di accettarsi per quello che era, il desiderio di un mondo pulito dove amare non era peccato e il diverso non era discriminato. Appena i due si staccarono, Leo si leccò le labbra e sorrise, abbassando lo sguardo.

«Certo che ce ne hai messo di tempo,» rimproverò il militare, alludendo all'anno di lavoro insieme fatto di sguardi fugaci e toccatine veloci. Trev annuì e sorrise anch'egli.

«Meglio tardi che mai,» si giustificò, ma l'altro non avrebbe ascoltato ulteriori parole. Si avvicinò ancor di più al senatore e incastonò i propri occhi nei suoi verdi come la speranza, che per Leo era quella di trovare qualcuno che lo volesse così com'era, e non per l'aspetto fisico o per il sesso, no, lui voleva di più. Lui voleva la sua metà, quella metà che la guerra gli aveva portato via anni prima. Così il militare depositò un rapido bacio sulla bocca del senatore, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Trev fece altrettanto, scrutando quelle pupille così sofferenti.

«Cosa vuol dire questo?» chiese poi Leonard, sussurrando all'orecchio di Trev. Questi si scrollò le spalle.

«Io... non lo so,» mentì spudoratamente. Fingere di non capire era più facile di accettare un destino malevolo.

«Tu sei un senatore, un candidato a governatore. Non esisterà mai nulla tra noi, vero?» disse, a voce rotta, il militare. Trevor annuì distrattamente e posò lo sguardo alle spalle dell'altro, scrutando fuori dalla finestra il paesaggio autunnale. Leonard lo guardò stranito, poi sbuffò. «Mi stai ascoltando?» chiese poi. Il moro socchiuse gli occhi, gesto che faceva quando era sovrappensiero, poi annuì decisamente e indicò la finestra.

«Sai cosa mi piace dell'autunno?» Leonard spalancò gli occhi e si schiarì la voce, per poi scrollare le spalle.

«Le foglie colorate?» provò il militare, l'altro scosse la testa.

«La cosa spettacolare è che le foglie cadono dagli alberi, che più invecchiano più diventano belle e poi, alla fine, muoiono. L'autunno è la morte, la primavera è la vita. Ma questo non vale per tutte le piante, ad esempio il ciclamino che fiorisce proprio in autunno. Vedi, madre natura ha scritto cosa è giusto. La primavera fa nascere e l'autunno distrugge. Ma questo non vale per tutti, e ciò non significa che abbia commesso errori. Semplicemente i fiori sono diversi ma nessuno è meno utile o peggiore di un altro. Ognuno ha un suo scopo e la diversità lo rende solo più bello. E così noi, gli uomini, le creature più imperfette dell'universo. Io so cosa voglio Leo, e non mi importa della politica, di James o di Rachel. Parlare di me e te come un noi è prematuro, ma se tu vorrai, se io vorrò... non esiste governatorato che tenga.» Leonard annuì e sorrise, poi afferrò la mano di Trevor e la strinse. Le sue parole erano state bellissime, ma lui voleva veramente rovinare la sua carriera? Un'altra domanda a cui rispondere. Un'altra risposta che, a lungo andare, avrebbe contribuito a rovinare tutto. Col senno di poi, quello fu un altro dei momenti che avrebbero influito sul futuro di Trevor Mulgrew e Leonard Clifford Rogelio.

The Senator (Trilogy of Secrets, 3)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora