Aspettami perché...

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Capitolo sesto



Il sole era basso all'orizzonte creando sul profilo dell'acqua blu cobalto riflessi dorati e arancioni che annunciavano il calare della sera.
Natsu era seduto sulla base del bompresso* della nave, a gambe incrociate, i gomiti appoggiati ad esse e i palmi delle mani rivolti all'in su a reggergli il mento.
Nessuno aveva osato avvicinarsi a lui nelle ore successive al ritrovamento di un malconcio Hibiki, non nelle condizioni in cui si trovava ora il dragon slayer: emanava un'aria alquanto pericolosa, per non dire furibonda e il volto scuro e minaccioso e intenso rivolto verso le onde che si infrangevano contro la nave avevano fatto desistere addirittura il gatto che, sotto consiglio di Titania, aveva preferito lasciarlo solo ai suoi pensieri, sperando che prima o poi sarebbe riuscito ad emergere da solo da quella cappa tenebrosa che lo avvolgeva.
Purtroppo però non era affatto facile per Natsu.
Nella sua testa non faceva altro che pensare e ripensare e pensare ancora a Lucy.  A quello che aveva dovuto immaginare, non vederlo arrivare lì in suo aiuto, a quello che aveva dovuto fare, mettere a rischio se stessa e i suoi spiriti, a quello che aveva dovuto provare quando si fosse resa conto di non essere riuscita a farcela da sola, di essere in balia delle perfide intenzioni di chissà quale pazzo megalomane.
Era un chiodo fisso per il dragon slayer l'idea che, in parte – anzi, in larga parte – tutta quella situazione fosse stata per causa sua: era certo che se avesse seguito la maga invece di lasciarla andare via con il morale sotto i piedi avrebbe potuto impedire a quei bastardi di rapirla.
Se non fosse stato così maledettamente cocciuto e orgoglioso, ora lui, Lucy ed Happy ne starebbero combinando una delle loro.
Strinse i pugni sotto il mento quando il senso di impotenza montò più forte di prima dentro di lui: neppure le sue capacità di dragon slayer volevano collaborare.
L'odore di Lucy era troppo debole, troppo lontano e si confondeva con gli altri provenienti dall'oceano. Il suo udito fine non captava nulla che potesse aiutarli nella ricerca. Solo una brutta sensazione all'altezza del petto lo rendeva cosciente del pericolo in cui la maga degli spiriti si stava andando a cacciare.
Cosa avrebbe dato per essere solo al suo fianco. Prendere a pugni quei maledetti fino a ridurli in cenere. Riportare Lucy sana e salva alla gilda.
Natsu poche volte si era sentito così, sconfitto in partenza. Eppure non era un mago che si lasciava abbattere alla prima difficoltà: quante volte si era ritrovato in situazioni peggiori, quasi irrecuperabili e ne era uscito vincente? Tante e tutte in compagnia della sua namaka che aveva saputo incitarlo, spronarlo e accompagnarlo nelle battaglie.
Ma ora che lei non c'era?
Sospirò sconsolato, incurante della fredda brezza che giungeva dal mare.
Doveva ringraziare Hibiki se almeno avevano un punto di partenza da cui iniziare le ricerche: nonostante fosse ridotto parecchio male per via delle botte prese e dal taglio profondo che per poco non aveva reciso un'arteria, il mago di Blue Pegasus si era ripreso quel tanto da fornire i dettagli del loro colloquio con il capitano dei pirati.
Un certo Augusta che pretendeva l'aiuto di Lucy in una qualche specie di caccia al tesoro. Uno squilibrato che aveva definito la sua preziosa amica principessa di qualcosa, chiave di una porta.
Grazie al cielo, Hibiki era riuscito a ricordare anche dove fossero diretti i pirati, l'isola di Fujii, dell'arcipelago appartenente alla giurisdizione di Ishgar.
Natsu sperava solo di trovarla davvero lì e di trovarla senza un graffio oppure avrebbero dovuto fuggire dall'altra parte del mondo per scampare alla sua ira.
«Lucy, aspettami» mormorò al vento.
«Sto arrivando» e la sua preghiera si disperse tra il sibilio delle onde.



***



Sul ponte del galeone dei pirati guidati da Augusta non volava neanche il ronzio di una mosca.
Tutti sapevano che al capitano bastava poco per adirarsi e far fuori il primo che gli capitava a tiro; non a caso era considerato il più temibile pirata, senza scrupoli e senza cuore.
Un uomo da cui mettersi bene in guardia se lo si incrociava per sbaglio.
Eppure per i suoi subordinati era un onore far parte della sua ciurma e seguirlo nelle sue spericolate imprese.
In particolare, per un trio di pirati molto potenti essere i suoi fedeli collaboratori rappresentava un orgoglio senza pari e niente avrebbe impedito loro di sacrificare la vita per proteggere il loro capitano. Quel trio conosciuto come Maris Mors, composto da Scilla e i gemelli Nereo e Proteo*¹, in quel momento attraversava il galeone sotto gli sguardi timorosi degli altri per raggiungere le stanze private del capitano in attesa di nuovi ordini.
«Che seccatura! Quello sporco di un mago di Fiore ha macchiato tutto il ponte col suo schifoso sangue» sbuffò Nereo, incrociando le braccia dietro la nuca.
Vestito con una casacca e pantaloni blu scuro allacciati da un cinturone in cuoio a cui era legata una sciabola affilata, il pirata assomigliava in modo impressionante al fratello che, vestito come lui ma di un pesante color verde, se ne stava più indietro, a braccia incrociate, occhi socchiusi e viso rivolto verso il basso con espressione pensosa.
L'unica cosa che li distingueva, oltre al particolare colore degli occhi – viola per Nereo e grigi per Proteo – era il carattere impulsivo e irascibile del primo in contrasto con quello freddo e calcolatore dell'altro.
«Smettila di lamentarti. Ormai non è più un nostro problema. Piuttosto, spera di non fare la sua stessa fine stasera davanti al capitano»sbottò Scilla, scostando il mantello scuro dietro di sé.
Era nervosa. Si stavano avvicinando all'isola e ancora non aveva chiaro quale ruolo avesse la maga imprigionata nelle celle in sottocoperta: sapeva fosse un Heartfilia ma non conosceva il motivo per cui avessero dovuto rapirla per raggiungere il loro scopo. Non le importava se per chiederlo al capitano Augusta avesse dovuto perdere un braccio o altro, doveva saperlo.
Quella morbosa curiosità era l'unica pecca nel suo carattere serio e nella sua forza imbattibile.
«Tranquilla, Scilla! Augusta è di umore pacifico, anzi direi quasi gioioso!» scoppiò a ridere Nereo alla sua stessa battuta prima di spalancare la porta che conduceva alla stiva.
«Come no» borbottò la piratessa in risposta zittendo poi il compagno per bussare decisa agli alloggi del capitano.
Un secco "avanti" diede loro il permesso di entrare nella cabina e allinearsi per salutare il comandante e chiedere loro i nuovi ordini.
«Capitano, mancano solo venti nodi prima di giungere all'insenatura dell'isola dove attraccheremo» lo informò efficiente Scilla, togliendosi il cappello da pirata e inchinando leggermente il capo.
Augusta scostò la sedia dallo scrittoio sul quale analizzava certe mappe e si alzò squadrando uno per uno il suo trio imbattibile di guerrieri: «Molto bene. Voi due andate a recuperare la principessa. Tu, Scilla, avvisa gli uomini di dividersi in due gruppi: voglio che uno faccia da guardia alla nave mentre noi scenderemo a terra. Andate!» ordinò imperioso per poi risedersi per analizzare le sue carte.
Tuttavia, mentre i gemelli si erano dileguati alla svelta, la donna con cappello stretto tra le mani era ancora lì in piedi, in attesa.
«Cosa non ti è chiaro?» sbottò Augusta indirizzandole uno sguardo disinteressato.
«Capitano. Perdoni l'impertinenza: non ci avete ancora spiegato perché quella sudicia maga ci serva.»
Il cuore di Scilla cominciò a battere furioso all'idea che di lì a poco si sarebbe ritrovata senza una mano anche se fuori la sua espressione neutra non cambiò di una virgola.
Con grande stupore però Augusta lasciò perdere le mappe e si lasciò andare contro la poltrona incrociando le mani sotto il mento: «Quella che tu chiami sudicia maga è l'unica erede del più ingente patrimonio di tutto il regno di Ishgar. È la principessa rinnegata del nostro impero, la sua famiglia è stata spodestata dal trono dal mago oscuro Zeref ed è stata costretta all'esilio nel regno di Fiore. Tu, stolta, forse non sai, ma nelle leggende e profezie che si tramandano nel nostro regno si parla proprio della famiglia Heartfilia e del loro potere magico: per anni, questo clan ha esercitato la magia delle stelle. Una magia potente, ormai rara, che si tramanda di figlia in figlia. Una magia capace di custodire un tesoro inestimabile che declama, chi lo possiede, il re dei mari. Ed io voglio quel tesoro. A tutti i costi. E sarà quella stupida ragazzina a farmelo avere».
Dall'esterno si innalzarono esclamazioni di "terra in vista" che distrassero i due pirati dalla conversazione.
Ormai Scilla aveva tutto chiaro.
Non aveva bisogno di chiedere altro. Senza più indugi, quindi si inchinò e chiese congedo.
Ma prima di abbandonare completamente le stanze un pensiero malvagio inchiodò i suoi passi e le fece chiedere:«Dopo che quella maga ci avrà condotto al tesoro, ci sarà ancora utile?»
Augusta, stanco di quella conversazione, si sedette non degnandola di uno sguardo:«No. Potrai pure ucciderla, per quanto mi riguarda, se ci tieni. Ed ora, va!»
Scilla s'inchinò nuovamente: «Si, capitano» e lasciò la stanza assaporando tra i denti il momento in cui avrebbe potuto mettere fine ad una altra giovane vita e con essa ad un'intera discendenza.



Un amore di fata ||Fairy Tail - Nalu||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora