Capitolo 11 - Piccole cose

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È incredibile vedere come le piccole cose sono quelle più soddisfacenti. Un regalo ad un amico, una parola detta al momento giusto, un piatto di pasta cotto alla perfezione, un puzzle completato con maestria. Quelle cose che ci danno un senso di leggerezza, di pienezza che prevale sulle angosce della vita. Piccole cose, piccoli momenti di perfezione. Così, anche la natura, il destino, si mettono talvolta ad assecondare questa lieve tendenza umana al desiderare ciò che è completo, ciò che è perfetto. Una gocciolina d'acqua che colava dal bordo di un lavandino e si andava a schiantare perfettamente al centro di una piccola pozza venutasi a creare con l'inclinazione di due piastrelle. Liam provava un senso di pienezza nel cogliere la perfezione di quel piccolo avvenimento. Per questo si riscosse brutalmente quando qualcosa gli oscurò la vista da quello spettacolo silenzioso. Il biondo corrugò la fronte, cercando di alzare lo sguardo per vedere cosa stesse succedendo. La vista gli si offuscò e lo pervase un senso di stanchezza, di voglia di abbandonarsi a sé stesso su quel pavimento freddo e dormire. Una mano gli sollevò il volto e lo costrinse a riaprire gli occhi. C'era un ragazzo che gesticolava in maniera quasi ridicola, non parlava, semplicemente muoveva le braccia e faceva facce buffe. Liam sorrise nel guardarlo. Poi, si concentrò sul volto del ragazzo. Lo conosceva forse? Era sicuro di sì. Sembrava essere familiare, una faccia a lui nota. Si sforzò di ricordare il suo nome. Come si chiamava quel ragazzo? Un altro dettaglio gli balenò in mente. Si concentro sulle sue labbra. Si muovevano come se stesse dicendo qualcosa. Sì, stava dicendo il suo nome: "Liam, Liam". Ma il biondo non sentiva le parole, poteva solo scorgerle interpretando il labiale. Claude... ecco come si chiamava! Improvvisamente ricordò ciò che aveva dimenticato, Trevor, l'esplosione, il fumo. Un fischio prepotente gli sfondò le orecchie, facendolo rabbrividire. Solo allora cominciò a sentire la voce di Claude, i rumori indistinti di sottofondo e il suono di quella gocciolina che colpiva la pozzanghera d'acqua.

«Liam, cazzo Liam devi ascoltarmi!» la voce del moro arrivò ovattata ma comprensibile alle orecchie dell'altro che annuì.

«Cosa...» provò a dire, sentendo un groppo in gola. Claude allargò le braccia.

«Grazie a Dio stai bene. Hai battuto forte la testa sul lavandino durante l'esplosione,» spiegò l'amico. Liam spalancò gli occhi.

«Trev!» urlò, alzandosi di scatto. La testa gli girava ma poteva sopportarlo. Avanzò di qualche passo, rendendosi conto dopo del delirio che stava accadendo.

«Liam, Liam! Trev è morto. Se era di là, è morto! Siamo vivi per miracolo, solo perché eravamo in questo cazzo di bagno che si trova esattamente sotto l'arco portante della struttura. Questo non crolla perché non può crollare.» Liam scosse la testa e si liberò della giacca. Non poteva minimamente accettare che Trev fosse morto nel suo palazzo.

«Non me ne frega un cazzo, se Trevor è lì, lo troverò,» disse il biondo, risoluto, prima di uscire dal bagno. Fuori era un disastro, c'era confusione ovunque, corpi a terra, muri crollati e soffitti pericolanti. Liam individuò la porta del suo ufficio e vi si diresse a grandi passi. Continuava a pensare a Trevor, dove fosse, se fosse vivo o morto. Era tutta colpa sua, solo colpa sua. L'aveva trattato male, l'aveva insultato, ed era fuggito. Ora lui era salvo e l'amico no. Si conoscevano dall'asilo, giocavano insieme, facevano i compiti insieme, uscivano insieme. La prima sigaretta, la prima bevuta, la prima canna, avevano fatto tutto insieme. La prima ragazza, ovviamente. Le delusioni, i pianti, Trevor c'era sempre stato per lui. Quando aveva bisogno, sapeva che poteva contare sul suo amico, su suo fratello. Non voleva pensare che lui fosse morto. Le macerie erano ovunque, gli venne il magone a pensare a come quell'esplosione aveva ridotto la sua azienda, il suo palazzo. Era un miracolo che non fosse crollato come le torri gemelle. Vide la scrivania di Mia, la sua segretaria, ribaltata. Il corpo della donna era riverso senza vita sul pavimento. Una lacrima gli rigò il volto. Aveva assunto quella ragazza per permetterle di pagarsi il college, poi aveva deciso di rimanere a lavorare da lui anche dopo il termine degli studi. Era una giovane attraente e allegra che meritava tanto dalla vita. Liam superò anche quell'ammasso di caos e macerie e si fermò non appena raggiunse la porta, constatando come l'ufficio sembrasse intatto. Una mano gli toccò la spalla e lo fece sobbalzare dallo spavento.

«Claude!» urlò il biondo, l'altro trovò un motivo per sorridere in quello scempio. Poi, si concentrò sulla scena.

«Liam, è impossibile che dentro non sia crollato. Ho assunto io l'architetto, visto i progetti, commissionato gli operai. Non c'è nessun sostegno nel tuo ufficio,» ribadì il socio di Liam. Questi annuì e posò la mano sulla maniglia. Era il momento della verità.

«Non voglio che ti aspetti che lui sia vivo, starai peggio. È morto Liam.» Il biondo sorrise amaro e annuì ancora. Le intenzioni di Claude erano buone, come al solito, ma lui non conosceva Trevor Mulgrew. Trev era la persona più testarda al mondo, non sarebbe mai morto così. E se Trevor fosse morto per colpa sua, non se lo sarebbe mai perdonato. Tutto quello che aveva sempre fatto era stato per proteggerlo. Contò mentalmente fino a tre e aprì la porta. L'aria era stantia e i mobili erano caduti a terra, con pezzi di soffitto sopra e vetri delle finestre sminuzzati ovunque. Liam entrò, seguito dal socio, e si guardò attorno nella desolazione più totale. L'ufficio era distrutto, accartocciato su sé stesso come fosse una pallina di carta. I due perlustrarono la stanza tre volte, senza trovare nessuno. Non c'era traccia di Trevor Mulgrew o di chiunque altro all'interno di quell'edificio. Liam sentì il mondo crollargli addosso. Se non era lì era vivo? O magari se ne stava soltanto andando via ed era uno di quei cadaveri senza volto all'ingresso? Non poteva crederci. Non era vero. Trevor non poteva essere morto.

Poco dopo i soccorsi arrivarono e li portarono via da quello scempio quanto prima. Liam era pensieroso così come lo era Claude, ma il biondo voleva credere che l'amico fosse vivo. Dove era finito Trevor? Che avesse messo lui la bomba in quel palazzo? Non c'era tempo per pensarci. Un vigile del fuoco si avvicinò al biondo mentre un dottore della guardia medica lo stava visitando.

«Il signor Donovan?» chiese questi, vestito di giallo e col caschetto annesso. Liam annuì, facendo una smorfia mentre il medico gli rimuoveva una scheggia dal fianco destro.

«Sono io,» confermò il biondo. Il pompiere sorrise amaro.

«Mi dispiace per quanto accaduto. La fonte dell'esplosione è un ordigno che era posto al piano inferiore rispetto al suo ufficio. Sospettiamo fosse un attentato al senatore Mulgrew, crediamo che lui sia effettivamente morto nell'esplosione. Ci sono tredici vittime, sei delle quali irriconoscibili.» Liam si lasciò sfuggire una lacrima ma l'asciugò prontamente. Trevor era morto? Impossibile. Liam sapeva che non era possibile.

«Perché mi dice queste cose?» domandò l'imprenditore. Il vigile del fuoco sorrise con fare tenero e si sedette accanto a lui.

«Senta, Liam, io so che è dura ma devo chiederle di aiutarmi. Il senatore Mulgrew è statunitense e qua siamo in Canada. Se lui fosse morto sarebbe un caso internazionale. Le devo chiedere, è possibile che lui sia morto là dentro? Sa dove si trovasse?» Liam scosse la testa. Avrebbe voluto urlargli contro che Trev non poteva essere morto, ma d'altronde non poteva esserne certo. E poi gli balenò in testa uno scenario. Se Trevor fosse stato dichiarato morto, gli attentati contro di lui sarebbero cessati. Liam avrebbe potuto cercarlo e aiutarlo. Sempre che fosse ancora vivo. Così fissò il pompiere negli occhi.

«Sì. Trevor Mulgrew è morto, posso confermare che si trovava fuori dal mio ufficio quando è avvenuta l'esplosione ed è impossibile che sia sopravvissuto.»

The Senator (Trilogy of Secrets, 3)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora