Capitolo undici

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Leya's point of view

Entro in casa e mio fratello viene ad abbracciarmi. Non devo avere un'espressione molto felice. Ricambio l'abbraccio, poggiandogli il mento sulla spalla.

- Bentornata, Leya - dice, stringendomi forte. La felpa che indossa è molto morbida, piacevole al tatto. - Stai bene?

- Sto bene - rispondo, inspirando il suo profumo dolciastro. Mi mancherà.

'- Ti mancherò?

- E-eh?

- Cosa sono io per te?

- N-non lo so, perché?'

Abbozzo un sorriso, allontanandomi.

Non lo so.

- Hai lasciato un foglio sul tavolo, ieri - m'informa in seguito, mentre bevo un po' d'acqua in cucina. So a cosa si sta riferendo. - Vuoi che lo butti?

Ora ce l'ha tra le mani, è compilato. I suoi occhioni di liquirizia m'implorano di dargli una risposta negativa, speranzosi come quelli di un cane che attende un biscotto.

- Buttalo - mormoro, distogliendo lo sguardo per non vedere il dispiacere nelle sue iridi scure.

Mi dispiace, fratellone, mi dispiace tanto!

- Peccato - commenta a voce bassa, chinando il capo. E lo appallottola, gettandolo nel cestino della carta.

- Già - concordo in un bisbiglio impercettibile. Mikhail si sistema accanto a me.

- Leya. Posso farti una domanda?

- Certo.

- Come hai conosciuto... mio padre?

Arriccio il naso.

- È una lunga storia, sediamoci.

'Il giardino incolto del vicino mi lancia un richiamo irresistibile, così selvaggio, ricco di mistero. La mamma mi ha sempre detto di girare alla larga dall'uomo che abita nella casa di fronte a noi e di non giocare nel suo prato, ma a me non piace ascoltarla.

Perciò vado a cercare di catturare qualche insetto, infilandomi nelle sue piante e riempiendomi di terra, foglie e graffi. Alla fine riesco solo a staccare - per sbaglio! - la coda ad una lucertola. Noto che la porta sul retro è socchiusa e mi ci intrufolo.

Per un attimo resto sorpresa, perché nella casa non filtra neanche un raggio di luce.

- C'è qualcuno? - chiedo, ingenua come solo una bambina di quattro anni può essere. Nessuna risposta.

Decido di esplorare un po' questo luogo affascinante, rischiando fin troppo spesso d'inciampare in qualche montagna di libri, sparsi ovunque. Sembra una 'casa dell'orrore' di cui parlano i bambini più grandi quando giochiamo nel bosco. Però io non ho paura, io non mi faccio spaventare da ragni grossi come gatti, dai fantasmi o dagli spiriti, io vorrei farci amicizia...

- C'è qualcuno? - ripeto, prima di riconoscere chiaramente una figura umana stesa fra i romanzi, sulla faccia un volume.

E se fosse un cadavere, come quelli nei racconti della televisione?, mi chiedo. So che, se una persona è definita cadavere, è perché è morta.

- Signore?

Mi abbasso. Dicono che i morti siano freddi. Gli tocco una mano. Parrebbe di temperatura normale.

- Signoreee?

Faccio per togliere il libro dal suo volto, ma lui grugnisce e lo butta di lato, spalancando gli occhi. Che sia uno zombie, una di quelle strane creature che popolano i racconti dei bambini più grandi e mangiano i cervelli della gente?

Juliet & JulietDove le storie prendono vita. Scoprilo ora