Capitolo 15 - Fine dei giochi

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        «Maledizione!» urlò Leo, lanciando una sedia per terra. Era nell'appartamento di Erik. Dato che il moro era ancora all'ospedale, non aveva potuto chiedergli cosa ne avesse fatto della busta che gli aveva recapitato mesi prima. Così la stava cercando da solo. L'appartamento era troppo ordinato, preciso in ogni sua parte, maniacale proprio come aveva pensato fosse il professore.

«Okay Leonard, se tu fossi un professore di letteratura super attento a non farti scoprire, dove nasconderesti una busta della quale non conosci il contenuto?» si chiese Leo. Aveva frugato dappertutto, senza riuscire a trovare nulla. Poi gli venne l'illuminazione. Uscì di corsa dall'appartamento e arrivò in pochi minuti all'università. Entrò e chiese alla giovane segretaria all'ingresso dove fosse lo studio del professor Greynolds, dicendole di essere un amico di vecchia data. Lei gli indicò un corridoio che lui seguì e trovò una porta con inciso il nome del professore. Era chiusa a chiave, ma intorno non aveva nessuno studente o impiegato, così prese dal portafogli i cacciaviti da tasca che portava sempre dietro e armeggiò con la serratura fin quando non sentì il click che gli fece capire di aver scassinato la porta. Aprì lentamente l'uscio e sgattaiolò dentro, chiudendosi la porta alle spalle. Davanti a lui c'era una scrivania in mogano, con una sedia alle sue spalle e due poltrone dall'altro lato. Una libreria sulla sinistra e un tappeto con un tavolino sulla destra. Alle spalle della scrivania c'era un quadro di Monet. Nessuna finestra era presente. Cominciò con la scrivania, controllando ogni cassetto, ogni anfratto. Poi passò al tavolino, controllò dietro al quadro, sotto al tappeto e alle sedie. Nulla. Era il momento della libreria. Estrasse i libri uno a uno, non trovò nulla. Si stava per rassegnare quando, maneggiando il romanzo "Frankenstein", sentì un rumore. Aprì il libro e trovò le pagine tagliate a quadrato e, al suo interno, una scatola. La estrasse e la soppesò. Sapeva perfettamente cosa custodiva. Esaminò l'interno con cura, trovando solo la Pen Drive che cercava. Nonostante sulla busta ci fossero precise istruzioni – Non aprire fin quando il Senatore Mulgrew è ancora vivo – Erik aveva rotto la busta. Leo vide il computer del professore acceso sulla cattedra e inserì la chiavetta. Appena immessa, gli chiedeva la password. Il militare era l'unico a conoscere la chiave, insieme al senatore che aveva redatto il file. Così immesse la sequenza "Autumn115894". Si aprì una finestra con delle coordinate geografiche. Era la casa sicura di Trev, con tanto di nome e numero del passaporto falso che avrebbe usato. Le coordinate lo portavano ad un piccolo cottage nella Great Bear Rainforest, una foresta teoricamente protetta.

«Bingo.»


Il viaggio non fu tanto lungo, in un'ora Leo era all'interno della foresta. Aveva riscosso un favore da un ex militare e si era fatto portare in elicottero sino alla zona centrale. Stava proseguendo a piedi tra gli alberi quando vide il cottage di legno recintato. Si trovava a mezz'ora dal punto di ritrovo degli escursionisti, ma era fuori dal percorso previsto, perciò era lecito supporre che fosse abusivamente costruito. Il recinto, in legno di acacia, circondava una casetta deliziosa, con due finestre, una porticina e un sentiero, proprio come le case che si disegnano da bambini. Leo estrasse la pistola e avanzò a piccoli passi. Percorse il sentiero in ciottolo e arrivò alla porta. Bussò lentamente e non ricevette risposta. Bussò più forte ma ancora nessuna risposta. Così si allontanò di mezzo metro ed esplose un calcio che spalancò la porta con un sonoro rumore di assi spezzate. L'interno era buio. Poteva scorgere un divanetto e un camino, un tappeto con una poltrona e un tavolo. C'era un computer posato su di esso e una tazza con una tisana al suo interno ancora fumante. Era stata lasciata da poco. Si voltò, sempre con l'arma tra le braccia tese, ed esaminò la piccola cucina. C'era un piano cottura, un frigo e due mobili, con un piccolo forno a microonde. Superò il tutto e imbroccò le scale che conducevano al piano superiore. C'erano due porte, con ogni probabilità una era la camera e l'altra il bagno. Entrò nella prima. C'era un letto a due piazze con un piccolo comodino e un armadio. Controllò sotto al letto ma non c'era traccia di Trev. Uscì e delicatamente aprì la porta del bagno. Appena fece un passo verso l'interno, uno spray al peperoncino gli fece bruciare gli occhi e urlare dal dolore. Poi, sentì il rumore di un'arma carica puntata verso di lui.

