Capitolo otto

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Leya's point of view

Non mi è mai piaciuto particolarmente gironzolare di notte, perciò cammino rapidamente ma a piccoli passi finché non sono a casa. Tutto tace, forse mio fratello e Liam stanno dormendo, penso, almeno finché dalla loro camera non provengono suoni inequivocabili.

Rabbrividisco, strofinandomi le spalle e infilandomi il pigiama con gesti meccanici. Mi rannicchio sotto le coperte in posizione fetale, tirandole su fino alla testa. Non mi sono neanche lavata i denti.

'Non farlo.'

Chiudi gli occhi, m'impongo. Due lacrime mi rigano le guance.

No. No, no, no.

- Leya? Sei tornata?

Mi affretto ad asciugarle, subito rimpiazzate da altre due.

- Com'è andata? - chiede Mikhail, odo i suoi passi leggeri mentre si avvicina al letto. Singhiozzo, coprendomi il viso con le mani. Perché? Perché ora? Non voglio piangere, non voglio!

Si ferma, per poi scostar le lenzuola e sdraiarsi accanto a me, abbracciandomi.

- Sorellina...

- Sempre troppo, eppure mai abbastanza. Ti sei mai sentito così? Troppo dolce, troppo gentile, troppo altruista, troppo, troppo! Ma mai abbastanza. Qual è la giusta misura per poterlo essere? - singhiozzo, rannicchiandomi contro il suo corpo caldo. Nel buio i suoi capelli chiarissimi spiccano sulla sua pelle pallida, siccome una luce esterna filtra attraverso le tapparelle. Riconosco sul suo collo un segno scuro, probabilmente rossastro.

Lo so io e lo sa lui che non esiste questa misura, altrimenti me la direbbe. Per un po' mi limito a versare tutte le mie lacrime mentre mio fratello mi accarezza il volto con una mano e con l'altra mi tiene stretta a sé.

- Non sei stanco?

- Di cosa?

- Di tutto. Io lo sono e non vorrei esserlo, perché sono stanca anche di essere stanca.

- Lo sono stato - risponde sommessamente, e io so che si sta riferendo ai segni sulle sue braccia. Mi asciugo il viso, avvicinandomi ulteriormente e inspirando a fondo il suo odore.

- Mikhail...

- Dimmi.

- Perché i tagli?

Sussulta, sistemandosi meglio. Un'altra carezza, lenta e delicata. Si schiarisce la gola.

- Il rifiuto... fa male, vero? A volte è solo una scintilla, poi tutto il resto fa esplodere la bomba. Il rifiuto dei miei genitori... quelli 'naturali', il rifiuto degli altri bambini e in seguito degli altri ragazzi, il mio rifiuto verso me stesso... ero stanco, Leya, esattamente come te, più di te, troppo stanco.

Alzo il capo per cercare un'espressione sul suo volto: è serio, quasi distaccato.

- Avevo... tredici anni, credo. Non me lo ricordo più, forse perché non voglio più ricordarlo. Mi limitavo ad esistere, siccome non volevo dare un dispiacere alle due persone meravigliose che hanno deciso di crescermi e m'intristiva il pensiero che sarei mancato ad Angel, la nostra Dobermann. Poi le cose hanno iniziato a peggiorare... e non me n'è più importato. Ho spezzato loro il cuore... - la sua voce e il suo sguardo si colmano di rammarico. - Lo sai, Leya? Se non fosse stato per mio padre forse non ci saremmo mai ritrovati, forse non avrei mai conosciuto Liam...

- Perché?

La sua voce si colma di commozione ed affetto.

- Dopo l'accaduto smisi di andare a scuola. Me ne stavo a casa tutto il giorno e la sera, dopo che papà era andato a letto a seguito del bacio della buonanotte, lui restava lì e mi parlava. Diceva belle cose, anche se io non rispondevo perché non parlavo più. Quando decisi di riprendere a farlo piansi e anche lui pianse, stringendomi forte. Gli devo così tanto e... e non l'ho mai ringraziato abbastanza.

Juliet & JulietDove le storie prendono vita. Scoprilo ora