Decisi di andarlo a trovare.
Era passato del tempo.
Non saprei dire quanto.
Del tempo.
Aveva avuto un infarto e non si era più ripreso, mi avevano detto che sarebbe stata un'esperienza forte.
Entrai nella stanza.
Non era privata, c'erano altri due anziani con lui.
Il primo, sdraiato supino, presumo fosse in coma.
Il secondo invece era sveglio, e anche cosciente, a quanto pare.
Oltre che cosciente era anche scorbutico.
"Buongiorno", sussurai.
Di rimando questo grugnì.
Attraversai la stanza.
Arrivai al suo letto, si affacciava alla finestra.
Posai finalmente lo sguardo su di lui.
Aveva il piede sinistro incastrato nelle sbarre del letto, la testa sotto il cuscino e la coperta gli copriva solo parte delle gambe.
La maglietta del pigiama era tirata su, intravidi dei cerotti sul petto.
Cercai di svegliarlo.
Niente.
Decisi quindi di sistemargli la maglietta e rimisi la gamba sotto la coperta.
Cercai ancora di svegliarlo.
Ancora niente.
Tirai su il materasso ad aria compressa con quel aggeggio elettrico che fa tutto da solo, schiacciando un pulsante.
Ora era seduto.
La testa era ancora sotto il cuscino e la coperta era scivolata sulle cosce.
Cercai per l'ultima volta di svegliarlo.
Nulla.
Cosa stava succedendo?
Tremavo.
"Svegliati Achille, svegliati!"
Achille.
Si chiamava come l'eroe greco, solo senza il suo punto debole, senza il tallone che lo rendeva mortale.
Mi spiego meglio.
Lui era pieno di punti deboli.
Da giovane si operò al setto nasale, e ora la cartilagine era assente.
Subì poi, da adulto, un'operazione ai polmoni e una alla gamba.
E una volta all'anno doveva farsi rimuovere un tumore benigno alla vescica.
Un disastro, insomma.
Ma sapete cosa? Fino agli 80 anni, Achille guidò, andò in bicicletta, curò il giardino della sua defunta e bellissima moglie, riparò e creò di tutto nella sua baracca costruita con le sue stessa mani nel giardino della sua amata villetta.
E sì, Achille era un tuttofare.
Un tuttofare con i fiocchi.
Iniziò a lavorare a 20 anni e mai si fermò.
In circa 50 anni di vita lavorativa fece di tutto.
Asfaltò strade, guidò camion, fece l'idraulico e l'impiegato in una ditta di edifici prefabbricati.
E ne sapeva di cose, Achille, oh quante cose sapeva.
Storie incredibili che raccontava alle sue due meravigliose bambine e a sua moglie.
Graziella, così si chiamava.
La sua morte lo sconvolse, dannazione, il dolore lo schiacciò e lo cambiò.
50 anni di matrimonio, 50 anni insieme.
Ne avevano passate di cose insieme, i due.
Comunque Achille non si svegliava.
Così decisi di parlargli.
"Sai, mi sei mancato. Mi dispiace di non essere stata presente, ultimamente. Sono cambiate tante cose, diamine. Sta andando tutto a rotoli ormai."
Mi fermai. Anche se dormiva non volevo rattristarlo con la mia insulsa vita da adolescente.
Lo osservai.
Mi sedetti sulla sedia destinata agli ospiti. Davo le spalle alla finestra.
La luce si posava delicatamente sul suo viso.
Lo accarezzai.
Seguii i suoi lineamenti.
La sua pelle era pallida e segnata dall'età.
Sottili rughe gli circondavano le labbra, gli occhi e la fronte.
Era caldo.
Al contatto con la mia mano sussultò.
Sorrisi, con sforzo, e delle lacrime mi inumidirono le guance ancora rosse dal freddo che c'era all'esterno.
Gli volevo tanto bene.
Davvero tanto.
Mi aveva accompagnato in tutta la mia fanciullezza.
Da piccolina mi costruì un altalena con due corde e un asse di legno avanzata da un progetto che portava avanti.
Per me era un supereroe.
Aveva una vespa, azzurra, e mi ci portava in giro, delle volte.
Facevamo lunge passeggiate, io, Achille e Graziella.
Mi viziò, quella coppia.
La mia mente era come un cassetto stracolmo che esplode, in quel momento.
Fogli di ricordi ricoprivano il pavimento.
Piangevo. Piangevo forte.
Non volevo trattenermi.
Lacrime salate mi finivano in bocca, profondi singhiozzi mi impedivano di respirare normalmente.
Mi calmai, man mano, con un enorme sforzo.
"Devo andare, Achille"
Mi alzai.
Lui mi prese la mano.
"Tornerò domani, lo giuro. Ti voglio bene nonno."
Sorrise, e io lo abbracciai forte, prima di andarmene.
"Ti voglio bene anche io piccolina"
Mi sussurrò.
Piccolina.
Era il soprannome datomi da lui.
Era il soprannome datomi da mio nonno.
"Grazie"