«Cazzo Trev, sono io, Leo!» urlò. La vista era annebbiata ma riuscì a scorgere esitazione nell'altro, che poi spalancò gli occhi e abbassò la pistola.

«Leo? Sto sognando? Tu sei morto...» rispose, chinandosi verso di lui. Questi tentò di aprire gli occhi ma bruciavano troppo, così il senatore bagnò un asciugamani e glielo porse. Lentamente il militare tamponò gli occhi e riuscì ad aprirli per vedere l'altro, che scoppiò a ridere.

«Sembri fattissimo,» confessò. Leo scosse la testa.

«Vaffanculo Trevor. E no, non sono morto,» disse semplicemente il militare. Trev lo condusse fuori dal bagno e lo portò giù per le scale, fino a farlo sedere sul divano dinnanzi al camino acceso.

«Come è possibile?» domandò il senatore. Leo sospirò e sorrise.

«Io ti ho mentito. Non è stato un caso che ci incontrassimo, nemmeno che tu mi assumessi. Sono stato assunto da Liam Donovan per proteggerti. Mi pagava tramite un conto Offshore alla Bahamas, non l'ho mai incontrato, almeno, fino alla sparatoria. Quando hanno sparato nel bar a Sanborn, sono stato gravemente ferito. Per mia fortuna, però, Liam Donovan mi stava facendo seguire da una macchina. Gli agenti della sicurezza privata di Liam mi hanno prelevato e portato all'ospedale. Poi, mi hanno creato un'identità falsa e portato in Canada. Solo allora ho incontrato Liam. Ha portato me in una casa sicura a Lachine, tra il confine americano e quello canadese. È stato lui a farti sparare durante quel servizio televisivo. Pensava che, facendoti sparare in diretta, avresti fatto capire a tutti che le minacce contro di te erano serie e che l'FBI ti mettesse sotto protezione, come infatti è avvenuto. Non potevo più uscire allo scoperto, sarei stato più utile da morto. Ho indagato su ciò che ti è accaduto e... ho scoperto chi ti vuole morto.» Trevor spalancò gli occhi e scosse la testa.

«Tu e Liam mi avete mentito per tutto questo tempo? Con che coraggio ora vieni qui e pensi che io possa passare sopra a tutto ciò?» disse Trev, allontanandosi da lui. Il militare socchiuse gli occhi e sorrise.

«Perché ti amo, Trevor. E ho cercato di proteggerti da tutto.» Trev guardò il pavimento per qualche secondo, poi sorrise. Non riusciva ad essere arrabbiato con lui. Capiva le sue ragioni e nei suoi panni avrebbe fatto lo stesso.

«Chi mi vuole morto?» chiese poi. L'altro sospirò e scrollò le spalle.

«Marcus ha cominciato tutto. Poi, tua moglie Rachel l'ha cercato e si è accordata con lui al Palace Hotel, ho delle foto che lo testimoniano. E infine, hanno assunto James Farter, un uomo di cui tu ti fidassi. Ha piazzato lui la bomba al DC Plaza,» confessò Leo. Trev si sentiva tradito. Paradossalmente, l'unica persona che non gli aveva mai mentito era Erik Greynolds. Scosse la testa, quasi sull'orlo delle lacrime. Sua moglie e il suo stratega che tentavano di ucciderlo. Leo si avvicinò e lo strinse in un abbraccio. Trev ricambiò e si aggrappò a lui, come fosse l'ultima ancora della sua vita. Poi lo guardò e sorrise, posando le sue labbra su quelle del militare. Fu un bacio rapido e dolce, che lasciò spazio a diverse interpretazioni.

«Anch'io ti amo Leo. Sono contento che tu sia vivo,» disse Trev, ancora stretto a lui.

«Anch'io sono contento di esserlo.» Leo fece sorridere il moro, che lo baciò ancora e, finalmente, si sentì libero di amarlo. Non gli importava di sua moglie, dell'essere etero o senatore. Lui voleva Leo e Leo voleva lui, questo era tutto ciò che contava.

The Senator (Trilogy of Secrets, 3)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora