Capitolo 12 - Rapporti tesi

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Il telefono prese a squillare con una certa insistenza nel bel mezzo della notte. Il ragazzo, disteso nel grande letto matrimoniale, imprecò, svegliandosi di colpo. I capelli scuri leggermente lunghi erano arruffati attorno alla fronte sudata. Immediatamente il giovane si sistemò il ciuffo, poi afferrò il cellulare, strizzando gli assonnati occhi e convincendoli a osservare l'abbagliante display. Non appena identificò il nome di colui che aveva effettuato le tre chiamate perse alle due di notte, sbuffò e lanciò il cellulare sul comodino. Passarono pochi secondi che il dispositivo ritornò a suonare incessantemente, producendo solo imprecazioni dal moro. Questi si preoccupò solo di metterlo silenzioso e ritornò a dormire. Almeno, così aveva pianificato di fare. Qualche minuto più tardi, il campanello suonò due volte. Il ragazzo si alzò immediatamente.

«Liam ti giuro che ti ammazzo!» sussurrò, mettendosi le ciabatte e raggiungendo a grandi passi la porta. Una volta aperta, trovò dinnanzi a lui esattamente chi si aspettava di vedere.

«Liam cosa cazzo ti è saltato in mente!» urlò Erik, tenendo l'uscio leggermente aperto ma lasciandolo fuori. Il biondo sorrise.

«Sorpresa!» rispose, spalancando la porta. Erik imprecò.

«Non puoi stare qui. E dove sono Alex e Jas?» chiese, richiudendo l'uscio alle loro spalle. Liam allargò le braccia.

«A casa a dormire, magari? Sono le due di notte dopotutto!» sancì. Erik spalancò gli occhi e chiuse le mani a pugno.

«Appunto! Sono le due di notte e io domani lavoro! Vorrei sapere cosa cazzo sei venuto a fare qui a quest'ora, lasciando nostra figlia di tre anni a casa da sola con Alex, il quindicenne più irresponsabile che esista!» Liam lo guardò allibito.

«Andiamo Erik, a quindici anni non eri mica un santo! Hai fatto più cazzate di quante Alex possa solo immaginare di fare!» Erik tirò un pugno al muro e chiuse gli occhi per far dissolvere la rabbia.

«Io effettivamente ero un santo a quindici anni, a differenza di qualcun altro,» lo punzecchiò il moro. Liam sbuffò.

«Io a quindici anni sarei stato cosa? Un teppista? Un criminale? Sul serio? Non è che scopare le ragazze sia mai stato un crimine. Al contrario di picchiare gli avversari di hockey...» rispose per le rime il biondo. Erik imprecò sottovoce.

«Erano risse a fine partita! Le stesse che facevi tu a football, non si può certo paragonare al tuo continuo metterti nei guai!» Erik era sul punto di colpirlo. Non sapeva perché, ma Liam era l'unico che da sempre gli faceva quell'effetto.

«Solo che io non usavo mazze con le lame per picchiare chi mi stava sul cazzo.» Erik lo colpì in pieno volto talmente forte da farsi male alle nocche. Liam sputò e allargò le braccia.

«Chi è il violento adesso?» fece il biondo, massaggiandosi la guancia colpita. Erik scosse la testa e indicò l'uscita.

«Sei venuto qui per darmi una lezione di vita o per qualche motivo più stimolante?» chiese il moro. Liam annuì e sorrise.

«Hanno fatto esplodere il DC Plaza,» confessò. Erik spalancò gli occhi e improvvisamente tutta la rabbia sfumò via, lasciando posto alla preoccupazione.

«Oddio stai bene? Claude?» domandò, scrutandolo attentamente. In effetti aveva qualche graffio, un cerotto in fronte e un portamento decisamente stanco. Si maledisse per averlo colpito.

«Stiamo bene, ma ci sono stati dei morti. E... dicono che anche Trevor lo sia. Era venuto lì per parlarmi e... credono sia morto,» spiegò il biondo. Erik gli indicò il divano e i due si sedettero.

«Ma tu non pensi che lo sia.» Era più un'affermazione che una domanda, ma il biondo rispose comunque.

«Sono sicuro che è vivo. Trev ha la pelle dura e un intuito pazzesco. Non può seriamente essere morto per quella bomba,» confessò Liam. Erik annuì, mentre socchiudeva gli occhi.

«Mi... mi dispiace di averti colpito.» Liam annuì e sorrise. I suoi occhi azzurri brillavano quando sorrideva.

«Me la sono cercata. A dir la verità volevo che tu lo facessi. Me lo merito per quello che ti ho fatto.» Erik alzò un sopracciglio. Non si sarebbe mai aspettato di vedere Liam prendersi delle responsabilità. Semplicemente, non era da Liam Donovan. Lui cercava sempre una scusa, una giustificazione, un modo per uscirne pulito. Era anche per questo che si stavano separando, ma in realtà la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata proprio Trevor.

«La colpa è di entrambi,» asserì Erik, sorridendo anch'egli. Liam sembrava così fragile ed il moro non sapeva resistere all'impulso di coccolarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene. Il biondo se ne accorse, così sorrise.

«Fallo,» disse semplicemente. Così Erik lo baciò e rivisse in un secondo tutti i bellissimi attimi della propria vita passati accanto al suo uomo. Erano scomparsi i dissidi, le liti, i figli, il lavoro, Trevor. Non c'erano pensieri negativi, solo loro due. Come era prima di tutto.

«Dio quanto mi manchi,» confessò il moro. Una lacrima rigò il volto di Liam.

«Anche tu mi manchi amore,» rispose. Ad Erik vennero gli occhi lucidi ma si contenne dal piangere. Per una volta voleva avere lui il vantaggio.

«Femminuccia,» disse, facendo ridere l'altro, che si asciugò le lacrime. Poi, il suo volto tornò serio e annuì.

«Sai cosa mi ha detto Trev prima della bomba? Mi ha spronato. Mi ha convinto a provarci con te. Se sono qui è solo... merito suo.» Erik contrasse la mascella. Non amava Trevor, ma doveva riconoscere che era solo indirettamente responsabile del loro allontanamento. Così annuì e si fece serio.

«Mi sa che è arrivato il momento di tirare fuori l'asso,» propose. Liam sollevò le sopracciglia.

«Non sei mai stato d'accordo nel farlo,» gli ricordò. Erik ci pensò un momento. Se stavano per divorziare era principalmente colpa di quella faccenda. Ma come avrebbe vissuto sapendo di non aver fatto tutto il possibile per Trevor? Scosse la testa e sorrise.

«Ora lo sono.» Liam lo baciò sulla guancia e lo abbracciò stretto, per poi alzarsi di colpo.

«Andiamo. Abbiamo del lavoro da fare.»

The Senator (Trilogy of Secrets, 3)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora