•Annabeth// Anni nell'oscurità.

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Tre anni dopo.
Non era questa la vita che avevo pianificato per me stessa. Qualche anno fa, al mio ultimo anno di scuola superiore, mi immaginavo laureata in architettura, circondata dalla mia famiglia e dalle persone a cui volevo bene.
La mia famiglia... Non riesco neanche a pensarci. Sento di non avere più una famiglia.
Mia madre e mio padre non andavano d'accordo per nulla, nell'ultimo periodo. Ricordo ancora le urla di mia madre e di mio padre riecheggiare nel salotto, mentre io e mia sorella, Alexa, ci nascondevamo dietro la porta, cercando di origliare.
Ero a scuola, durante l'ora di Francese, quando mi portarono l'orrenda notizia.
Mio padre aveva ucciso mia madre. Senza troppi rimorsi. Quando mia madre, sotto consiglio delle mie zie, aveva proposto il divorzio per il suo insalvabile matrimonio, mio padre aveva perso la testa. La strangolò con le sue stesse mani, per poi denunciarsi alla polizia. Lo shock fu talmente forte da non farmi uscire di casa per mesi. Sì, la loro casa divenne mia, ed Alexa mi venne affidata. Non tornai più a scuola. Non mi diplomai più. Tutti i miei sogni erano andati in fumo solo a causa della pazzia di un uomo. Mio padre venne, dopo dieci mesi di audienze in tribunale, condannato a quarant'anni di carcere, per la gioia mia e di mia sorella.
Tranne una zia, non avevamo altri parenti stretti. Rimanemmo sole.
Io mi sentivo impazzire in quella casa. Ovunque guardassi, vedevo mia madre svolgere alcune attività quotidiane. Lei mi sorrideva sempre. Dovevo andarmene, be sentivo il bisogno. Quella casa continuava a trasmettermi emozioni che non volevo più provare. Le foto della mia famiglia mi facevano stare male.
Un anno dopo, per il mio diciannovesimo compleanno, mi trasferii in un piccolo paese vicino New York. Mia sorella, allora sedicenne, rimase con mia zia nella nostra villa al centro di Manhattan. Il mio nuovo appartamento, piccolo ma accogliente, era situato al centro del paesino, al quarto piano del grattacielo.
Per mantenermi, riuscii a trovare lavoro in un popolare locale vicino casa. Cercavano una ragazza di bell'aspetto, carismatica e socievole, ma anche giudiziosa, che non combinasse disastri. Altro che architettura! Ma alla fine, ero riuscita a farmi qualche amico: il bar era affollatissimo ogni sabato sera.
Ma sentii il bisogno di cambiare anche il mio aspetto. Non ero più la Annabeth seria, ricca e spensierata che frequentava il più grande liceo di New York City.
Mi tinsi di castano. A molti potrà sembrare una mossa insensata, inutile. Ma ci voleva. Avevo bisogno di distaccarmi dalla vecchia me, di dimenticare ciò che ero stata. In parte funzionò.
-Hei, Annabeth!- una voce mi chiamò. La riconobbi subito.
-Oh, ciao Calipso... Avevo la testa fra le nuvole.- risposi, ancora un po' malinconica. Calipso mi sorrise comprensiva.
Calipso era una delle ragazze che lavorava con me al bar. Era una di quelle bellezze classiche, ma che lasciavano a bocca aperta. Quel giorno, aveva legato i capelli color caramello in una coda laterale, che le cadeva dolcemente sulla spalla. Aveva una grande borsa blu, piena di vestiti che minacciavano di cadere fuori.

-Stai andando al locale? Non era il tuo giorno libero?- chiesi, notando il grembiule che era solita indossare durante i turni nella grande borsa blu. Lei alzò gli occhi al cielo. -Sì, in effetti lo è. Ma il Capo mi ha chiesto di portare tutte le vecchie uniformi del locale. Da quanto ho capito, vuole crearne una meno colorata...- spiegò Calipso.
-Oh, strano.- borbottai
-stamattina, durante il mio turno, non ha accennato a nulla.-
Lei rise, abbassandosi per accarezzare Amy, la mia piccola cagnolina, che stavo, come ogni sera, portando a spasso.
-Lo conosci, Annie, è un tipo lunatico. Io vado, ci vediamo domani pomeriggio al lavoro. Divertiti!- disse Calipso, alzandosi ed andando via correndo.
-Ci proverò! Attenta, ti è caduta una gonna!- la avvisai. Lei sbuffò, prese la gonna nera e riprese a correre goffamente.
La mia cagnolina, Amy, un derivato chiwawa, iniziò improvvisamente a tirate il guinzaglio.
-Hei, Amy! Vuoi già andare a casa?- chiesi al mio cane, nonostante non mi aspettassi una risposta. Lei continuò a tirare, nella direzione di casa. Strano, Amy era solita essere instancabile, ed adorava le lunghe passeggiate. A volte, eravamo perfino riuscite ad arrivare fino al mare. Ma quel giorno, non avevamo percorso neanche 350 m.
-Va bene, pigrona, torniamo a casa.- acconsentii, lasciando che Amy mi trascinasse verso casa.
Entrammo nell'appartamento verso le 17. Era tutto come l'avevo lasciato neanche mezz'ora prima. Amy si precipitò sulla ciotolina con l'acqua. Io, passando per il corridoio stretto, dalle alte pareti bianche, non riuscii a fare a meno di guardarmi allo specchio.
-Mhh... Forse dovrei farmi lo shampoo...- pensai a voce alta. -Ma poi la tinta castana si toglierebbe in fretta. Meglio farlo direttamente domani.- conclusi, osservando la già imponente ricrescita bionda sulla cute. La tinta non prendeva mai bene sui miei capelli, ancora ricci come un tempo. Dovevo tingermi ogni due settimane per non far capire di essere una bionda naturale.
Improvvisamente, il campanello suonò. Nessuno, tranne Alexa e la zia, venivano mai a trovarmi. Ma di solito, le due avvisavano prima di presentarsi al mio portone.
-Chi è?- chiesi al citofono. Dopo alcuni secondi di silenzio, pensai che fosse uno scherzo di qualche ragazzino. Proprio mentre stavo per chiudere il citofono, una voce femminile parlò.
-Annabeth? Annabeth Chase?-
Ero confusa. La voce sembrava familiare, anche troppo.
-Sì, sono io.- risposi, cercando di non sembrare stupita.
-Sono Piper McLean... La tua amica del liceo. Potresti aprirmi?-

Percabeth•{Amnesia}• ITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora