•Annabeth //Diario di guarigione

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29 Gennaio

<<Perché loro due e non me?>> chiesi ad Alexa, stringendo la mano di Percy.
Alexa ci pensò un po' prima di rispondere: <<Forse non è riuscito a mirarti, visto che la nostra macchina ha i finestrini oscurati; forse aveva finito i colpi, o forse semplicemente non voleva uccidere te.>> mi disse, sospirando.
Se avessi dovuto spiegare quel che provavo, non ci sarei riuscita; non c'era un sentimento che predominasse gli altri. Stavo male, e basta. Da quasi un mese non mi allontanavo da quel capezzale. Non mangiavo, non mi lavavo, non dormivo. Rimanevo lì, in prognosi riservata, ad osservare il corpo inerme di Percy. Le uniche volte in cui accettavo di lasciarlo solo, era quando sua madre riusciva a darmi il cambio. Vedevo lo struggimento nei suoi occhi da madre quando guardava il suo unico figlio in billico tra la vita e la morte. Cos'aveva quella donna ora? Nulla. Viveva per Percy. Ed ora il suo Percy era in coma. Per permettergli di respirare i medici erano ricorsi alla tracheotomia. Un tubo trapassava la sua gola. Il proiettile non aveva colpito il cuore, ma a guardarlo in quello stato, pensai che forse sarebbe stato meglio. A guardarlo mi chiedevo in continuazione se provasse dolore, se la sua mente fosse lucida, se mi sentisse quando gli parlavo.
Ma, molto spesso, non riuscivo neanche a parlargli. Mi limitavo ad osservarlo, aspettando inutilmente che facesse qualcosa, che aprisse gli occhi, che parlasse.
Alla prima settimana dalla sparatoria, Percy mosse la mano, come se essa fosse stata presa da un tremolio. Avevo urlato di gioia, chiamato gli infermieri a gran voce, con la mente che già proiettava il suo risveglio. Ma, invece, no.
<<È normale che le persone in coma abbiano questi scatti.>> mi aveva detto un'infermiera, gettando in frantumi anche l'unico briciolo di speranza che mi era rimasto.
Giorno dopo giorno, non c'era neanche il minimo segno di miglioramento. Io avevo abbandonato il lavoro, avevo caricato l'affitto e le altre spese sulle spalle di Alexa, avevo passato gli ultimi trenta giorni al fianco di quel corpo pallido che era stato il mio ragazzo.
<<Andiamo a casa?>> mi domandò Alexa, poggiandomi le mani sulle spalle. Io annuii, sconsolata. 
<<Thalia dov'è?>>
Alexa fece un gesto vago con la mano.
<<Da Luke.>>
Sospirai, sentendomi in colpa per non aver mai visitato Luke da quand'eravamo in quella pessima situazione. C'era da dire che Luke si era trovato in una situazione molto più grave di quella di suo cugino.
Era arrivato in ospedale da morto. Erano riusciti a rianimarlo grazie alle scariche elettriche del defibrillatore. Lo sparo gli aveva fratturato il midollo spinale all'altezza dello stomaco: anche se si fosse ripreso, non sarebbe più riuscito a camminare.
In un mese, aveva già avuto due attacchi cardiaci, ed i dottori sapevano che ce ne sarebbero stati altri.
E se c'era qualcuno che l'aveva vissuta peggio di me e Thalia, quello era Nico. Le sue due uniche ancore erano sdraiate immobili su dei letti d'ospedale, a due stanze di distanza. Nico aveva smesso di parlare, smesso di lamentarsi del freddo pungente di Gennaio, smesso di sgridare Percy e Luke perché erano due teste di cazzo imprudenti, smesso di fare ogni cosa.
A volte si scusava a ripetizione con Percy, perché se lui avesse insistito di più per non farci uscire, non sarebbero in quella situazione.
Ed io continuavo a sentirmi tutta la colpa sulle spalle, perché non solo ne ero uscita illesa mentre loro ne erano quasi morti, ma non ero stata in grado di fare nulla quando avevo visto Patrik scappare.
L'unica cosa che riuscivo a pensare, era a come si sarebbe evoluta la situazione. E le sensazioni che avvertivo non promettevano nulla di buono.

18 Febbraio

Quando, negli anni successivi, mi chiesero cosa provai nel vedere Percy sbarrare gli occhi, non seppi mai cosa rispondere. Era tardo pomeriggio, e, come al solito, gli accarezzavo la mano con le mie. Il suo battito era lento, ma regolare. Poi, d'un tratto, il cuore iniziò a pompare più in fretta. "Tachicardia" pensai, nel panico, ma prima che potessi chiamare qualcuno, vidi gli occhi di Percy strizzarsi, come se stesse cercando di sbarrarli. Anche se il resto del suo corpo era immobile, sapevo che nella sua mente stava combattendo contro sé stesso per svegliarsi. Allora feci una cosa che non avevo mai fatto: lo incitai.
<<Percy! Dai, puoi farcela.>> gli urlai, e le lacrime caddero dai miei occhi prima che potessi rendermene conto.
Poi li sbarrò, facendomi sbarrare la bocca. Le sue pupille, vedendo la luce, si restrinsero. Mi cedettero le gambe, e caddi in ginocchio senza lasciare la sua mano. Il mio viso era allo stesso livello del suo. Girò le iridi alla sua destra per cercare il mio sguardo. Poi i nostri occhi si incontrarono. I suoi erano arrossati, mentre i miei erano colmi di lacrime, ed ebbi voglia di saltellare per tutto l'ospedale.
<<Percy... mi vedi?>> singhiozzai, ma lui continuò a guardarmi, senza fare nient'altro. I suoi respiri si fecero più rauchi, come se i polmoni gli richiedessero più aria di quanta gliene concedesse il tubo. I suoi polmoni stavano funzionando.
Allora entrarono i medici. Urlarono al miracolo, poi lo portarono via, perché era arrivato il momento di togliere la tracheotomia.

Percabeth•{Amnesia}• ITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora